Durante lo scorso autunno mi sono trovato a seguire alcune vendemmie in un paese dei Balcani. Uno di quelli dai quali, negli ultimi dieci o venti anni, l’Italia ha “importato” numeri senz'altro rilevanti di lavoratori impiegati nei settori più disparati, compreso il nostro amato comparto vitivinicolo. Non posso negare la meraviglia che ho provato nel riconoscere alla guida di una modernissima vendemmiatrice meccanica (di, come ben sappiamo, valore rilevante) un operaio che arrivava dal Bangladesh. Alla mia richiesta relativa al motivo per cui il nostro, peraltro molto attento e professionale, conduttore di macchine agricole arrivasse da tanto lontano, ho ricevuto una risposta forse ancor più sorprendente: in loco non è più possibile trovare trattoristi. Pensando a quanto spesso sia ormai molto difficile trovare trattoristi anche in Italia, è arrivata chiara e luminosa una deduzione: "siamo finiti".
Chi condurrà in nostri mezzi agricoli e chi poterà i nostri vigneti?
Quale potrebbe essere una possibile soluzione al problema?
L’immigrazione di manodopera, qualificata e non, da paesi ancora “sufficientemente poveri” e disposta ad accettare paghe orarie troppo basse per i nostri connazionali? Questa potrebbe essere, giocoforza, una soluzione solo temporanea e non applicabile nel medio e lungo periodo.
Aumentare le paghe orarie? Questa potrebbe essere la scelta corretta in tutti i sensi, contribuendo a migliorare la soddisfazione dei lavoratori e fornendo un’iniezione di denaro e potere di acquisto nell’economia locale.
Ma c’è un “ma”.
L’attività imprenditoriale nel settore vitivinicolo ha i margini economici sufficienti per poter, diciamo, raddoppiare il salario dei propri addetti? Con sincero rammarico temo di no. Non mi sembra di vedere una incontenibile corsa all’investimento nel nostro settore, basata sulla sua alta redditività economica. E non solo. Appena mi è possibile, amo potare personalmente i miei vigneti ma ben difficilmente riesco a scendere, mediamente, sotto i trenta secondi di lavoro per pianta; qual è il valore economico che il mio tempo dedicato alla potatura riesce a creare? Creo più valore potando un vigneto o svolgendo un’altra attività come barista, professore universitario, medico specialista in malattie reumatiche? I margini medi sul prodotto finale in agricoltura sono talmente ridotti che non c’è spazio per un (auspicabile) raddoppio dei salari. Il valore che un'ora di lavoro aggiunge alle nostre produzione di uve e di vini è limitato e non permette all'imprenditore di aumentare significativamente i salari.
L'innovazione come via di uscita?
Da sempre, nella storia dell'uomo, le nuove invenzioni hanno reso possibile la riduzione del lavoro manuale necessario per le varie attività, liberando così risorse (tempo) per altre attività: lavori più redditizi, studio, tempo libero. E questo è ciò che dovrà accadere anche nel nostro comparto. Nuove conoscenze e tecnologie e innovazioni potranno ridurre il fabbisogno di manodopera che non abbiamo più. Implementare sempre di più software, AI, meccanizzazione spinta cambierà il tipo di addetti necessari, che saranno di meno ma con maggiori competenze e salari decisamente più alti. Il settore è "povero" e sarà difficile trovare grandi industrie interessate a investire nell’innovazione di questo settore ma... abbiamo altre opzioni da valutare?
Editoriale di VVQ n. 7/2024