La viticoltura di domani: nuovi portinnesti per nuove esigenze

Attilio Scienza
L'intervento di Attilio Scienza, dell'Università di Milano, al webinar "Portinnesti M, una scelta radicale".

«Le viti sono come uomini capovolti, con la testa nel suolo e i piedi in aria».

Ovvero: il centro di comando di ogni vigneto è nelle radici.

Lo diceva il filosofo pluralista Democrito nel IV secolo avanti Cristo, quello che ha preconizzato l’esistenza degli atomi, e lo ha ricordato Attilio Scienza dell’Università di Milano nel corso del webinar “Portinnesti M, una scelta radicale” organizzato da Vcr, Vivai Cooperativi Rauscedo assieme a Università di Milano, WineGraft e la nostra rivista VVQ lo scorso 12 marzo.

L'intervento di Attilio Scienza

Il presente e il futuro della viticoltura

Il problema è che per oltre un secolo il settore del vino, dopo l’emergenza fillossera di fine ‘800, non si è più occupato delle radici, ovvero dei portinnesti.

«Metà della superficie italiana a portinnesti – ricorda Scienza – è dedicata agli ibridi Vitis riparia X V.berlandieri, ma negli ultimi anni è cresciuto molto il ruolo degli ibridi V.rupestris X V.berlandieri come 110Richter e 140Ruggeri per la necessità di contrastare gli effetti del cambiamento climatico».

Nei nuovi impianti si ricerca infatti, spesso anche al Nord, una maggiore tolleranza alla siccità, ma secondo Scienza non è la strada più corretta.

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Quarant'anni di portinnesti M

«Non si può costruire il futuro cercando di adeguare il passato. Sei portinnesti sono troppo pochi per fare fronte alle nuove sfide».

Per questo, all’inizio degli anni ’80, Scienza e ha avviato con il gruppo di lavoro dell’Università di Milano un programma di miglioramento genetico che è culminato nel 2014, dopo 34 anni, con l’iscrizione dei 4 portinnesti della serie M al registro nazionale. Un’attività che va avanti ancora oggi con le valutazioni delle performance quali quantitative dei nuovi portinnesti nei diversi areali vitati.

Piccole molecole per comunicare

«Avevamo trascurato i portinnesti pensando che avessero solo un ruolo nella resistenza alla fillossera e al calcare, invece nell’ambito del progetto Ager Serres sui portinnesti M, sostenuto da alcune Fondazioni Bancarie e a cui hanno partecipato anche altri istituti di ricerca come l’Università di Torino, Fondazione Mach e il Crea Viticoltura e Enologia, abbiamo scoperto le basi fisiologiche del meccanismo con cui le radici interagiscono sui risultati vegeto produttivi».

Democrito lo aveva in qualche modo immaginato: le radici sono in grado di “comunicare” con le foglie e i grappoli, attraverso molecole piccole ma potenti come alcuni frammenti di RNA messaggero che sono trasportate all’interno della pianta e sono in grado di silenziare l’espressione di alcuni geni interferendo con la fioritura o assicurando maggiore resistenza agli stress.

Il problema della deriva genetica

Un meccanismo che consente di capire in che modo i portinnesti M possano essere più reattivi degli altri, ma c’è un problema da superare, ovvero quello della deriva genetica.

I portinnesti oggi dominanti, selezionati con gli obiettivi principali della resistenza alla fillossera (ancora ben presente in Italia) e della tolleranza alla clorosi ferrica, sono stati infatti ottenuti da incroci tra V.riparia, V.berlandieri e V. rupestris effettuati con un numero esiguo di genitori, il che riduce notevolmente la loro variabilità genetica.

150mila semi per il futuro

Per questo il futuro della ricerca dei portinnesti parte dal recupero di una maggiore variabilità genetica proveniente da specie americane che vivono in condizioni estreme. L’Università di Milano ha infatti collezionato 150mila semi di viti selvatiche provenienti da aree come il Grand Canyon (Vitis cinerea var. helleri, il nome “moderno” della V. berlandieri) o laghi salati (V.arizonica).

I nuovi portinnesti della serie M arriveranno da qui.

scarica la relazione di Attilio Scienza

La viticoltura di domani: nuovi portinnesti per nuove esigenze - Ultima modifica: 2021-04-02T18:12:04+02:00 da Lorenzo Tosi

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