Un vino vero, che sappia parlare
la lingua di chi lo beve.
E che sappia raccontare i pensieri di chi lo produce. È questa in fondo la più intima ambizione di ogni produttore: infilare il proprio messaggio in una bottiglia, superare l’omologazione, bypassare l’enologo, il consorzio di tutela, il certificatore, il rivenditore e arrivare direttamente alle papille e al cuore del consumatore, sperando di trovare qualcuno che ci possa capire.
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Vini coraggiosi con la stessa forte personalità di chi li produce
La ricerca del tempo perduto
Vini che, come la madeleine di Proust, sappiano andare alla ricerca del tempo perduto. Rievocando ricordi rivelatori, come le 12 cipolle che sulla mensola del focolare di casa Bea hanno svelato al giovane Giampiero il segreto del ritmo delle stagioni.
«Mio nonno – racconta – le tagliava e le appoggiava sopra una pietra. Una al giorno per i primi 12 giorni dell'anno. Io mi divertivo a seguirne l’evoluzione, l’odore sempre più tenue, il lento appassimento, ogni anno diverso».
Vini secondo natura
Sono state queste cipolle a spingere anni dopo Giampiero a produrre vini “secondo natura” nell’azienda di famiglia Paolo Bea (www.paolobea.com) a Montefalco in Umbria. Una classica azienda casa e podere su uno dei declivi da cartolina dell’areale del Sagrantino, di proprietà della famiglia dal 1790, diventata unità produttiva nel 1973 per opera del padre Paolo. Ristrutturata nel 2005 da Giampiero, architetto prestato all’enologia, che l’ha dotata di una cantina funzionale e perfettamente inserita nel verde del paesaggio circostante.
La sua storia chiarisce una volta per tutte che l”eresia” dei vini naturali non è una nuova forma di esoterismo, non è la negazione della scienza.
Una sintesi di questo articolo è pubblicata sul numero 7/2020 di VVQ
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C’è la qualità, e pure la ricerca
«L’idea di vini naturali – insiste Giampiero Bea, che è stato tra i fondatori del consorzio
“ViniVeri”- pieni di difetti e di “puzze” è da rigettare». La qualità è un parametro che deve essere pienamente rispettato per partecipare agli eventi dei ViniVeri.
E nella sua azienda Bea rivela un’insospettabile propensione alla sperimentazione. È stato tra i primi a Montefalco a puntare sulla viticoltura di precisione attraverso il rilevamento in continuo dei parametri di temperatura e umidità in vigneto.
Ha ospitato sperimentazioni per la riduzione del dosaggio del rame, ad esempio con il ricorso alla zeolite.
Il suo stile produttivo è però rigoroso: evita trattamenti e lavorazioni invasive in vigneto, ha abolito addizioni e stabilizzazioni forzate in cantina. Massimo lo sforzo di ridurre la SO2 (no ai trattamenti post-raccolta e massimo 40-50 mg/l).
Continuare a produrre per secoli
«La natura – ribadisce - va osservata, ascoltata, compresa, mai dominata». Una scelta che quando è stata formulata era assolutamente controcorrente. «Volevo trasmettere la mia impronta senza stravolgere, con forzature tecniche, un modo di produrre che per secoli si è dimostrato pienamente sostenibile». Una scelta legata alla volontà di ribadire la propria identità personale e famigliare.
Bottiglie che sanno invecchiare bene
«Il vino è un essere vivente: mi piace che continui a evolversi e poter indovinare l'anno in cui sono cresciute le uve, immaginando le persone che le hanno curate e vendemmiate».
Lo dice la riccioluta enologa Maya a Miles, protagonista di Sideways, riduzione
cinematografica dell’omonimo romanzo di formazione ambientato tra i vigneti della Santa Ynez Valley in California.
Il problema è che vendemmie così non esistono più: devono essere tutte uguali e camouflage, con qualità rigorosamente a macchia di leopardo.
E il secondo problema è che indovinare l’annata di un vino è diventato impossibile.
Più Hollywood gira film per cercare di capire e interpretare il mito del vino e più il vino perde il suo carico di magia e di mistero.
Con l’evoluzione della tecnica e della tecnologia, soprattutto in cantina, il livello medio dei vini è infatti migliorato, ma finiscono per assomigliarsi tutti. E soprattutto non si affinano più: il vino ha imparato a mentire sulla sua età, smentendo la propria identità.
Personalità da assecondare
Tutto il contrario di quello che capita per i vini di Bea.
La sua è una scelta coraggiosa perché, senza la rete di sicurezza dei trattamenti, occorre
sempre affrontare la paura di perdere in poco tempo tutta la produzione per un attacco fitosanitario o per una fermentazione partita male.
«La natura ci dà dei segni e noi dobbiamo saperli osservare. Non sono io che faccio i vini, è la natura che li genera, perché lei ogni ciclo lo chiude». Un’idea che svela che per Bea ogni vino che produce sia come un figlio da allevare con metodo “montessoriano”.
«Ogni vendemmia ha la sua personalità da assecondare, adattando tempi e tecniche. Spesso sono le annate che partono male a dare poi, nel tempo, i vini migliori».
Un viaggio nel tempo e nello spazio
Il percorso di degustazione nei vini identitari di Bea diventa così un viaggio nel tempo e nello spazio, con le impronte dell'annata e del vigneto indelebilmente impresse dentro ogni etichetta.
La gamma va da bianchi o ex-bianchi che trasmettono il rispetto della biodiversità di questo angolo di Umbria come l’Arboreus Umbria Bianco Igt 2012. Un orange wine ottenuto da affinamenti in acciaio inox che durano fino a 36 mesi. "Generato" da uve di Trebbiano Spoletino raccolte da storiche alberate costituite da viti vecchie che trasmettono al vino note floreali, balsamiche e agrumate.
Il vivace Pipparello Montefalco Doc Rosso Riserva 2011 (blend da single vineyard di 60% Sangiovese, 25% Montepulciano e 15% Sagrantino) è caratterizzato da un’esuberanza che emerge anche dopo ben 56 giorni di permanenza sulle bucce, 12 mesi di affinamento in inox e 26 mesi in botte grande. Al naso, la lieve riduzione iniziale viene poi ben superata da frutta agrumata, rosa rossa e peonia, con bocca perfettamente coerente, tannini già levigati e integrati.
Il Rosso De Véo Umbria Rosso Igt 2010 nasce per infrangere le regole, inizialmente come Sagrantino non classificato (con uve da vigneti ancora troppo giovani), oggi vi confluiscono invece le uve che non vengono scelte per i top di gamma, ma non ha niente da invidiare per l'intensità e la morbidezza dei tannini.
Nel Pagliaro Montefalco Sagrantino Docg 2011 il colore rosso rubino vira verso tipici toni granati. Cinquantuno i giorni di contatto con le bucce. Molto balsamico e floreale, con punte di ribes nero, pompelmo rosa e fiori freschi.
Il viaggio di degustazione è ovviamente un percorso in salita che termina con l'etichetta più antica. Ma anche più elevata.
Cerrete Montefalco Sagrantino Docg 2009 è il vino ottenuto dall'omonimo vigneto da cui si selezionano le uve migliori. Potrebbe essere definito un "Gran Cru", se a Montefalco fosse stata effettuata una specifica zonizzazione. Cerrete è il vigneto più alto dell'azienda, caratterizzato da ottima elevazione, esposizione, orientamento e ventilazione.
Il vino è quello che forse più si avvicina al carattere di Giampiero Bea. Il Sagrantino è il vitigno più tannico e spigoloso che esista. Il colore, dopo i lunghi affinamenti, assume i toni di un granato quasi impenetrabile per la fitta trama tannica. Ma il tempo e la confidenza affinano questi tannini rendendoli morbidi e setosi e anche al naso dopo un po’ si apre rilevando tutti i suoi toni di frutta surmatura, pot-pourri e tostatura.