Verso l’editing degli autoctoni

Resistenza e tipicità al 100%. Presto sarà un abbinamento reale grazie alle Tecnologie di evoluzione assistita (Tea) che utilizzano il Crispr/Cas9. Ma evitiamo di riproporre patenti di presunta mancanza di naturalità e sterili contrapposizioni tra vitigni da incrocio e vitigni editati. In viticoltura il miglioramento genetico non si può fermare

Viticoltura e miglioramento genetico vanno a braccetto sin dai tempi della domesticazione post diluvio.

Solo le piante che davano frutti migliori venivano conservate e riprodotte. La propagazione

Roberto MIravalle

per seme creava un’enorme variabilità ove i viticoltori ancestrali, come i moderni genetisti, sceglievano e promuovevano o cancellavano.

La nascita dei vitigni

Per millenni il concetto varietale non è esistito, solo in tempi relativamente recenti si è iniziato a raggruppare i biotipi per caratteri maggiori (uve apiane, aminee, ecc.) o per provenienza (greche, ecc.).

Nel medioevo iniziò un processo di miglior identificazione di uve con caratteri simili, raccogliendole sotto uno stesso nome. La propagazione agamica, nel frattempo, sostituì quella da seme, aumentando di fatto l’opera di selezione del viticoltore. Il grande cambiamento arrivò con l’avvento della fillossera e delle grandi malattie fungine importate dal Nuovo Mondo.


 

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Una robusta selezione clonale

La ricostituzione post-fillosserica e l’innesto cambiarono l’approccio alla viticoltura. Il concetto vitigno/varietà venne rafforzato. Negli anni 70/80/90 del secolo scorso un robusto piano di selezione clonale e sanitaria inasprì il concetto di selezione, tendendo a selezionare solo poche plusvarianti per ogni varietà. La selezione clonale e sanitaria ha permesso di minimizzare le grandi malattie virali.

Naturale è un’illusione

Perciò la vite coltivata oggi non è “naturale”, ma frutto di un continuo addomesticamento e adattamento alle nuove esigenze. Ieri si puntava ad una miglior maturazione, ora la tolleranza agli stress abiotici è messa tra le priorità nelle nuove selezioni clonali.

Oggi dobbiamo affrontare un nuovo tema globale: la sostenibilità. La viticoltura moderna deve ricercare nuove soluzioni contro le maggiori malattie fungine. In Europa il vigneto occupa il 3,3 % della superficie coltivata e consuma quasi il 65% (in peso) di tutti gli agrofarmaci impiegati in agricoltura.

Gli ibridi produttori diretti e la ricerca della resistenza

I grandi lavori di miglioramento genetico per incrocio, mirati a ottenere viti resistenti alle malattie fungine, furono portati avanti in tutta Europa a partire da fine Ottocento e terminarono quasi ovunque per gli insufficienti risultati degli ibridi produttori diretti. Questi furono addirittura proibiti, poiché ritenuti non idonei alla produzione di vino di qualità.  Tuttavia gli Istituti di Friburgo e Geilweilerhof proseguirono alla ricerca dell’“ideal Rebe”, la vite ideale, resistente alle malattie ”americane”.

La progenie degli incroci

Nel 1975 N.Becker di Friburgo registra il Bronner, incrocio complesso tra Merzling X Geisenheim 6984. Merzling  è figlio di Seyve Villard B. X Freiburg 379-52 mentre l’altro genitore è frutto dell’incrocio tra Zarya Severa X Sankt Laurent. Si è all’ottava generazione di un programma di breeding iniziato ibridando l’Aramon, con specie portatrici di resistenza: V. rupestri, V, cinerea, V. lincecumii, V. aestivalis.

Nel 2001 viene posto alla coltivazione il Regent, (Diana x Chambourcin) frutto del lavoro di G. Alleweldt a Geilweilerhof. Diana è una varietà ottenuta dall’incrocio: Silvaner x Müller-Thurgau e Chambouchin è un Piwi di prima generazione ottenuto da: 11369 J. Seyve x 5455 Seibel.

Al gran ballo dei Piwi

Entrambi gli Istituti mettono a disposizione dei viticoltori una piccola serie di vitigni, con una certa resistenza a peronospora e oidio ed un profilo sensoriale simile a quello delle viti europee conosciuti come “PIWI”, acronimo di “Pilzwiderstandsfahig” che sta per: “resistenti alle malattie fungine”. Anche Svizzera, Italia, Ungheria e da pochi anni la Francia stanno lavorando alacremente per offrire incroci tolleranti alle malattie.

Una menzione particolare va fatta all’Istituto di Genomica Applicata di Udine che ha già iscritto quattordici nuovi vitigni resistenti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, molti dei quali recentemente autorizzati da alcune Regioni (Trentino, Alto Adige, Veneto, Friuli, Lombardia, Emilia -Romagna).

Anche la Fondazione E.Mach di S.Michele aa (TN) sta operando attivamente.

Nobile pedigree di V. vinifera

Gli incroci, che ormai hanno dominanza di “sangue” vinifera, quindi permettono di superare gli ostacoli dei diglicosidi presenti nei primi Piwi, e non portano più tracce di aroma “foxy”, saranno un primo buon aiuto sulla strada della sostenibilità. Non sono “naturali” nel senso di origine spontanea, ma frutto di grande dedizione e sapienza.

Il miglioramento genetico per incrocio è però un processo molto lungo e oneroso e i nuovi vitigni sono solamente “parenti stretti” del vitigno a cui si vuole donare tolleranza alle malattie.

Il tagliacuci del DNA

Molto recentemente la genetica medica ha messo a punto degli strumenti di alta precisione che consentono di correggere in modo mirato, alcune sequenze del DNA, creando dei cloni capaci di esprimere caratteri di resistenza alle malattie, senza stravolgere il genoma. Sara quindi possibile ottenere Barbera, Corvina, Grillo e quant’altro, tolleranti alle malattie, impiegando risorse inespresse oggi.

Questa tecnica è conosciuta come “genome editing” e potrebbe offrire risorse infinite semplicemente applicando le conoscenze in modo mirato per favorire piccole mutazioni favorevoli.

Un pollo a cui piace la musica

Quando si opera con CRISP-Cas 9 non si cambia il testo, si correggono le bozze. L’esempio allegato è divertente e semplifica la comprensione: „Mentre Paolo mangia il pollo, ascolta la radio“.  Con l’editing sposto la virgola e la frase suonerà: „Mentre Paolo mangia, il pollo ascolta la radio“. La sequenza non è stata cambiata, è solo stata spostata una virgola. È come un clone, ma di significato piuttosto diverso. Indurre un gene esistente a sovraesprimersi o silenziarne un altro non fa altro che riprodurre, in modo mirato, quello che la pianta fa da sola quando, grazie a piccole mutazioni, crea un clone migliore della media della popolazione.

L’abbinamento di queste tecniche e delle migliori conoscenze del funzionamento delle piante consentirà di salvaguardare la tradizione e avere – potenzialmente – addirittura vitigni autoctoni come Groppello, Frappato, ecc., tolleranti alle malattie.

L’innovazione genetica in viticoltura può così diventare la miglior salvaguardia della tradizione.

Roberto Miravalle

Professore a contratto: Ampelografia
e miglioramento genetico della vite
Università deli Studi di Milano

Verso l’editing degli autoctoni - Ultima modifica: 2020-12-11T00:22:07+01:00 da Lorenzo Tosi

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