Il vetro è il contenitore più utilizzato per il vino. La classica bottiglia di vino, praticamente immutata dal XVII secolo, è considerata da molti come una preziosa tradizione e il contenitore più nobile per il pregiato nettare. Tuttavia, la produzione di bottiglie di vetro richiede enormi quantità di energia e la letteratura scientifica è ricca di studi che indicano proprio nel “nobile imballaggio” l’elemento più importante in termini di impatto ambientale durante il ciclo di vita del prodotto. A seconda degli studi, tra il 30 e il 40% dell'impronta di carbonio del vino viene attribuita infatti alla produzione di bottiglie di vetro. Si tratta di gran lunga della quantità maggiore di carbonio rispetto a qualsiasi altro passaggio ed elemento dell'industria vinicola. E se si pensa al numero di bottiglie immesse sul mercato ogni anno, allora si comprende l’impatto ambientale – oltre che economico – che questo imballaggio porta con sé e la differenza che potrebbe portare il fatto allungare il ciclo di vita delle bottiglie, riutilizzandole più volte, anziché eliminandole dopo un solo utilizzo.
Riutilizzare viene prima di riciclare
“Ma il vetro si ricicla”, obietterà qualcuno. Certo! Ma il processo di riciclo comporta la rottamazione di una bottiglia spesso ancora perfettamente intatta e funzionale, la fusione del vetro a dare nuove bottiglie con un impegno logistico ed energetico di non poca importanza: i forni per sciogliere il vetro, riciclato o meno che sia, consumano gas e funzionano 24 ore al giorno a oltre 1000 gradi; la logistica per recuperare le bottiglie comporta numerosi passaggi e trasporti. Insomma: riciclare non è a costo economico ed ambientale nullo. Afferma la dottoressa Roberta Destefanis, designer sistemica e assegnista di ricerca (nell'ambito di “NODES - Nord-Ovest Digitale E Sostenibile”, l'ecosistema di innovazione finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca (MUR) nell'ambito del PNRR, D.M. n. 1054 del 23 giugno 2022) presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN): «Il riciclo oggi è ancora troppo spesso considerato come la strada più virtuosa verso la sostenibilità, poiché non lo si pone in confronto con altre soluzioni praticabili - decisamente più nobili - capaci di allungare la vita dei beni, piuttosto che trattarli come rifiuti senza più valore. Il riciclo, inoltre, non è un processo neutro, né dal punto di vista economico, né dal punto di vista ambientale: è un processo industriale che comporta emissioni di CO2 e, secondo i principi dell’economia circolare che l’ Europa giustamente aspira ad affermare, questa pratica (che non condanno, ma che non può essere sempre preferibile) va vista come uno degli ultimi anelli di un’economia virtuosa, insieme ai processi che recuperano energia dai rifiuti. Prima del riciclo esistono pratiche più virtuose da contemplare, come ad esempio l’upcycling, il ricondizionamento e il riuso». Riguardo proprio al riuso (più specificatamente alla pratica del “refill”) e in riferimento al settore vitivinicolo di cui si occupa la sua ricerca, Destefanis cita un progetto europeo ormai concluso ma durato 4 anni - reWine - che avrebbe evidenziato la sensatezza economica e ambientale del riutilizzo delle bottiglie di vino entro determinate condizioni.
reWine: il sistema del vuoto a rendere sotto la lente
Il progetto europeo reWine, durato dal 2016-2020, ha avuto come principale obiettivo quello di dimostrare la fattibilità di una filiera del riutilizzo delle bottiglie di vino in Sud Europa. Con i suoi 4 anni di test, il coinvolgimento di 7 cantine, 2 distributori, 54 ristoranti, 35 negozi, 3 catene di supermercato, il recupero e riutilizzo di 82.238 bottiglie, ha dimostrato che il riutilizzo delle bottiglie nel settore vinicolo è tecnicamente ed economicamente fattibile, oltre che ambientalmente sensato. Naturalmente, questo è vero a condizione che alcuni parametri vengano rispettati. In particolare, sono 6 i fattori che determinano il successo o meno di una filiera del riutilizzo:
- caratteristiche della bottiglia (modello, etichetta e sistema di tappatura);
- trasporto della bottiglia;
- distanza dall'impianto di lavaggio;
- capacità di stoccaggio;
- condizioni igieniche di conservazione;
- incentivi per la restituzione della bottiglia vuota.
Il progetto riconosce che i benefici ambientali possono essere maggiori o minori a seconda della distanza tra le cantine e gli impianti di lavaggio e del numero di lavaggi necessari per garantire che la bottiglia sia pronta per un nuovo utilizzo. Ad esempio, per quanto riguarda l'impatto specifico sull'impronta di carbonio (Global Warming Potential, espresso in kg di CO2 equivalente), il risparmio accumulato dopo 8 riutilizzi (7 lavaggi) andrebbe, secondo i risultati di reWine, da 1,91 a 3,68 kg CO2 eq /bottiglia, a seconda della cantina, della logistica o della distanza da/per gli impianti di lavaggio.
Minore è la distanza tra la cantina e l'impianto di lavaggio, maggiori sono i benefici ambientali, ma tutti i movimenti che avvengono in un raggio massimo di 400 km - a seconda anche del numero di bottiglie movimentate - possono risultare ancora in un beneficio sia per l’ambiente che per l’economia. Oltre queste distanze si suggerisce la creazione di nuovi impianti di lavaggio, distribuiti sul territorio e di cui almeno uno in ogni certificazione di origine del vino. Il progetto reWine si è concentrato sulla regione spagnola della Catalogna, ma i risultati e le buone pratiche definite in esso possono essere replicate anche in altre regioni. «E se prendiamo per buono il calcolo dei 400 km massimi entro i quali si deve realizzare una filiera affinché vi sia un ritorno ambientale ed economico, quante sono le regioni italiane e le denominazioni che avrebbero la possibilità di realizzare una filiera di recupero e riuso? A maggior ragione se consideriamo la potenza organizzativa dei Consorzi e delle Cooperative… » riflette Destefanis.
Sintesi di articolo tratto da VVQ n. 7/2024
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