Vitigni figli da non ripudiare

Raffaele Testolin, Professore Ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso l'Università di Udine
«In futuro le nuove varietà di vite ottenute da incrocio e quelle ottenute attraverso le nuove tecnologie saranno sempre più numerose e avranno nel pedigree vitigni di grande valore. Cosa facciamo?». Il commento di Raffaele Testolin, tra i padri delle nuove varietà resistenti ottenute in Friuli, all’editoriale “Nome e cognome per i vitigni resistenti di VVQ, Vigne, Vini & Qualità di giugno

L’interesse risvegliato negli ultimi anni dal licenziamento di nuove varietà di uva da vino non può che far piacere a chi vede in questo fenomeno un contributo sostanziale all’evoluzione della viticoltura. Si tratta infatti di un fatto rinviato per oltre un secolo a causa di un atteggiamento ostile del mondo vitivinicolo nei confronti della genetica e del miglioramento genetico, considerati addirittura «non necessari per la vite, se non pericolosi perché in grado di insidiare una viticoltura basata su consolidati rapporti ‘vitigno-terroir’, portatori di immensi benefici ad alcuni territori».

Vite, una coltura “normale”

In realtà, la vite ha poco di diverso rispetto alle altre specie coltivate, per le quali il rinnovamento costante della piattaforma varietale, generato dalle attività di breeding, ha permesso far fronte alle mutate condizioni ambientali e di coltivazione e alle esigenze di mercato.  Il dinamico trasferimento di malattie da un continente all’altro, iniziato per la vite con l’introduzione dal nuovo mondo verso la metà del XIX secolo di peronospora, oidio e fillossera è certamente una delle tante ragioni che giustificano la creazione di nuove varietà che affrontino i problemi di sostenibilità ambientale della viticoltura moderna.

La querelle sui nomi delle varietà di vite, sollevata dal prof. Cesare Intrieri e ripresa dal dott. Lorenzo Tosi (clicca qui), mi appassiona poco. Mi verrebbe da dire: accettiamo le regole europee elaborate da anni dal CPVO e dall’UPOV per tutte le specie coltivate e facciamocene una ragione.

I buoi e il Cabernet sauvignon

Capisco la preoccupazione dei francesi che vedono i nomi dei loro migliori vitigni (Cabernet, Merlot …) utilizzati per le nuove varietà ottenute per incrocio (vedi i casi di Cabermet carbon, Cabernet cortis, Cabernet volos, Merlot chorus ecc.), ma forse i buoi sono scappati molti anni fa, quando gli stessi francesi hanno chiamato Cabernet sauvignon l’incrocio tra Cabernet franc e Sauvignon blanc, ripetendo nell’incrocio il nome di entrambi i genitori.

Al di là dei fatti recenti, dobbiamo considerare seriamente che in futuro le nuove varietà di vite ottenute da incrocio e quelle ottenute attraverso le nuove tecnologie saranno sempre più numerose e avranno nel pedigree vitigni di grande valore. Cosa facciamo?

Nessuna confusione

Qualcuno dice che il fatto può ingenerare confusione tra viticoltori e consumatori. Ma davvero pensiamo che un viticoltore possa ordinare piante di Cabernet sauvignon pensando di ordinare Cabernet franc? O che un consumatore acquisti una bottiglia di Cabernet sauvignon pensando al Sauvignon blanc da accompagnare al pesce? E allora perché un viticoltore o un consumatore dovrebbe confondere il Cabernet sauvignon con il Cabernet chorus? Credo invece che se il nome della nuova varietà ricorda il nome del genitore ‘nobile’, questo aiuta a ricordare un “gruppo di appartenenza”. Un nome di fantasia non aiuta per niente a ricordare l’origine della varietà, a meno che non ammettiamo la possibilità di riportare in etichetta anche il nome dei genitori, come propone il prof. Intrieri, che ringrazio per la puntuale e corretta ricostruzione della registrazione delle nuove selezioni dell’Università di Udine fatta sul sito dei Georgofili e per le riflessioni, pacate quanto meritevoli di attenzione.

La discendenza della Glera

E se un giorno non lontano avremo un figlio di “Glera” (vitigno base per la produzione del Prosecco) resistente a qualche malattia, perché non dovremmo ricordare nel nome di questo nuovo vitigno la presenza di un genitore “autoctono” italiano? E’ forse un danno? O non è invece un fatto positivo sotto il punto di vista culturale ed economico?

Mi fa piacere l’apertura di credito da parte del prof. Intrieri nei confronti dei nuovi vitigni per il loro ingresso, almeno come varietà complementari, nelle denominazioni di origine. Per ora in Italia stentiamo ad ammetterli nelle Igt, nonostante la legislazione europea. Spero che i nostri rappresentanti a Bruxelles, siano essi funzionari del ministero o rappresentanti del mondo vitivinicolo abbiano la stessa apertura mentale di un personaggio simbolo della nostra viticoltura, come Cesare Intrieri.

Una volta per tutte: dire “ibridi” è sbagliato!

Per concludere, visto che il tema è la correttezza del lessico, colgo l’occasione per chiedere di abbandonare finalmente la dizione ibridi per questa varietà resistenti. Tutte le varietà di vite sono infatti ibride, ad eccezione dei mutanti somatici. Lo dice Mendel. E se per “ibridi” si intende “ibridi interspecifici” con l’accezione negativa data per 100 anni agli ibridi franco-americani, beh … direi che è il momento di cambiare musica. Queste nuove varietà sono ottenute da incroci in cui il genitore resistente deriva da 5-6, in alcuni casi 8, generazioni di reincrocio su vinifera e oltre alle resistenze delle viti americane o asiatiche hanno poco del sangue di quelle specie. Del resto vogliamo forse mettere in discussione la nostra appartenenza alla specie Homo sapiens solo perché nel nostro genoma c’è dall’1 al 4 % dell’uomo di Neanderthal? (E si tratta per altro di un lontano parente che ci ha trasmesso dei caratteri davvero interessanti per la nostra sopravvivenza evolutiva).

Link:

NOME E COGNOME PER I VITIGNI RESISTENTI (di Lorenzo Tosi)

L'ira funesta
Vitigni figli da non ripudiare - Ultima modifica: 2019-09-30T23:22:30+02:00 da Lorenzo Tosi

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