Nome e cognome per i vitigni resistenti

Anteprima dell'editoriale del numero di luglio

L'ira funesta
Come nel caso del Pelide Achille, il vitigno d’origine chiarisce destino e provenienza delle nuove varietà. Non c’è niente di meglio per tutelare l’identità e l’origine dei nostri vini

Cantami o Diva degli eroici vitigni resistenti e delle valorose varietà di cui sono figli. Se anche Omero nell’incipit dell’Iliade si è sentito in obbligo di presentarci il più famoso eroe greco con nome e cognome (il patronimico Pelide, figlio di Peleo) chi siamo noi per pretendere che le nuove varietà di vite iscritte a registro rinuncino al loro nobile lignaggio?

La conquista dell'identità

Nomi e cognomi non sono solo suoni e lettere: nessuno di noi rinuncerebbe mai, nemmeno per un’istante, al binomio che ci chiarisce, da quando viviamo in una società evoluta, quella che è la nostra più preziosa e intima caratteristica, ovvero l’identità individuale. Una formula semplice che, da quando è stata inventata, risolve alcuni dei problemi più antichi dell’umanità.

Rovine del tempio di Apollo a Delfi, sul cui fronte era incisa la frase

"Conosci te stesso” (Gnōthi seautón): è la scritta che campeggiava sul tempio del Dio Apollo a Delfi e che per secoli ha influenzato i più importanti pensatori della cultura occidentale: da Socrate a Platone, da Kant a Nietzsche, fino a Pirandello (il più scettico sulla vera identità personale).

Quante volte guardandoci allo specchio ci chiediamo: io chi sono?
Quante volte ci sentiamo chiedere (tema clou nell’Italia di oggi): tu da dove vieni?

Qualità assieme a resistenza

Selezione di varietà resistenti in serra a San Michele all'Adige

Per i vitigni è la stessa cosa. L’analisi genetica consente oggi di risolvere alcune delle questioni più dibattute dall’enologia nazionale: l’origine e la diffusione di vitigni come il Sangiovese e i progenitori che, per incroci più o meno spontanei, hanno dato origine a questa ed altre varietà chiave. Del resto per il vino l’origine è una cosa seria e informazioni di questo tipo riempiono pagine e pagine di riviste scientifiche e divulgative.

Informazioni che, a maggior ragione, dovrebbero essere importanti anche per le moderne varietà resistenti ottenute per incrocio allo scopo di inserire geni di resistenza alle malattie all’interno di varietà pregiate, salvaguardando la qualità enologica (e il 97% dell’identità genetica) del parentale. Tanto vale, ora che abbiamo capito il “trucco”, che questa nobile provenienza possa essere indicata direttamente nel nome o nel cognome.

La chiarezza fa paura?

Invece secondo pareri importanti (Cesare Intrieri su notiziario dell’Accademia dei Georgofili del 14 maggio), il nome del parentale di Vitis vinifera non dovrebbe essere indicato, come mai?

Numerosi resistenti registrati in Italia riportano già il nome del genitore: Cabernet Eidos, Cabernet volos, Merlot Kanthus, Merlot Khorus, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis; Sauvignon Rytos. Varietà che si stanno diffondendo velocemente nelle Regioni dove sono autorizzati (Friuli, Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, a cui presto si aggiungerà anche l’Emilia Romagna) grazie al vantaggio economico e ambientale di abbattere i trattamenti fungicidi.

I progetti in cantiere

Questi nomi non potranno essere cambiati ma, secondo Intrieri, l’importante è che questa scelta non venga fatta per i vitigni nazionali. Il Teroldego resistente che si sta selezionando in Trentino, il Sangiovese, Albana, Trebbiano e Lambrusco resistenti in Emilia -Romagna, la Glera a prova di peronospora e oidio che sta nascendo a Conegliano e a Rauscedo: tutte dovranno, secondo il professore emerito, seguire l’esempio del Tocai e trovare un nome di fantasia (Soreli e Fleurtai, scelti perché il Tocai era già in preda ad una crisi d’identità normativa).

La Francia si è già schierata a favore

Un suggerimento che può essere dannoso e controproducente per l’enologia nazionale, proprio nel momento in cui si registrano aperture alla possibilità di utilizzare i resistenti anche per le doc. La Francia, ad esempio, l’ha già fatto: dalla scorsa vendemmia i resistenti possono entrare, con precise limitazioni, nelle Aoc transalpine. Una scelta che conta, anche perché non è assolutamente vero che l’iscrizione di resistenti con il nome di vitigni autoctoni possa indebolire il sistema delle doc nazionali.

Denominazioni, falso problema

Le denominazioni, infatti, non tutelano più da un pezzo l’esclusività territoriale dei vitigni (tranne poche menzioni come Lambrusco, per ora) ma solo l’origine. Tanto è vero che le doc stanno cambiando pelle (non più Sangiovese di Romagna, ma Romagna doc Sangiovese, ad esempio) e non è solo una formalità.

Se è vero che l’ineguagliabile patrimonio ampelografico delle varietà autoctone è una delle carte vincenti per il vino italiano, perché mai dovremmo rinunciare a questo vantaggio competitivo e ripartire da zero con nomi di fantasia? Nel nome c’è il destino, nel cognome la provenienza: bastano pochi click su alcuni siti per sapere, ad esempio, che la probabile provenienza del cognome del professore emerito nato a Firenze e docente a Bologna è la provincia di Cosenza (lo stesso percorso secolare del Sangiovese). Lasciamo che i resistenti abbiano un nome e un cognome: non c’è niente di meglio per tutelare l’origine.

Nome e cognome per i vitigni resistenti - Ultima modifica: 2019-06-21T12:10:14+02:00 da Lorenzo Tosi

2 Commenti

  1. Caro Lorenzo, personalmente concordo con Intrieri e non con te. Al più il nome del parentale dovrebbe venire dopo il nome di fantasia, dovrebbe essere, cioè, un “cognome” (cioè non Sauvignon Ritos ma Ritos Sauvignon). Il cognome rappresenta, infatti, etimologicamente, il patronimico. Tosi, figlio di Toso. Achille era Pelide, ma non Peleo, che era il padre. Il suo nome era Achille. Già è così, ad esempio, per il Cabernet Sauvignon. Inoltre la questione dovrebbe essere ridimensionata anche perché usare il nome del vitigno sulle DOC è una tradizione italiana, ma è fortemente messa in discussione come elemento di valorizzazione, in quanto il nome del vitigno non si può proteggere. Può avere senso su grandi denominazioni regionali o sovraregionali (Pinot grigio delle Venezie, Sicilia Nero d’Avola), o al contrario su prodotti di nicchia, ma in tutti gli altri casi sarebbe opportuno superare questa prassi privilegiando il nome del territorio. Invece sui vini cosiddetti varietali i nomi dei vitigni autoctoni in Italia non si possono usare (scelta discutibile, ma così è) , per cui battezzare i vitigni resistenti con nomi italiani sarebbe addirittura controproducente per loro, tagliandoli fuori dal mercato dei “varietali”, dove invece potrebbero avere la loro più logica collocazione.

    • Caro Maurizio, sei d’accordo con il professore Cesare Intrieri, ma per motivi opposti. La sua opinione è quella evitare l’apposizione del nome dei vitigni italiani sui resistenti da loro ottenuti per preservare la territorialità di questi storici vitigni. Tu, all’opposto, proprio perchè non si può (più) tutelare.
      Io continuo a pensare che è proprio per confermare il vantaggio delle nostre più rinomate denominazioni che occorrerebbe garantire una continuità varietale (…almeno famigliare) per un domani – non così fantascientifico vista la (scarsa) popolarità della difesa fitosanitaria- in cui la competitività di vitigni che consentono di passare da venti a pochi trattamenti ad ettaro li renderà indispensabili. Altrimenti la tipicità che ci assicura oggi un vantaggio competitivo anche sui mercati internazionali rimarrà solo un ricordo lontano (lacrime nella pioggia), annientata da una piramide della sostenibilità di verso diametralmente opposto. E questo anche nel caso in cui ai resistenti venissero aperte le porte dei varietali

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