Sangiovese resistente, una sfida strategica

Grappolo di Sangiovese 72-096, incrocio di Sangiovese x Bianca resistente a peronospora e oidio messo a punto da Iga e in valutazione presso Vcr
Prime aperture delle Regioni del Centro per i Piwi. Ma ancora nessuna doc. I vitigni resistenti sono risorse in chiave sostenibilità che meritano più fiducia

I vitigni resistenti bussano alle porte delle Regioni del Centro-Sud. La sfida della loro accettazione si può infatti vincere solo se queste nuove varietà riescono a ripercorrere in senso opposto l’intera rotta millenaria seguita da Vitis vinifera dalla Magna Grecia fino al Centro Europa.

A 13 anni dall’iscrizione al registro nazionale dei primi Piwi di origine tedesca (Bronner e Regent) e a 7 dalle prime varietà resistenti messe a punto in Italia (Fleurtai, Julius, Soreli) la loro coltivazione è però ancora concentrata nel Triveneto e in Lombardia.

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Barbatelle crescono

L’ultimo appello del 2020 ne registrava infatti poco più di 650 ettari, di cui tre quarti tra Veneto e Friuli, anche se presso i vivai attrezzati la produzione di innesti talea cresce progressivamente arrivando nel 2021 a oltre 2,5 milioni di barbatelle, molte destinate all’estero. A sud del Po devono aver invece prevalso limiti linguistici che hanno fatto tornare per molti anni vivaisti e costitutori “con i Pivi nel sacco”.

Produzione innesti-talee 2021
vitigno n. innesti
SORELI 603.000
MERLOT KHORUS 427.000
FLEURTAI 235.000
SOUVIGNER GRIS 218.000
CABERNET VOLOS 181.000
ALTRI RESISTENTI 885.000
TOTALE 2.594.000

 


Un’identità da costruire

Piwi è un acronimo che viene dal tedesco Pilzwiderstandfähige che significa “viti resistenti ai funghi».

Alcuni motivati produttori ed enologi sono impegnati a trasformare questa sigla in un marchio di successo sviluppando interessanti esperienze di rete. I vini varietali in Italia hanno però sempre acchiappato poco. La chiave di valorizzazione più efficace continua ad essere la piramide territoriale.

Alcune esperienze di successo mostrano che i resistenti crescono in qualità e in reputazione quando riescono a intrecciarsi pienamente con il concetto di denominazione e terroir. La partita decisiva da giocare è quindi quella dell’inserimento dei resistenti nelle Doc, come sta capitando in Francia.

L’articolo 33 del Testo Unico della vite del vino, che lo vieterebbe, è di fatto superato, nel rispetto della gerarchia delle fonti giuridiche, dall’apertura della nuova ocm unica nei confronti di queste varietà. Il vero cambiamento può arrivare però solo dal mondo dei Consorzi di tutela con l’ok a modifiche dei disciplinari che ne consentano l’utilizzo anche solo come varietà complementari.


I riscontri a Sanguis Jovis

Qualcosa però sta cambiando. La Regione Emilia-Romagna ha autorizzato la coltivazione di 9 nuovi vitigni resistenti a peronospora e oidio dal 2020. Analoga la scelta dell’Abruzzo dove il via libera riguarda per ora 4 resistenti targati Iga-Vcr, ma altri sono in osservazione. Le Marche hanno allargato l’osservazione a 12 vitigni resistenti e i primi riscontri sono estremamente positivi. Anche il Piemonte ha aperto i confini a quattro vitigni resistenti di Rauscedo, per ora in osservazione, mentre Lazio, Campania e Puglia, dove le prove regionali sono finite da un pezzo, ancora rimandano ogni decisione in merito.

In Toscana è Castello Banfi a portare avanti una sperimentazione anti climate change che coinvolge 25 vitigni tra resistenti, alloctoni, autoctoni e incroci interspecifici in collaborazione con Crea Viticoltura Enologia, Fondazione Mach e Vcr. A Montalcino, durante l’ultima edizione della Summer School Sanguis Jovis, l’alta scuola di formazione creata da Fondazione Banfi che rappresenta il primo centro di ricerca permanente sul Sangiovese, Sergio Puccioni del Crea-VE di Arezzo ha illustrato i risultati delle prime microvinificazioni di varietà resistenti tra cui alcune “figlie” di Sangiovese a confronto con testimoni tradizionali.

Le resistenti made in Italy oggi iscritte derivano infatti tutte da vitigni internazionali come Sauvignon blanc, Merlot, Cabernet sauvignon, Pinot bianco e nero (e presto Traminer) oppure da autoctoni del Nord come Friulano (ex Tocai) messe a punto dall’Istituto di Genomica agraria di Udine (la prossima sarà Glera), oltre a Nosiola e Teroldego messe a punto a San Michele all’Adige (Tn). Secondo Attilio Scienza, presidente di Sanguis Jovis, le amministrazioni regionali e i Consorzi di tutela del Centro-Sud si dimostreranno più aperti nei confronti dei resistenti quando potranno disporre di materiale ottenuto da varietà autoctone locali.

Il principe degli autoctoni

la degustazione di vini da vitigni resistenti organizzata a Montalcino dalla Fondazione Banfi in occasione della Sanguis Jovis Summer school

Tra queste il Sangiovese è sicuramente il più diffuso. I Vivai cooperativi Rauscedo valutano da anni l’affidabilità delle prime varietà resistenti ottenute da questo parentale nobile, collezionando il più ampio numero di dati riguardo alla stabilità e all’adattamento, consapevoli dell’importanza strategica di questo vitigno per il nostro Paese. Al riguardo i riscontri che arrivano da Montalcino sono decisamente incoraggianti.

I cambiamenti climatici stanno colpendo infatti duro nell’area di produzione del Brunello. Gli stress idrici e termici del 2021 hanno condizionato pesantemente i risultati enologici del Merlot Khorus, che ha registrato cali di acidità durante la vinificazione. Non così per varietà non ancora iscritte come F42 P 136, incrocio di Sangiovese x Teroldego ottenuto da Fondazione Mach e Sangiovese 72-096, incrocio di Sangiovese x Bianca resistente a peronospora e oidio messo a punto da Iga e Vcr. Quest’ultimo in particolare ha registrato ottimi risultati in termini di colore, antociani, acidità e aromi tipici. In campo non ha mostrato segni di acinellatura, dimostrando di poter crescere bene quando è inserito nell’ambiente pedoclimatico corretto. Le rese possono ancora aumentare, arrivando a 80-90 q/ha se si corregge la tecnica colturale, ovvero se non viene potato troppo corto. Riscontri positivi che possono rappresentare la spinta decisiva per arrivare alla richiesta di registrazione di questa varietà, migliorando la percezione delle varietà resistenti in Italia.

La scheda del Sangiovese resistente (dalla relazione di Sergio Puccioni del Crea-VE di Arezzo)

Sostenibilità e territorio

Risorse che consentono di ridurre significativamente, dal 40 al 75%, il numero dei trattamenti fungicidi sia in agricoltura convenzionale che biologica, offrendo la risposta più efficace alle aspettative delle istituzioni (Farm to Fork) e alla sensibilità dei consumatori. E che costituiscono un’importante leva per qualsiasi strategia di marketing territoriale, fornendo risposte concrete alle ansie collegate a una superficie  vitata in aumento e sempre più inglobata nel tessuto civile.

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Sangiovese resistente, una sfida strategica - Ultima modifica: 2022-07-19T20:42:52+02:00 da Lorenzo Tosi

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