Una pubblicazione che mette nero su bianco i risultati di una lunga “ricerca”, non solo nel senso scientifico del termine ma anche nella sua accezione più “comune”: così potremmo definire il volume “Il senso del luogo di un vino e la firma aromatica dei cru Tedeschi”, presentato lo scorso giugno in un evento organizzato presso il polo San Floriano dell’Università di Verona.
È proprio quel “senso” che il “luogo” conferisce alle espressioni aromatiche dei loro vini che i fratelli Antonietta, Sabrina e Riccardo Tedeschi, alla guida di Tedeschi Wines (Pedemonte di Valpolicella, VR), hanno voluto scoprire in collaborazione con il professor Maurizio Ugliano, docente di Tecnologie e processi enologici e Wine identity and typicality presso il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona.
Uno studio cominciato nel 2017 con la caratterizzazione compositiva dei vitigni della Valpolicella, i cui risultati sono stati presentati nel 2021, e proseguito con un approfondimento sulle “firme aromatiche” che caratterizzano i cru dell’azienda, dominati da Corvina e Corvinone.
Il terroir: realtà o invenzione?
Jamie Goode, scrittore e oratore di fama internazionale, editorialista del quotidiano britannico “The Sunday Express” e collaboratore di “The World of Fine Wine e di Wine&Spirit”, ha firmato la prefazione del volume che raccoglie i risultati delle ricerche sui cru di Tedeschi Wines. «Penso si possa definire il terroir - ha affermato - come il valore che caratterizza i vini pregiati di tutto il mondo. I vini più costosi sul mercato sono tali in virtù della loro origine geografica. Ma pur essendo il terroir un concetto molto noto, esso è anche molto controverso. In California e in Australia vi sono scienziati che dubitano della reale esistenza del terroir e che lo reputano un’invenzione del marketing francese».
Goode non ha tuttavia dubbi sul fatto che il terroir sia qualcosa di assolutamente reale, che può essere definito in diversi modi, ma che è innanzitutto l’espressione del senso di un luogo, di un “altrove”, che opera su macroscala (una regione vitivinicola definita) e microscala (una singola parcella). All’interno di ciascuno di questi “luoghi” i vini assumono tratti specifici, non solo per effetto dell’ambiente di coltivazione delle uve, ma anche perché i produttori condividono conoscenze comuni in merito alle tecniche di trasformazione più adatte a valorizzare quelle specifiche uve.
È prova dell’esistenza del terroir il fatto che vini prodotti con lo stesso vitigno e le stesse pratiche enologiche, ma in appezzamenti diversi, possono essere anche molto differenti tra loro e presentare tratti caratteristici che si mantengono nel tempo. Così come ne è prova l’esperienza dei produttori di una determinata zona, che conoscono le proprie uve e il loro potenziale qualitativo in un determinato contesto produttivo.
«I vini - ha concluso Goode - sono la “firma” del luogo in cui vengono prodotti. La variabilità climatica da un anno all’altro è una sorta di “rumore nel sistema”, nonostante il quale i vini nati in un certo luogo mantengono sostanzialmente inalterati i loro tratti principali. Nella ricerca delle migliori tecniche di esaltazione di queste specificità, l’enologo deve fare una sorta di esercizio interpretativo, simile a ciò che si faceva un tempo quando si cercava la frequenza corretta per ascoltare una stazione radio. La scienza, invece, si deve preoccupare di comprendere i meccanismi alla base dell’associazione tra il terroir e ciò che troviamo nel bicchiere».
L’anno zero
Partire dall’osservazione della variabilità, misurarla e comprenderne (almeno in parte) le cause, per effettuare scelte produttive mirate a valorizzare le diversità: questo, come sottolineato da Maurizio Ugliano, è stato il filo conduttore della ricerca. «Ci siamo posti la domanda “esiste davvero un senso del luogo per i vini Tedeschi?”. Per rispondere al quesito abbiamo dedicato un “anno zero” all’osservazione di ciò che avevamo a disposizione in azienda, ovvero vini prodotti in appezzamenti diversi, nei quali ci aspettavamo di trovare espressioni aromatiche differenti, pur nel rispetto dei tratti olfattivi caratteristici di Corvina e Corvinone».
Come si legge nella pubblicazione, dal punto di vista olfattivo “i vini Corvina si caratterizzano per una maggior intensità del carattere di frutti rossi e delle note floreali, mentre nel caso dei vini Corvinone i composti associati a note vegetali e speziate risultano maggiormente presenti. Si tratta quindi di due profili alquanto complementari nella costruzione stilistica dei vini della Valpolicella. La Corvina, con il suo contenuto relativamente elevato di terpeni, rappresenta un caso interessante nel contesto dei vini rossi non aromatici”.
L’anno zero ha dunque avuto lo scopo di capire quanto i vigneti di provenienza delle uve influenzassero, a livello sensoriale, i pattern aromatici dei vini Tedeschi. «Questo ci ha portato - ha sottolineato Ugliano - a individuare 5 appezzamenti in grado di dare vini ben differenziati: Monte Olmi e La Fabriseria, nella Valpolicella Classica, e Anfiteatro, Impervio e Barila all’interno di Tenuta Maternigo».
Un “disturbo” di nome annata
In ciascun appezzamento sono state scelte alcune viti rappresentative e per tre anni consecutivi (2017-18-19) le loro uve sono state portate in laboratorio e microvinificate seguendo uno stesso protocollo, prevedendo tre repliche per ogni vinificazione. Questo sia su uve fresche (modello rappresentativo dei vini Valpolicella) sia su uve appassite (modello rappresentativo dei vini Amarone).
«In questa fase – ha raccontato Ugliano - siamo passati dall’esaltazione alla delusione. Analizzando una sessantina di composti volatili presenti nei vini prodotti, si notava un effetto prevalente del fattore annata e non del fattore “luogo” (Figura 1).
Tuttavia, osservando più nel dettaglio l’espressione di alcuni specifici descrittori (e relative molecole), risultava evidente una ripetitività nei pattern: ad esempio, da un anno all’altro erano sempre i vini provenienti dagli stessi vigneti a dare le note più intense di fiori d’arancio (linalolo), pur cambiando in valore assoluto il contenuto della molecola nelle annate. Abbiamo così compreso di dover normalizzare i dati, ovvero individuare la media delle espressioni nelle singole annate, trovare massimi e minimi rispetto alla media e poi rimettere tutto in proporzione. Fatto questo, come per magia è emerso chiaro dai dati l’effetto vigneto, e questo per i vini ottenuti da entrambe le varietà (Figure 2 e 3)».
Valutazioni similari sono state eseguite per il beta-damascenone (sentori di frutti rossi e neri), l’etil-vanilato (spezie dolci) e altre molecole, giungendo così a decifrare una “firma aromatica” complessa per i vini da Corvina e Corvinone, variabile in funzione della provenienza delle uve. Di questa variabilità si sono studiate le cause.
Terpeni e appassimento
Terpene molto importante per l’espressione aromatica dei vini da uve Corvina, il linalolo nell’arco di qualche mese dall’imbottigliamento si degrada, per effetto del pH acido del vino. Il composto risultante da questa degradazione è l’1,8-cineolo, noto anche come eucaliptolo (molto usato in cosmetica e profumeria), che dona al vino note balsamiche e di menta. A elevati contenuti di linalolo nei vini Corvina giovani corrispondono elevati tenori di eucaliptolo nei vini Corvina evoluti, con una variabilità vigneto-dipendente evidenziata dai dati ma con un effetto annata molto importante: essendo questa degradazione strettamente legata al pH, a partire da uguali concentrazioni in linalolo, vini di annate diverse possono mostrare contenuti finali di eucaliptolo variabili.
Durante l’appassimento delle uve, il linalolo diminuisce fortemente di concentrazione, fino quasi a scomparire. Tuttavia, nell’Amarone i sentori balsamici e mentolati sono spesso molto intensi. A cosa si devono, dunque? Leggiamo nella pubblicazione: “L’1,4-cineolo è un terpene che esalta gli attributi di menta nel vino rosso. Sebbene la sua concentrazione sia molto bassa nei vini ottenuti da uve fresche, in uno studio condotto su diciassette vini commerciali Amarone di diverse origini è stato riscontrato che esso è il principale terpene odorosamente attivo. Durante l’invecchiamento, l’1,4-cineolo si forma lentamente a partire dal terpinen-4-olo, un altro terpene blandamente odoroso che si accumula negli acini a causa dello stress associato all’appassimento. Anche questo composto varia sensibilmente a seconda del vigneto di provenienza dell’uva e delle condizioni di appassimento”.
E il suolo?
«Attenzione - ha sottolineato Ugliano - a non cadere nell’errore di affermare che esistano sostanze sensorialmente attive che dal suolo passano all’uva e da questa al vino. Fatta eccezione per i vini prodotti da uve che maturano su terreni salmastri, nei quali sono frequenti le note saline, questa correlazione diretta non esiste».
A fare, invece, una differenza importante è la quantità di azoto assorbita dalle piante. Questo influenza l’Apa (Azoto Prontamente Assimilabile) del mosto e pertanto il modo in cui i lieviti, diversamente alimentati, produrranno aromi di fermentazione. Fondamentale, dunque, è non solo la composizione chimica del terreno, ma anche il suo microbiota, dalla cui azione sulla sostanza organica dipende la disponibilità di azoto nel suolo per l’assorbimento da parte delle radici.
Lieviti tecnologici vs fermentazioni spontanee
«Ci siamo anche interrogati - ha sottolineato Ugliano - sulla possibilità che l’uso di lieviti commerciali nelle fermentazioni possa annullare l’effetto terroir. Così, in una singola annata abbiamo diviso le nostre zone di osservazione in due macroaree: Valpolicella Classica (area 1), in cui abbiamo riunito le uve di Monte Olmi e La Fabriseria, e Valpolicella orientale (area 2), in cui abbiamo riunito le uve di Anfiteatro, Impervio e Barila. Ciascuno dei due pool di uve è stato vinificato in 5 modi diversi: con 4 lieviti commerciali, noti per le loro differenti capacità di sviluppare profumi, e con fermentazione spontanea. Ogni vinificazione è stata ripetuta in triplo. Abbiamo poi somministrato alla cieca questi vini a un panel esperto e chiesto ai partecipanti di raggruppare i vini degustati per similitudine olfattiva. Ne sono emersi tre gruppi: uno che riunisce tutti i vini della Valpolicella classica ottenuti con lieviti commerciali, uno che riunisce tutti quelli della Valpolicella orientale parimenti ottenuti con lieviti commerciali, e infine uno che riunisce tutti i vini (dall’area 1 e dall’area 2) ottenuti con vinificazioni spontanee. Il segnale è chiaro: le fermentazioni spontanee più difficilmente esprimono il senso del luogo, ma si caratterizzano invece per descrittori tipici di queste vinificazioni, molto riconoscibili».
Dallo studio all’azione
«Dedichiamo questo studio - ha affermato Sabrina Tedeschi - ai nostri genitori, che ci hanno insegnato il valore dell’attesa nel produrre i nostri vini. Valore che noi abbiamo applicato anche alla ricerca. Non solo: mettiamo i risultati fin qui ottenuti a disposizione di tutta la Valpolicella e del Consorzio di Tutela, con l’augurio che possano essere utili al progetto di suddivisione della denominazione in vallate, di cui si sta discutendo da qualche tempo».
«Da questi primi risultati - le ha fatto eco il fratello Riccardo - ci provengono molti suggerimenti su come modificare il nostro modo di lavorare per valorizzare al meglio le peculiarità dei nostri “luoghi”, dal punto di vista viticolo ed enologico. Uno dei nostri obiettivi, per esempio, è arrivare alla vendemmia con la maggior sanità e uniformità possibile delle uve».
Le figure presenti in questo articolo sono tratte dalla pubblicazione “Il senso del luogo di un vino e la firma aromatica dei cru Tedeschi”. Ringraziamo la famiglia Tedeschi e il prof. Maurizio Ugliano per l’autorizzazione alla pubblicazione.