Resistenti e vitigni Tea, il derby dell’innovazione

Resistenti da incrocio e Tea, i massimi esperti italiani a confronto
La domanda di sostenibilità spinge a immaginare nuovi modelli di viticoltura: meglio puntare sugli incroci o aspettare le nuove tecniche di miglioramento genetico?

È meglio puntare sulle varietà resistenti ottenute da incrocio o aspettare lo sdoganamento di cisgenesi e genome editing anche in Europa?

Meglio ampliare la piattaforma ampelografica delle denominazioni consentendo la coltivazione di nuovi vitigni più sostenibili o rafforzare il legame tra territorio e vitigno attraverso i cloni che saranno ottenuti nei laboratori che applicano le scienze “omiche”?

Il futuro ha fretta

Le prime 10 varietà resistenti ottenute in Italia

La forte domanda di sostenibilità spinge a costruire, e velocemente, un futuro diverso per la nostra viticoltura. La risposta più convincente viene dal miglioramento genetico, un settore dove il nostro Paese vanta un vantaggio competitivo (che però si sta accorciando rispetto ad esempio alla Francia). Le strade percorribili per realizzare questo obiettivo sono due.

Ancora non sono in vigneto (o quasi) ma si preannuncia già una rivalità tra i vitigni ottenuti da incrocio ricorrente e i prossimi vitigni “Tea”. Alleanza delle Cooperative ha organizzato un webinar, moderato da Edagricole (clicca per accedere alla cronaca dell'evento), per capire su quali modelli di viticoltura puntare alla luce delle moderne tecnologie genetiche e delle politiche europee (clicca per saltare al riquadro con il pensiero di Luca Rigotti, coordinatore del settore vino di Alleanza Coop).

Attilio Scienza

«I viticoltori italiani – puntualizza Attilio Scienza, fresco di nomina come presidente del Comitato vini Doc e Igt – hanno una scarsa propensione all’innovazione genetica: a parte Muller Thurgau, gli altri vitigni ottenuti da incrocio hanno una diffusione estremamente contenuta e l’ostilità nei confronti di vitigni resistenti è frutto di pregiudizi da superare».

Anche perché la Francia ha nel frattempo accantonato le sue riserve e punta decisa verso questa svolta sostenibile. «La creazione di varietà resistenti di qualità è una grande priorità per la filiera vitivinicola transalpina». Quattro varietà sviluppate da Inrae come Artaban, Vidoc, Floreal e Voltis sono state iscritte al catalogo nazionale senza limitazioni d’uso e son già state ammesse in vini a denominazione come il Bordeaux. In Italia l’unico caso è quello del Bronner nell’igt altoatesina Mitterberg.

Il programma francese sui resistenti

Per poter utilizzare le varietà resistenti sviluppate in Italia (14 in Friuli, 4 a San Michele all’Adige, per ora) nelle doc e docg occorre però eliminare la notazione a margine prevista nel Registro italiano che ne concede l’uso solo per Igt e vini da tavola.

Il malinteso dell’autoctonia

«Su richiesta dei Consorzi – sostiene Scienza – il Comitato nazionale vini potrebbe inserire i resistenti nei disciplinari per un massimo del 15%. Per i successivi tre anni verrebbero vagliati per quantità e qualità, sino ad aumentarne la quota all’interno delle Doc».

La scarsa diffusione in Italia dei resistenti

Secondo Scienza alla base degli ostacoli che ritardano le autorizzazioni all’impianto dei resistenti nelle diverse Regioni vi è un travisamento del concetto di “autoctonia”. «Che va inteso nel senso dell’adattabilità del vitigno ad un ambiente limitato, dove esprime le sue caratteristiche peculiari».

L’esempio più calzante è quello del Sangiovese, un vitigno di accertate origini meridionali, che però esprime le sue doti migliori in Toscana o in Romagna, tanto da essere considerato assolutamente “locale”. «Lo stesso deve capitare per i resistenti, per i quali ci sono enormi spazi di crescita anche per l’ottenimento di vini di qualità». Basta secondo il ricercatore smettere di vinificarli nello stesso modo delle varietà tradizionali, ma con lo stesso approccio con cui le cantine e il mondo della ricerca si occupano di enologia varietale, ribaltando il punto di osservazione del processo di vinificazione adatandolo alle caratteristiche proprie dell’uva.

Grappolo di Fleurtai (TocaiX Bianca)

«Occorre poi puntare – dice Scienza – sullo sviluppo di nuovi resistenti da autoctoni italiani, sull’esempio di quanto già fatto in Friuli con l’ex Tocai (in foto il vitigno Fleurtai) e in Trentino con Nosiola e Teroldego».

Un punto su cui non è del tutto d’accordo Michele Morgante, direttore dell’Iga di Udine.

«È indubbio - dice - che i resistenti possano essere una risposta a un’esigenza pressante, ovvero quella di una maggiore sostenibilità, ma dobbiamo pensare anche a una viticoltura di qualità che, nel nostro Paese, guarda a vitigni specifici e ben consolidati nella nostra tradizione enologica come ad esempio il Sangiovese o il Nebbiolo, ecc».

Con i cloni sarà meglio?

MIchele Morgante

Morgante è infatti uno dei “padri” dei 14 vitigni resistenti realizzati presso l’Iga di Udine e sa che per sviluppare un nuovo vitigno da incrocio occorrono non meno di 14-15 anni (con progetti che devono utilizzare diverse fonti genetiche per superare il fenomeno della “depressione da incrocio”) e quello che si ottiene è sempre un vitigno diverso dalla varietà d’elite di partenza.

Quanto diverso? Il confronto tra le mappe genetiche tra vitigno “padre” e vitigno “figlio” può aiutare a capirlo.

Nel confronto tra Merlot e la varietà resistente Merlot Khorus emerge infatti (vedi figura) l’assoluta condivisione aplotipica (in giallo), ma le zone con identità genetica completa (in verde) sono in assoluta minoranza e questo può incidere parecchio sia sull’espressione fenotipica del vitigno che sull’espressione aromatica dei vini ottenuti.

Nella mappa genetica, le differenze tra Merlot e Merlot khorus

Certo, le prove di microvinificazione possono aiutare a capire quali resistenti siano enologicamente sovrapponibili alle varietà nobili di partenza (per concederne ad esempio una forte precedenza per l’autorizzazione in specifiche doc). Oppure si può pensare ad altre strade.

L’approccio delle staminali pluripotenti indotte

L’alternativa viene dalle Tea. «Cisgenesi e genome editing, sostituendosi a qualsiasi processo di mutagenesi naturale o indotta, lasciano infatti intatto il genotipo di partenza (a parte i pochi nucleotidi su cui si è intervenuto) perché non c’è incrocio».

Paradossalmente queste varietà, superato il grosso scoglio della normativa europea che li accomuna a Ogm (qui il primo passo in questa direzione), potrebbero quindi in seguito evitare tutti i problemi che oggi incontrano i resistenti da incrocio, ostacolati nell’iscrizione dei registri delle diverse Regioni, perchè si tratterebbe non di varietà diverse ma di veri e propri cloni dei vitigni tradizionali.

Chi naviga nell’aperto mare sa però che gli scogli affioranti non vanno sottovalutati. Anche perché, in questo caso, si tratta di conciliare i tempi della ricerca con quelli della politica, una sintonizzazione che, storicamente, non avviene con facilità.

A creare qualche ritardo in laboratorio potrebbe essere l’effettiva disponibilità di geni di resistenza e soprattutto alcune difficoltà nel passaggio tra coltura in vitro e in vivo riscontrata per alcune varietà. «Un problema di carattere epigenetico – risponde Morgante - sulla cui soluzione si può essere ottimisti».

«I progressi in questo campo sono sempre più rapidi: in campo umano si stanno superando difficoltà simili grazie alle colture di cellule staminali pluripotenti indotte, un’innovazione che è valsa il premio Nobel al suo scopritore, Shinya Yamanaka dell'Università di Kyoto». «Approcci simili sono in sviluppo anche sulle piante per ottenere rigenerazione da singole cellule in tempi molto più rapidi».

Gli ostacoli maggiori per Morgante rimangono quindi quelli burocratici. «La modifica della Dir. 18/2001 sui Novel Food che accomuna dal punto di vista giuridico Tea e Ogm deve essere approvata in tempi brevi, massimo due anni per consentirci di dare il nostro contributo sugli obiettivi di sostenibilità del Green Deal».

«Una riforma che tenga conto dell’esigenza di rimuovere il carico di informazioni oggi richieste dalla vecchia normativa: le Tea sono affini alle varietà evolute in modo naturale, non occorre prevedere test di tossicologia su animali, uomo e ambiente». Rimossi questi ostacoli, l’Italia è pronta ad essere tra le prime a rilasciare i primi vitigni Tea («I nostri laboratori sono in Pole position»).

 Toglieranno spazio ai vitigni resistenti?

 

Il rischio di un conflitto enologico

Mario Pezzotti

«Entrambe le strade devono essere percorribili, e devono esserlo in tempi brevi». La soluzione salomonica è di Mario Pezzotti della Fondazione Mach. Pezzotti ricorda infatti che attualmente al mondo solo l’Unione Europea e la Nuova Zelanda accomunano infatti le Tea dal punto giuridico agli ogm.

«Se non si supera questo scoglio normativo rischiamo di trovarci alle prese con un nuovo confronto-scontro tra vecchio e nuovo mondo enologico (tra cui l’emergente Cina) che rischia di vederci perdenti sul fronte sostenibilità».

Dove le Tea sono autorizzate e dove sono equiparate a ogm (in rosso)

L’approccio territoriale che il nostro Paese vuole dare alle Tea, arricchendo di resistenze il patrimonio di vitigni autoctoni legati alle nostre denominazioni sarebbe infatti in questo caso superato dall’approccio varietale che contraddistingue le strategie di Australia, Cina e Stati Uniti.

«E anche per i vitigni resistenti da incrocio occorre tenere conto che per avere resistenze durevoli occorrono programmi di piramidazione in grado di includere resistenze multiple a peronospora e oidio».

Il programma di ricerca sulle resistenti a San Michele

Pezzotti ricorda infatti che i programmi mastodontici messi a punto a San Michele per arrivare alle prime varietà resistenti (Charvir, Valnosia, Termantis e Nermantis) sono partiti nel 2008 e che la valutazione delle 80mila piantine ottenute da incrocio ha rilevato solo l’1% di resistenti. Un’attività di ricerca che ha le sue radici nei progetti tracciati alla fine degli anni ’80.

Insomma: ci vuole il suo tempo, prima si parte e meglio è.

«La ricerca però da sola può fare poco: non basta la modifica di un set di norme per realizzare la transizione di un settore ancorato alla tradizione come quello enologico, occorre convincere cittadini e consumatori». «E per riuscirci serve un nuovo “manifesto di Ventotene”, un’alleanza tra genetisti e viticoltura europea».


Rigotti: «Un approccio nuovo per il Green deal»

Luca Rigotti

«La cooperazione vitivinicola è convinta che la strada del futuro sia quella della sostenibilità, del rispetto dell’ambiente e della salubrità dei prodotti». Lo ribadisce Luca Rigotti, coordinatore del settore vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari in occasione del webinar “Nuovi modelli di viticoltura alla luce delle moderne tecnologie genetiche e delle politiche europee” moderato da Edagricole.

«Servono tuttavia soluzioni che possano rafforzare questo approccio, anche per meglio aderire al nuovo quadro politico definito dalla Pac post-2023 e dalla strategia Farm to Fork: in questo contesto, le varietà resistenti o tolleranti, e in futuro le moderne tecnologie, potranno contribuire a mantenere e migliorare i livelli di competitività e di produttività, nonché a raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati al 2030». «Occorre quindi un approccio nuovo che dovrà passare, nel più breve tempo possibile, dall’adeguamento del sistema normativo, dalla ricerca e dalla sperimentazione di campo».


«L’Italia non aspetti i tempi di Bruxelles»

Stefano Vaccari

Lo sdoganamento delle Tecnologie di evoluzione assistita potrebbe arrivare a breve. Paolo De Castro in collegamento da Strasburgo spiega infatti che la partita della modifica della Dir. 18/2001, in base alla quale la Corte di Giustizia Ue ha equiparato dal punto di vista normativo genome editing e cisgenesi agli ogm, è in mano a Stella Kyriakides, Commissario europeo alla Salute, e sarà sottoposta entro la prossima primavera all’analisi dell’EuroParlamento (vedi la videointervista a De Castro). L’auspicio è che la modifica che consentirà di coltivare queste innovazioni in pieno campo tenga conto della necessità di realizzare gli obiettivi del Farm to Fork entro il 2030, nel frattempo Stefano Vaccari, direttore del Crea, spinge per un’accelerazione. Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria crede fortemente sullo sviluppo delle nuove tecnologie di miglioramento genetico e ha appena presentato i primi risultati del progetto Biotech (clicca per approfondire).

«L’Italia non aspetti i tempi di Bruxelles almeno per la sperimentazione». La veloce approvazione del disegno di legge sulle Tea, che vede tra i primi firmatari Filippo Gallinella, consentirebbe infatti di sperimentare in pieno campo, e non solo in laboratorio, le nuove varietà recuperando anni di competitività.


Caviro e Cevico insieme nella ricerca

Marco Nannetti, presidente di Terre Cevico

«La sostenibilità è per la cooperazione un impegno concreto, abbiamo introdotto già nei nostri vigneti i vitigni resistenti e abbiamo investito insieme in un progetto di ricerca per sviluppare 16 nuove varietà resistenti, figlie di vitigni autoctoni, assieme a Ri.Nova (ex Crpv) e Fondazione Mach». Lo spiegano Marco Nannetti di Terre Cevico e Carlo Dalmonte di Caviro, due delle maggiori realtà vitivinicole italiane che hanno sostenuto il progetto assieme anche a Riunite&Civ, e cantina di San Martino in Rio (Re).

«Un’esperienza condivisa molto positiva – ribadisce Nannetti – ma è chiaro che il nostro impegno è quello di rafforzare con queste innovazioni la carta delle denominazioni d’origine, l’alveo naturale su cui si concentrano i nostri programmi di promozione e comunicazione». Le piantine sviluppate da questo progetto sono già in campo da due anni. «Prove che ci consegnano già impressioni e la possibilità di esprimere valutazioni».

«Le nuove varietà sono diverse anche come epoca di maturazione e andranno interpretate in nuovi modelli di produzione che valorizzino ad esempio le chance del biologico. Che non può continuare a basare il proprio futuro di sostenibilità solo sui continui compromessi sulle quantità di rame che si possono impiegare all’anno».

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Resistenti e vitigni Tea, il derby dell’innovazione - Ultima modifica: 2022-01-26T20:43:16+01:00 da Lorenzo Tosi

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