A colloquio coi personaggi chiave di Barone Ricasoli, la più antica azienda vitivinicola italiana

Alla ricerca del vino perfetto

La tradizione non è un valore assoluto o statico
La nuova cantina di vinificazione di Barone Ricasoli, nata nel 2012 ed evoluzione, nonché prolungamento (in senso sia architettonico sia tecnologico) della cantina precedente. La struttura è stata realizzata dal Gruppo Moretti, la progettazione e l'impiantistica da Emex Engeneering mentre il controllo di temperature, follature e ossigenazione è stato curato da Parsec Srl.

La nuova cantina di vinificazione di Barone Ricasoli, nata nel 2012 ed evoluzione, nonché prolungamento (in senso sia architettonico sia tecnologico) della cantina precedente. La struttura è stata realizzata dal Gruppo Moretti, la progettazione e l'impiantistica da Emex Engeneering mentre il controllo di temperature, follature e ossigenazione è stato curato da Parsec Srl. Nata nel 1141, Barone Ricasoli con il Castello di Brolio è la più antica azienda vitivinicola italiana, la quarta al mondo per longevità tra quelle di proprietà di una stessa famiglia. La storia moderna e il successo dei vini di Brolio sono dovuti alla figura quasi leggendaria e attualissima di Bettino Ricasoli, vissuto nell’Ottocento. Il Barone di ferro, come fu soprannominato, lasciata la vita politica dopo due mandati da Primo Ministro nel nascente Regno d'Italia, ritiratosi al Castello di Brolio, dette inizio a quello che sarebbe stato un lungo percorso di ricerca, condotto con spirito e rigore assolutamente scientifici. Ed essendo il suo obiettivo ambizioso, la “formula del vino perfetto”, era indubbio che il percorso sarebbe stato lungo e che avrebbe coinvolto anche le generazioni successive. Quasi come nella ricerca della felicità, ogni volta che ci si avvicina alla perfezione, come aveva fatto il Barone Bettino quando nel 1872 aveva formulato la composizione del moderno Chianti Classico, sopravviene un cambiamento, una nuova conoscenza, una scintilla, che porta a inseguire un nuovo obiettivo di qualità.

Francesco Ricasoli, alla guida dell'azienda Barone Ricasoli dal 1993.
Così nasce il rapporto profondo e pragmatico tra ricerca e produzione e tra tradizione e innovazione alla base della filosofia della Barone Ricasoli, che ci descrive lo stesso Francesco Ricasoli, alla guida dell'azienda dal 1993, responsabile della sua rinascita e profondamente convinto che un'azienda antica che ha fatto la tradizione di un intero territorio non sia un'azienda ferma e che guarda al passato. “Personalmente sono molto critico ‒ spiega ‒ nel considerare la tradizione come un valore assoluto o statico. Per me la tradizione è un concetto dinamico, l'esatto opposto della staticità, è qualcosa che si rinnova continuamente. Credo che se Bettino Ricasoli ci guardasse, sorriderebbe di come si considera la tradizione ai nostri giorni, perché lui stesso era un innovatore e quello che ha fatto oggi è diventato tradizione. La tradizione intesa modernamente significa sposare alcuni Dna immutabili che si posseggono con un ciclo di vita che è diverso”. I Dna della Barone Ricasoli sono il territorio e il Sangiovese ed è quindi nella valorizzazione delle differenze individuate nel primo e nella riscoperta e nel recupero delle peculiarità del secondo che si è mossa la ricerca e la sperimentazione dell'azienda nel ventunesimo secolo.

La zonazione aziendale e il progetto cru

Marco Cerqua, direttore tecnico e responsabile enologico della Barone Ricasoli.
Dal 2006 ‒ afferma Marco Cerqua, responsabile enologico e direttore tecnico della Barone Ricasoli ‒ le uve provenienti da ogni singolo vigneto vengono vinificate separatamente. Ogni anno facciamo dalle 200 alle 250 vinificazioni separate. Nel tempo abbiamo imparato a conoscere le differenze delle uve e ad identificare uve e vini non più con la varietà ma con la vigna: ci sono vigne che danno struttura, colore ed aromaticità più importanti, altre che trasmettono una diversa mineralità e complessità”. Dalla consapevolezza della diversità delle vigne e dei terreni è nato il progetto di zonazione aziendale del quale ci parla Massimiliano Biagi, responsabile agronomico. Il primo passo, dal 2007 al 2010, è stato lo sviluppo della carta dei suoli di tutti i vigneti, realizzata in collaborazione con il CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) per l'Agrobiologia e la Pedologia di Firenze e il CRA per la Viticoltura di Arezzo. Tutti i suoli vitati sono stati caratterizzati dal punto di vista geologico e pedologico. In una seconda fase è stato fatto un focus su un appezzamento che presentava una notevole variabilità di suoli in una zona più circoscritta, denominata Torricella. Chiusa l'esperienza della carta dei suoli, che verrà pubblicata a breve, è subito partito il progetto successivo che, con lo stesso gruppo di partner scientifici, terminerà nel 2014. “Nel nuovo progetto ‒ spiega Biagi ‒ sono state individuate quattro macro-aree con caratteristiche uniformi, all'interno delle quali si andrà a fare uno studio di approfondimento per verificare il comportamento soprattutto del Sangiovese e per valutare e capire le caratteristiche peculiari e di potenzialità enologica dei diversi terreni”. I suoli che caratterizzano le quattro macroaree individuate sono: il Macigno del Chianti, arenarie situate nella parte alta dell'azienda intorno al Castello; l'Alberese, con suoli calcarei di Montemorello, nella fascia immediatamente sottostante; i suoli alluvionali e i depositi marini nella parte intermedia dell'azienda e infine i suoli di depositi fluviali nella parte più a sud, confinante con il fiume Arbia, e in modo particolare in una vigna dai suoli detti depositi fluviali antichi, caratterizzati da un'elevata mineralità a disposizione delle viti.
Massimiliano Biagi, responsabile agronomico della Barone Ricasoli.
A livello produttivo la zonazione, che è la più grande svolta da una singola azienda nei suoi vigneti, ha portato alla creazione dei due cru aziendali: il Colledilà, Chianti Classico Sangiovese al 100% proveniente da una singola vigna con terreni prevalentemente calcarei, e un cru di Merlot (Igt), il Casalferro, proveniente da un vigneto molto grande, del quale sono stati selezionati 4-5 ettari per le caratteristiche di esposizione, oltre che di suolo, misto di macigno e calcare. “In realtà ‒ continua Biagi ‒ tutto il lavoro di zonazione non ha fatto che confermare e spiegare quello che anche già nel passato si sapeva sulle caratteristiche e sulle potenzialità dei diversi vigneti. Per esempio ci sono documenti che descrivono la vigna Colledilà che era un podere e che già nel 1800 dava i prodotti migliori, destinati alle selezioni aziendali”.

La selezione clonale

Il Castello di Brolio è posizionato nel punto più alto dell'azienda. Alla sua sinistra gli stabilimenti di produzione, tutti intorno i vigneti della Barone Ricasoli.
Il progetto di selezione clonale parte agli inizi degli anni Duemila, con la caratterizzazione e la descrizione dei biotipi di Sangiovese presenti in un vigneto di più di quarant'anni, uno dei più vecchi dell'azienda, tra gli ultimi ad essere reimpiantati perché presentava materiale vegetale diverso e interessante. “L'interesse ‒ spiega Massimiliano Biagi ‒ derivava dal fatto che si sapeva che in azienda fino a 40-50 anni fa tutto il materiale utilizzato nei nuovi vigneti era di provenienza aziendale, selezionato dagli impianti più vecchi. Quindi quello presente nel vigneto in questione era materiale che, impianto dopo impianto, aveva continuato ad essere moltiplicato all'interno dell'azienda nei secoli, prima franco di piede e dopo la fillossera con l'innesto sul piede americano. Se quei biotipi sono arrivati sani dal 1500 fino ad oggi, come possiamo ipotizzare, si può dire che si siano anche ben adattati a questo territorio. La selezione clonale e i cloni che presto saranno disponibili anche come materiale certificato è stato un vero e proprio salvataggio del Dna aziendale”. Nel lavoro, svolto in collaborazione con l'agronomo Fabio Burroni, Ernesto Chiappe (ideatore del progetto Autoctona) e con il CRA per la Viticoltura di Arezzo, sono stati individuati almeno 50 biotipi che, a seguito dello screening e all'indexaggio per il decelamento dei virus, si sono ridotti a 12 presunti cloni esenti da virosi. Questi sono stati raccolti, innestati su Kober 5BB e impiantati in una piccola vigna di osservazione. Negli anni successivi, dal 2009 al 2012, sono state fatte le microvinificazioni presso la cantina sperimentale del Consorzio Tuscania (del quale Barone Ricasoli è uno dei soci). A seguito delle valutazioni dei vini ottenuti, il numero di cloni interessanti si è ridotto e nel corso del 2013 verrà presentato al Ministero delle Politiche Agricole il dossier per il riconoscimento e l'iscrizione al registro nazionale di due dei cloni selezionati.

Gruppi di ricerca aperti ai fornitori

Tutto il vino di Barone Ricasoli viene affinato in legno, anche se negli ultimi anni l’azienda sta progressivamente sostituendo le barrique con i tonneau.
Quello dell'assaggio e della tavola rotonda è un metodo che la Ricerca e Sviluppo di Barone Ricasoli applica in diverse scelte produttive, come nella prova dei legni che da anni viene svolta in azienda e condivisa con fornitori e collaboratori, e più recentemente nelle prove dei tappi. “Ogni anno scegliamo un Sangiovese, proveniente da un vigneto ‒ racconta Marco Cerqua ‒ e al termine della fermentazione malolattica si riempiono due barrique o due tonneau di diverse tipologie di legno (provenienza, stagionatura, tostatura). Ogni fornitore generalmente partecipa alla prova con 4-5 tipologie per un totale di 25-30 prove replicate in doppio. La prova dura 2-3 anni, con la normale gestione dei travasi. Dopo circa un anno e mezzo si fa la prima degustazione alla cieca, alla quale si invitano tutti i fornitori e si utilizza una scheda con un punteggio espresso in centesimi. Nel set si aggiungono sempre anche legni più vecchi, di secondo e terzo passaggio, e alcuni blend. Al termine della degustazione si elaborano e si presentano i risultati per discuterli insieme. Negli anni abbiamo osservato risultati che si andavano ripetendo e che abbiamo poi utilizzato per ottimizzare i nostri processi. Per esempio, nelle prime 12-13 posizioni c'erano sempre tutti i tonneau, per cui progressivamente la quota di tonneau in cantina è andata aumentando. A partire dal 2012 utilizziamo soltanto questi contenitori in legno. Si è creata così una collaborazione importante tra l'azienda e i fornitori, fondamentale per entrambi perché mentre noi impariamo qualcosa sui legni, essi capiscono e imparano quello che serve al Sangiovese, per essere delicato ed elegante, con lo stile adatto a rappresentare l'azienda”.   [box title="L’azienda in poche cifre" color="#c00"] Barone Ricasoli è un'azienda di 1.200 ettari dei quali 230 a vigneto, che si estendono intorno al Castello di Brolio, tra i comuni di Gaiole in Chianti (FI) e Castelnuovo Berardenga (SI). L'azienda produce ogni anno circa 2 milioni di bottiglie, delle quali quasi i due terzi Chianti Classico Docg. Ben il 90% della produzione è destinato ai 52 mercati esteri nei quali Barone Ricasoli è presente.[/box]   [box title="La carta dei suoli in pratica" color="#c00"] Le caratteristiche dei suoli, rilevate con apposite indagini, sono state via via messe in relazione con quelle dei vini e le informazioni ottenute su ogni vigneto sono state utilizzate nella gestione agronomica. “Sui vigneti esistenti, la mappa dei suoli ‒ spiega Massimiliano Biagi ‒ ci è stata di aiuto nella pianificazione della nutrizione, che attualmente è organica al 100%; nei nuovi impianti abbiamo capito da questo studio che non si dovevano ripetere gli errori del passato e abbiamo evitato scassi troppo profondi, dando la precedenza al rispetto del suolo e della sua fertilità piuttosto che alla sistemazione delle pendenze e alla livellatura dei versanti per favorire il passaggio delle macchine”.[/box]   [box title="I cru, naturale evoluzione" color="#c00"] “Il progetto cru è andato a evolvere quella che era la tradizione dell'azienda ‒ spiega Marco Cerqua ‒ perché lo stesso Chianti, nella formula del Barone Bettino Ricasoli è nato come blend. Anno per anno, con le vinificazioni separate di tutte le vigne di Brolio, oltre a conoscere il territorio nel bicchiere eravamo in grado di scegliere i blend più adatti ad ogni etichetta. In barriccaia avevamo dei vini unici, dei fantastici cru. Tuttavia ci mancava il modo di far conoscere al mondo esterno questa nuova realtà di Brolio e il lavoro e la passione necessari per valorizzare il territorio. E così sono nati i due cru aziendali, nei quali le caratteristiche del territorio prevalgono e superano anche le caratteristiche stesse della varietà. Vini affascinanti e diretti, che ammaliano e conquistano per fragranza ed eleganza, e rendono ancor più leggibili gli altri vini della Barone Ricasoli, come il Castello di Brolio, primo vino aziendale complesso ed elegante, e gli altri blend di Chianti Classico, Brolio e Rocca Guicciarda”.[/box] Articolo a firma di Alessandra Biondi Bartolini - Consulente R&S - Pescia (PT) Approfondimenti a cura dell'Autore PER APPROFONDIRE

1872, il Chianti Classico, la formula del vino perfetto di Bettino Ricasoli

“...il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l'amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all'invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all'uso della tavola quotidiana...”

I rapporti con il mondo della ricerca

Bettino Ricasoli pose quasi 150 anni fa le basi di quello che è il concetto di innovazione e sviluppo aziendali, attivando anche in termini molto moderni rapporti e collaborazioni con le Università e con il mondo della scienza e della ricerca. Famoso è il suo carteggio con il professor Studiati dell'Università di Pisa, nel quale al termine del percorso quasi trentennale di collaborazione alla ricerca del vino perfetto, il Barone si congeda dall'amico accademico con parole che dovrebbero ancora oggi suggellare ogni convenzione di ricerca tra aziende e università: “...intanto battiamo la nostra strada, a Lei la scienza e un poco d’arte; a me più l’arte che la scienza”.

2012, la nuova cantina

La nuova cantina di vinificazione, chiamata tinaia, è nata nel 2012 ed è l'evoluzione ed il prolungamento (in senso sia archittettonico che tecnologico) della cantina precedente. La struttura è stata realizzata dal Gruppo Moretti, la progettazione e l'impiantistica da Emex Engeneering mentre il controllo di temperature, follature e ossigenazione è stato curato da Parsec s.r.l..

I tini troncoconici sono completamente termocondizionati per il caldo e per il freddo e sono dotati ognuno di una unità di micro e macro-ossigenazione.
La vinificazione delle uve dei diversi vigneti si svolge in tini troncoconici in acciaio riempiti per gravità attraverso una serie di oblò e grazie ad uno scivolo che si sposta lungo un binario. Ogni serbatoio è dotato di un follatore il cui movimento è programmato e guidato autonomamente e automaticamente sulla base dello stato di avanzamento della fermentazione. I serbatoi sono completamente termocondizionati con un impianto che permette di fare il caldo, il freddo e il superfreddo (per la stabilizzazione dei vini e per la regolazione esatta delle temperature di macerazione prefermentativa). Le temperature di fermentazione vengono controllate da due sonde, la prima e posta al centro della vasca immediatamente al di sotto del cappello dove la temperatura è più elevata, mentre la seconda è più in basso all'interno della massa liquida. Tutto viene gestito vasca per vasca da un software di gestione e controllo attraverso un quadro sinottico e da una sala di controllo adiacente alla stessa tinaia. “Nelle nostre condizioni, con i nostri vini che sono caratterizzati da pH bassi e gradi alcolici elevati, la fermentazione malolattica è il punto critico della vinficazione intorno alla quale si è andato adattando l'intero processo”, spiega Marco Cerqua. “All'inizio della fermenazione facciamo partire alcune fermentazioni malolattiche con il coinoculo e poi manteniamo un preinoculo attivo per inoculare tutte le altre masse.
Le sonde di temperatura all'interno dei tini troncoconici nella nuova cantina sono due, posizionate al centro e sotto al cappello e più in basso nella massa liquida.
Negli ultimi anni abbiamo abbassato le temperature di fermentazione, che si svolge al massimo intorno ai 26°C, proprio per non raggiungere temperature elevate e critiche per lo sviluppo dei batteri lattici. Le fermentazioni malolattiche, come il consumo degli zuccheri, vengono controllate quotidianamente dal nostro laboratorio di analisi. Generalmente le fermentazioni malolattiche si chiudono nel corso della macerazione post-fermentativa o poco dopo la svinatura. Il travaso viene deciso sulla base dell'osservazione microscopica delle fecce in sospensione e quando non ci sono più fecce pesanti il vino viene trasferito in barrique o in tonneau, per l’affinamento in legno".

Alla ricerca del vino perfetto - Ultima modifica: 2013-04-06T01:00:23+02:00 da Redazione

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