L'Agenzia Umbra Ricerche (AUR), ente di ricerca regionale che cura la raccolta, l'osservazione e l'analisi dei dati alle principali grandezze economiche e sociali, redigendo analisi, studi e rapporti periodici sugli andamenti congiunturali, dedica da alcuni mesi degli specifici focus al mondo del vino.
L'Umbria del vino e la contemporaneità
L'ultimo rapporto porta la data del 6 febbraio e la firma di Giuseppe Coco, sociologo economico, studioso attento alle mutazioni della società contemporanea, con particolare attenzione negli ultimi anni alle tematiche connesse al turismo.
Da qui il suo ultimo contributo su "L'Umbria del vino e la contemporaneità" nel quale si sofferma sull'industria del vino e sulle sue potenzialità per il settore turistico, "vista la sua enorme capacità attrattiva".
Un esercito di enoturisti con una spesa media alta
L'intervento ribadisce come quello degli enoturisti sia un esercito in costante crescita, attentissimo alla qualità del prodotto e alla dimensione esperienziale, con una notevole capacità di spesa: "dai dati disponibili si evince che mediamente spendono a persona attorno ai 90 euro quando non pernottano e 200 euro quando pernottano".
Peso vini da tavola più basso che nel resto d'Italia
Interessante il punto sui vini di qualità, con un confronto tra la strada percorsa dall'Umbria su questo fronte con quello che avviene in Italia, prendendo a riferimento il peso dei vini da tavola. "A livello nazionale - scrive Coco - la categoria dei vini da tavola occupa una quota parte del totale decisamente più ampia" rispetto a quanto avviene nel cuore verde d'Italia (tab. 1).
Piccole dimensioni ma offerta di qualità elevata
Tutti gli addetti ai lavori concordano sul fatto che l'Umbria, seppur di piccole dimensioni, è riuscita a mettere in piedi un’offerta di qualità che "non ha nulla da invidiare a quello che si può trovare in altre regioni molto più grandi e rinomate, siano esse italiane, australiane o californiane".
Sono i fine Wines a fare la differenza
Nonostante questi "complimenti", Giuseppe Coco evidenzia come tutto ciò non basti per riuscire a consacrarsi come un territorio top del vino. "E questo - spiega - perché la qualità è di fatto una precondizione necessaria ma non sufficiente per affermarsi appieno. Per far sì che questo succeda, c’è bisogno di mettere al proprio arco, piaccia o meno, quanti più vini di pregio possibili: i cosiddetti fine Wines fanno la differenza"
Il marketing del vino ha bisogno di icone
Dal punto di vista del marketing, evidenza il ricercatore dell'AUR, i fine wines sono tali quando diventano le icone di una narrazione capace di "tracciare nuovi orizzonti per l’immaginazione collettiva; generare un coinvolgimento legato a fattori emozionali e intangibili; dare visibilità e centralità anche a tutti quei territori vitivinicoli meno noti".
Il valore dei vigneti è il termometro della situazione
Altro aspetto messo in evidenza è come i fine Wines incidano sul valore dei vigneti, facendo diventare desiderabile acquisirne la proprietà. Non c'è da stupirsi, viene fatto notare da Coco con l'aiuto di una tabella, che per un ettaro di vigneto vi siano differenze abissali tra aree vinicole, magari pur non lontanissime.
Troppe cantine e piccole, nessun vino nei top brand
La conclusione di Giuseppe Coco dell'AUR è che il vino umbro fatichi ad imporre la sua forza narrativa. "E fatica - scrive - soprattutto per due ordini di fattori: per l’avere tante cantine piccole – oltre la metà delle circa 1.300 aziende vinificatrici produce meno di 100 ettolitri – dove il concetto di marketing è praticamente un estraneo; per il non avere nessun vino nella classifica dei top brand di alta gamma elaborato dalla London International Vintners Exchange (Liv-Ex).