Vendemmia horror. Ci sono annate che vengono ricordate per il gran caldo, altre per le gelate tardive, altre ancora per la grandine o il forte vento. E poi c’è l’annata 2017, da tramandare per la concomitanza di tutte queste disgrazie. La prima vittima sacrificata sull’altare del global warming è immateriale: il terreno impraticabile ha costretto ad annullare il match tra chi la spara più grossa nelle previsioni vendemmiali. Quest’anno ci sono ben pochi appigli per chi, di solito, sa vaticinare record produttivi e qualità a cinque stelle fin dallo stacco dei primi grappoli. Assoenologi e Uiv-Ismea, titolari del ruolo storico della stima, si sono trovate improvvisamente isolate nell’affrontare un compito mai così difficile. Assolto con un sostanziale pareggio: 41,1 milioni di ettolitri (-24%) per l’associazione professionale a fine agosto, 40 milioni (-26%) per l’Unione dei produttori di vino solo dieci giorni dopo. Forse saranno ancora meno. Quella dei quaranta milioni è infatti una trincea psicologica che consente di sentirci ancora al vertice della produzione mondiale, viste le concomitanti difficoltà registrate anche in Francia e Spagna. Una consolazione che può rivelarsi pericolosa. Non è la specie più intelligente a sopravvivere e nemmeno quella più forte. É quella più predisposta ai cambiamenti. Vale anche per il vino: negare il cambiamento del clima, del mercato, della tecnica non aiuta a individuare le contromisure necessarie. Sono infatti numerose le aziende che accusano danni e decurtazioni di reddito, ma non tutto è perduto. C’è chi è stato fortunato ed è stato risparmiato dagli effetti più nefasti dell’anticiclone Lucifero. E c’è chi si è preparato e ha saputo preservare quantità e qualità dei raccolti cambiando in corsa le pratiche colturali. Cimature, sfogliature e inerbimento dell’interfilare non sono più dogmi irrinunciabili. Le aziende che stanno portando in cantina buoni risultati (grazie anche alle piogge settembrine) sono quelle che non si sono arrese ai metodi e alle ricette preconfezionate, decidendo di non andare oltre la prima cimatura, oppure optando per il ritorno alla lavorazione del suolo dopo tanti anni (magari a file alterne) per contenere lo stress idrico delle viti. I diradamenti dei grappoli e la scelta del corretto timing dell’irrigazione di soccorso sono stati accorgimenti utili per evitare blocchi metabolici nella fase dell’invaiatura. L’irrigazione, vista come una tecnica nemica della qualità del vino fino a non molto tempo fa, è in realtà un elemento oggi indispensabile. La flessibilità, se sostenuta da scienza e coscienza, è la dote principale per non soccombere di fronte alla selezione naturale postulata da Darwin. Vale per la tecnica agronomica ed enologica, ma vale anche per l’abilità commerciale. L’export dell’Italia enologica è cresciuto negli ultimi anni grazie ad una strategia che ha fatto leva sicuramente sulla qualità, ma anche sulla quantità. Siamo partiti da posizioni di outsider e abbiamo saputo insediare i francesi nelle loro produzioni più tipiche. Il confronto dei prezzi medi però continua ad essere penalizzante per il Made in Italy. La penuria della vendemmia 2017 ci costringe a impegnarci al massimo anche nella sfida del valore. Editoriale di VVQ 7/2017, Ottobre
L’insegnamento della vendemmia 2017: adattare tecnica agronomica e strategia commerciale ai cambiamenti del clima e dei mercati