Rischio greenwashing per il vino

Rivendicare in etichetta indicazioni green e una maggiore attenzione alla sostenibilità non basta: i requisiti devono essere verificabili e dimostrabili. Si fa strada la certificazione obbligatoria

Se, da un lato, il sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola – previsto dal DL Rilancio e il cui disciplinare è stato recentemente approvato dal Ministero delle politiche agricole (VVQ n. 4/2022) – tende a razionalizzare e integrare gli standard esistenti, rimane il rischio di una comunicazione non efficace, oltre che ingannevole, finalizzata a rivendicare (indebitamente) imprecisati requisiti di sostenibilità, spesso non veritieri né dimostrabili.

Certamente un problema rispetto alla corretta informazione al consumatore che comunque tocca anche il rapporto di concorrenza, non sempre trasparente e leale, tra imprese vitivinicole che operano nello stesso segmento di mercato.

Articolo tratto da VVQ 7/2022

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Cos’è sostenibile?

L’impostazione della Pac post-2023, così come gli orientamenti delle politiche europee ancora in discussione, in particolare la strategia Farm to Fork, mettono al centro la sostenibilità come strumento per conciliare il nostro sistema alimentare con le esigenze del pianeta, ma anche per rispondere – precisa la comunicazione della Commissione Ue – alla crescente domanda dei consumatori europei di prodotti alimentari sani, equi e rispettosi dell'ambiente.

Si tratta di un approccio globale, come indicato dalla risoluzione OIV-VITI 641-2020, che stabilisce – per quanto riguarda il settore vitivinicolo – i principi della vitivinicoltura sostenibile, non soltanto sotto il profilo ambientale, ma anche rispetto agli impegni economici e sociali. La sostenibilità è però un concetto non definito e manca un elenco di requisiti minimi e condivisi, utili per poter rivendicare tale condizione in maniera chiara ed inequivocabile. Tuttavia sono tanti gli schemi volontari, caratterizzati da indicatori e obiettivi che, con proprie peculiarità e differenti livelli di apertura rispetto ai tre pilastri costitutivi della sostenibilità, prevedono un sistema di certificazione, affidato agli enti terzi affinché possano verificare la conformità dei requisiti indicati dagli standard.

Senza considerare il regime biologico, il cui schema – sebbene regolamentato a livello europeo – non si può ritenere esaustivo di tutti gli elementi ed i fattori che oggi invece rientrano a pieno titolo nella gestione sostenibile del vigneto e dei processi di cantina.

Il rischio greenwashing

Il consumatore è bombardato da tante informazioni ambientali non tutte attendibili e veritiere. È il caso delle indicazioni in etichetta che, in assenza di dati e di indicatori, suggeriscono comunque un impatto positivo del processo o del prodotto sull’ambiente, ad esempio per caratteristiche del prodotto, metodo di ottenimento, capacità di smaltimento degli imballaggi o per un minore impatto energetico.

E sono tante e tali le informazioni che esiste in effetti un concreto rischio greenwashing, anche tenendo conto degli esiti di uno screening recentemente promosso dalla Commissione europea: tra le affermazioni ecologiche online utilizzate in differenti settori economici, in quasi la metà dei casi vi era motivo di ritenere che tali indicazioni fossero esagerate, false o ingannevoli e potenzialmente in grado di configurare pratiche commerciali sleali (si veda la tabella).

Tabella 1 - Risultati dello screening predisposto a livello europeo finalizzato all’esame di affermazioni di sostenibilità apparentemente dubbie

Incidenza Circostanza
50% Il commerciante non aveva fornito ai consumatori informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione
37% L’affermazione conteneva formulazioni vaghe e generiche, come "cosciente", "rispettoso dell’ambiente", "sostenibile", finalizzate a suscitare nei consumatori l'impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull'ambiente
59% Il commerciante non aveva fornito elementi facilmente accessibili a sostegno delle sue affermazioni
42% Le autorità hanno avuto motivo di ritenere che l’affermazione potesse essere falsa o ingannevole, potenzialmente in grado di configurare una pratica commerciale sleale

fonte: Commissione europea

Le riflessioni a livello UE

La comunicazione 2021/C 526/01 della Commissione europea – documento di orientamento che analizza la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – dedica un ampio spazio alla sostenibilità e al rischio greenwashing, fenomeno definito come una indebita appropriazione di "virtù ambientaliste" finalizzata alla creazione di un’immagine verde.

E benché la comunicazione della Commissione non vieti l’utilizzo di dichiarazioni ecologiche in etichetta, è chiaramente precisato che queste devono essere basate su prove attendibili e verificabili, che tengano conto dei metodi e dei risultati scientifici, utili per dimostrare alle autorità competenti l’esattezza e la veridicità di quanto dichiarato. In altri termini, le informazioni sono credibili solo se verificabili: anche in tal caso l’onere della prova – precisa il documento – è a carico dell’operatore che rivendica in etichetta indicazioni di sostenibilità.

Si tratta di informazioni che non necessariamente devono essere convalidate da un sistema di certificazione ma sembra sia questa la strada per sgombrare il campo da equivoci e contenziosi.

La strada della certificazione obbligatoria

Per quanto riguarda il vino, le informazioni cosiddette "libere", cioè veritiere e documentabili, sono disciplinate dal DM 13 agosto 2012 e possono figurare nell’etichettatura dei vini a condizione siano riportate, per evitare il rischio confusione, in caratteri minimizzati e in maniera nettamente separata dalle indicazioni obbligatorie. Si tratta di un approccio che, come in altri casi, viene risolto a livello di autocontrollo aziendale, senza l’obbligo di dover sottoporre tali informazioni alla procedura di certificazione.

Tuttavia l’orientamento della comunicazione 2021/C 526/01 considera tale opportunità, essendo la certificazione un atto di parte terza in grado di attestare in maniera attendibile i requisiti e gli impegni indicati da standard volontari. È infatti riconosciuta la valenza e l’affidabilità di un tale approccio, tanto che la nuova proposta di direttiva europea che si pone l’obiettivo di migliorare il regime di tutela delle pratiche sleali, intende vietare l’utilizzo di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o non sono stabiliti da autorità pubbliche. In effetti il sistema di certificazione pone sempre in primo piano la documentabilità dei requisiti, condizione necessaria per assicurarne il successivo monitoraggio e riscontro da parte degli organismi di controllo.

Quali prospettive?

Una riflessione in materia di sostenibilità deve anche tener conto, sul lato dell’offerta, della necessità di garantire condizioni di parità e certezza giuridica per le imprese vitivinicole: il greenwashing penalizza infatti gli operatori che utilizzano marchi e loghi di sostenibilità perché concretamente impegnati nell’applicazione (dimostrabile) di requisiti e schemi volontari. Non c’è dubbio quindi che tra le priorità c’è la condivisione di regole e criteri minimi in modo che possa essere definito un perimetro normativo di requisiti, disciplinati e misurabili, oltre il quale non sia più possibile comunicare né rivendicare impegni di sostenibilità. E nonostante il fenomeno greenwashing riguardi il solo pilastro della sostenibilità ambientale, occorre considerare che le medesime necessità sono riconducibili anche agli altri due segmenti, economico e sociale, costitutivi di un approccio alla sostenibilità ormai condiviso e riconosciuto a livello internazionale.

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Un taglio alla “lunga coda” della sostenibilità

 

Rischio greenwashing per il vino - Ultima modifica: 2022-11-09T15:03:50+01:00 da K4

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