Mai come in questo momento storico il dibattito sull’utilizzo della via genetica per risolvere problemi viticoli legati all’impatto (soprattutto ambientale e sociale) dei trattamenti antiparassitari è diventato così vibrante.
La tematica del miglioramento genetico per la resistenza alle malattie è stata centrale anche nel recente XII Simposio Internazionale di Genetica della Vite tenutosi a Bordeaux dal 16 al 20 luglio 2018, organizzato da Serge Delrot dell’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin (Isvv). Un congresso molto partecipato dalla comunità scientifica internazionale, essendo presenti circa 340 ricercatori da 26 Paesi, con una folta rappresentanza cinese (circa 40 persone).
Articolo tratto dal numero 7/2018 di VVQ
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Per la prima volta è stata inserita nel programma una sessione dedicata ai rapporti tra breeding, consumatori e mercati, consci che tutto il lavoro di miglioramento genetico (che si sostanzia con il rilascio di nuovi vitigni o di versioni resistenti di quelli già diffusi) si debba interfacciare con tutti gli attori della filiera viti-vinicola, compresi i consumatori.
Descrivere in modo oggettivo: la fenomica
Chi scrive ha avuto modo di partecipare agli ultimi 9 congressi in materia (da quello organizzato dal professor Mario Fregoni a Verona nel 1985) e di essere quindi testimone dell’evoluzione non tanto degli obiettivi, quanto delle metodiche di breeding.
Gli obiettivi in sostanza sono legati alla resilienza nei confronti di stress biotici e abiotici e per questo sono necessarie conoscenze sempre più approfondite sulla fisiologia della vite e sulle basi genetiche dei vari caratteri che devono essere valutati (dal punto di vista fenotipico) in maniera obiettiva e precisa; di qui la necessità di fenotipizzare in maniera moderna le piante oggetto di studio, andando a definire una disciplina delle scienze -omiche denominata fenomica, che è stata oggetto di un workshop apposito organizzato da Reinhard Töpfer del Julius Kühn-Institut (JKI) di Geilweilerhof.
L’importanza di descrivere in maniera oggettiva i genotipi è anche alla base di un nuovo progetto francese (VITIRAMA, 2018-2020) che considera le collezioni di germoplasma di quello stato, ponendo particolare attenzione ai caratteri legati alla sensibilità alle malattie.
In cerca di resistenze
La parte iniziale del convegno è stata dedicata ai rapporti tra breeding e mercati - consumatori. Se si osservano le statistiche mondiali si nota che le varietà resistenti alle malattie (vecchi ibridi e nuove varietà) coprono circa il 6% della superficie vitata mondiale, essendo la V. vinifera la dominatrice incontrastata, soprattutto per le uve da vino. L’ibrido più coltivato, infatti, è un’uva da tavola (Kyoho, V. vinifera x V. labrusca), che occupa circa 365.000 ha in Cina. Tra le uve da vino, è il Brasile quello che coltiva più ibridi (circa 41.000 ha, 83% superficie totale uve da vino), seguito da USA e Moldavia (circa 12.000 ha), Russia (9.000 ha), Ungheria (7.000 ha) e Canada (2.500 ha).
In genere queste varietà vanno a colonizzare aree con condizioni ambientali sfavorevoli a V. vinifera, specie cui tutt’ora appartiene al stragrande maggioranza dei vitigni da vino coltivati, grazie alle eccellenti caratteristiche organolettiche che presenta.
È proprio quest’ultimo aspetto (la qualità del vino) il punto cruciale del discorso relativo agli ibridi: la reale accettazione dei vitigni resistenti da parte dei mercati è condizionata dalla qualità sensoriale dei vini che se ne ottengono, che deve essere uguale (o superiore) a quella dei vini da vitigni tradizionali di V. vinifera. Solo se questo attributo è presente, il fatto che i vini da varietà resistenti siano prodotti in maniera più sostenibile diventa un valore aggiunto. In tal senso, la sola perdita del carattere foxy tipico delle prime generazioni di ibridi euro-americani non è sufficiente a garantire una qualità analoga a quella delle uva da vinifera.
Al congresso sono state presentate alcune nuove varietà come ad esempio la BRS Vitoria (uva da tavola apirene brasiliana resistente a peronospora), molte novità cinesi da tavola, tre vitigni da vino russi (Dmitriy, Kurchanskiy, Vladimir, resistenti al freddo), tre americani dalla Florida (Majesty, Floriana, Onyx, resistenti alla Pierce’s disease), tre coreane (uve da tavola apireni), due sudafricane (uve da tavola apireni), una spagnola (Itumfifteen, uva da tavola resistente a oidio). Tra i programmi di miglioramento genetico per le resistenze dai quali si attendono nuovi vitigni, si ricordano quelli in corso in Italia presso la FEM di S. Michele all’Adige e il CREA-VE di Conegliano, nonché in altri paesi del mondo (Australia, Germania, Ungheria, USA, Cina, Francia, ecc.)
Anche i portinnesti sono stati oggetto di interesse, grazie a programmi di ricerca in corso specialmente in Francia (tolleranza alla clorosi ferrica, alla siccità), Australia (tolleranza alla salsedine), Italia.
Le problematiche legate al cambio climatico possono essere affrontate anche dal breeding e tra le varie iniziative a livello internazionale merita attenzione in programma francese NEWVINE focalizzato sull’individuazione di marker molecolari legati alla fenologia, alla qualità dell’uva e alla tipicità del vino.
Ibridi: le novità francesi
L’ibridazione con successivi reincroci con V. vinifera è la tecnica che per il momento ha fornito le varietà resistenti disponibili sul mercato mondiale (denominate anche PIWI, Pilzwiderstandsfahige). Si ricorda che l’Italia ha recentemente (2015) registrato 10 nuovi individui ottenuti dall’Università di Udine e che la Francia ne ha registrati 4 nel 2018 (Artaban, Vidoc, a bacca rossa e Floreal e Voltis a bacca bianca), nell’ambito del programma iniziato nel 2000 e denominato INRA-Res-Dur.
Le novità francesi (Artaban rosso e rosé, Vidoc rosso e Floreal bianco) sono state oggetto di degustazione (i vini) durante il convegno e tutti si sono dimostrati vinifera-simili (nessun gusto foxy); è questo un notevole passo in avanti rispetto ai vecchi ibridi, anche se altri ne devono essere fatti per ottenere vini paragonabili ai grandi rossi e bianchi francesi. Le resistenze a peronospora e oidio dei vitigni sopra citati sono poligeniche (ResDur1) e i genitori sono vecchi ibridi contenenti Rotundifolia (ottenuti da A. Bouquet) da una parte e Regent o Villaris (ottenuti dal JKI di Geilweilerhof) dall’altra.
La resistenza a oidio è indicata come totale mentre per la peronospora è indicata come elevata; sono invece sensibili al black rot, eccetto il Floreal che è parzialmente resistente. Le viti di queste nuove varietà sono state oggetto di una visita presso l’Isvv (Institute des Sciences de la Vigne et du Vin, Villenave d’Ornon, nei pressi di Bordeaux) dove sono coltivate, assieme al altre ancora sotto osservazione (non ancora registrate) potenzialmente migliori dal punto di vista delle resistenze durabili (ResDur2 e ResDur3). In questi nuovi programmi di miglioramento genetico per le resistenze è impegnato anche Géno-Vigne®, una UMT (Unité Mixte Technologique) che comprende l’Ifv, l’Inra e SupAgro Montpellier, nata nel 2008.
La Francia quindi si è dimostrata recentemente molto sensibile alla questione delle nuove varietà resistenti alle malattie, non solo approntando programmi di miglioramento genetico, ma anche valutando sul territorio francese varietà ottenute da altri, istituendo una rete denominata OSCAR (http://observatoire-cepages-resistants.fr). Tali esempi dovrebbero essere seguiti anche dall’Italia, che fa già qualcosa del genere, ma non ancora in maniera istituzionale. Il genome editing è invece ancora ai primi passi, ma soprattutto eventuali programmi di ricerca basati su questa tecnica sono al momento ostacolati dalla posizione assunta in merito dalla Commissione Europea nell’estate del 2018.
La reazione di consumatori e produttori
Da un punto di vista normativo si ricorda che l’attuale Ocm vino (Reg. 1308/2013) permetta la coltivazione delle nuove varietà resistenti alle malattie solo per la produzione di vini da tavola e vini a Igp, ma non ancora per le Dop, perché per queste ultime si possono usare solo vitigni di V. vinifera. Qui sorge un nuovo problema: questi nuovi individui sono da considerarsi ibridi o V. vinifera? Il mondo scientifico è diviso su questo aspetto e a parere di chi l’introduzione nelle Dop dovrebbe avvenire a piccoli passi andando prima a coprire la percentuale di vitigni secondari normalmente previsti nei disciplinari, sfruttando le varietà resistenti nelle zone cosiddette sensibili (vicino ad abitazioni, scuole ecc.).
Qual è la reazione del mercato alla diffusione di questi nuovi vitigni? Come già detto, il punto cruciale è la qualità organolettica del vino. Accertata questa, i problemi possono venire dai nomi delle varietà, che non attirano o destano sospetto nel consumatore; diventa dunque importante un’azione educativa e di divulgazione, con impegno di risorse e tempoe al contempo un’attenzione particolare da parte del breeder. Il nome può essere mascherato se si usa quello della Igp o (in futuro) quello della Dop.
Il mondo produttivo dimostra un interesse limitato, ma crescente: guardando i dati vivaistici italiani relativi alla produzione di innesti-talea di queste nuove varietà, si nota un incremento nel corso di questi ultimi anni, anche se il valore assoluto resta basso rispetto ai vitigni tradizionali di V. vinifera.
Ogm o no? L’importanza del dialogo scienza - consumatore
Più complicato è il discorso relativo all’accettazione da parte del mondo produttivo e del mercato di viti resistenti ottenute con le nuove tecnologie di miglioramento genetico (cisgenesi e genome editing). Recentemente l’Ue ha deciso di classificare come Ogm i prodotti del genome editing, ma anche se ciò non fosse avvenuto resterebbe il fatto che siamo sempre di fronte a una forma di manipolazione del Dna, nei confronti della quale un atteggiamento dell’opinione pubblica sospettoso, se non ostile, deve essere tenuto in conto. Proprio sul tema degli Ogm esiste il gap più ampio tra opinioni del mondo scientifico e opinioni della società e l’unico modo per ridurlo è instaurare con la società stessa un dialogo su basi razionali e non emotive. Solo se ciò avverrà l’innovazione scientifica rappresenterà un reale vantaggio per il viticoltore e tutto il sistema vino ne risulterà migliorato.
Articolo tratto dal numero 7/2018 di VVQ
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La carta delle nuove varietà resistenti alle malattie (e più in generale della sostenibilità del settore vitivinicolo) si può giocare anche nell’ambito delle azioni di contrasto al potere crescente della lobby anti-alcol che influenza (in senso negativo per il vino) importanti organismi decisionali internazionali come l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità): il vino non è distinto da altre bevande alcoliche e l’alcol è accostato, per pericolosità, al tabacco. Questo è un problema fortemente sentito a livello europeo, tanto che il Ceev (Comité Européen des Enterprises Vin) sta trattando da tempo con l’Ue per difendere il vino da questi attacchi: il mondo produttivo è conscio del pericolo derivante dall’abuso di vino, ma dall’altra parte enfatizza l’effetto positivo per la salute di un consumo moderato.
Verso una nuova viticoltura
In conclusione, sono ipotizzabili cambiamenti nella piattaforma varietale mondiale? Sì, se il livello qualitativo dei vini non ne risulterà compromesso, con il vantaggio di poter praticare una viticoltura più sostenibile. Se il nostro fine è il vino, il vitigno è un mezzo, come lo sono le tecniche colturali e le pratiche enologiche. La strada è degna di essere percorsa, ma è ancora lunga perché possa dare risultati duraturi occorre che tutta la filiera (compresi i consumatori) accetti questa nuova impostazione. Tutte le forme di sostenibilità devono essere perseguite, anche investendo una parte delle risorse disponibili nelle nuove tecniche di breeding (come ha fatto recentemente il Mipaaft) e nell’informazione corretta su di esse.
Luigi Bavaresco
DI.PRO.VE.S. e Centro di Ricerca
sulla Biodiversità e sul DNA antico
Università Cattolica S.C. (Piacenza)
Presidente Gruppo di Esperti Risorse
genetiche e selezione della vite dell’Oiv (Parigi)
Scienze -omiche, alta la guardia
Le scienze -omiche sono le grandi protagoniste di questa nuova fase storica, capaci di produrre una mole enorme di dati che devono poi essere interpretati e conservati in forma digitale.
Il rischio? Che il ricercatore perda progressivamente il contatto diretto con la pianta e si interfacci sempre più con le macchine; invocare un giusto equilibrio tra i due atteggiamenti.
Le possibilità
Durante il convegno di Bordeaux, lo scrivente ha presentato un lavoro che ha fatto il punto sulla situazione mondiale relativa al breeding per la resistenza alle malattie (nei vitigni da vino) e sulle prospettive. La riduzione degli input nel sistema vino rimane un aspetto fondamentale, riconosciuto tale dai produttori ma anche da altri attori della filiera, per rispondere alla domanda di sostenibilità da parte della società in senso lato. In alcune zone a forte densità viticola, inoltre, sono sorte contrapposizioni tra viticoltori e popolazione che vive in prossimità dei vigneti a causa del fastidio arrecato dai trattamenti antiparassitari; la necessità di intervenire è dunque impellente.
Alcune strade danno soluzioni di breve periodo, come il biocontrollo, l’uso di macchine distributrici a recupero, i modelli previsionali e la viticoltura di precisione; nel medio-lungo periodo è invece possibile puntare a ridurre la pressione delle malattie sulle piante. Quest’ultimo obiettivo si può raggiungere in vari modi: coltivando la vite in ambienti dove le malattie, fungine in particolare, sono poco diffuse; usando tecniche colturali che non forzano la produzione di uva; usando sostanze che aumentano la resistenza intrinseca della pianta; percorrendo la via della genetica, che è quella più potente. Ci sono a questo proposito diversi livelli di intervento che vanno dalla selezione clonale classica (effetto limitato, legato al massimo a una ridotta sensibilità alla botrite), all’incrocio, all’ibridazione, alle nuove tecnologie (soprattutto genome-editing).
L’incrocio (vinifera x vinifera) può essere interessante perché ultimamente sono state individuate varietà del vicino Oriente (Kishmish Vatkana e Dzhandzhal Kara) resistenti a oidio e una varietà della zona transcaucasica georgiana (Mgaloblishvili) resistente a peronospora.
Risorse genetiche: un gruppo di esperti all’Oiv
L’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv), con sede a Parigi, è un organismo intergovernativo a carattere scientifico e tecnico, dalle competenze riconosciute nel campo della vite, del vino, e di tutti gli altri prodotti derivati dalla vite.
Riunisce i rappresentanti di 46 stati membri allo scopo di fornire raccomandazioni ai responsabili nazionali del settore viti-vinicolo, in particolare nelle loro attività normative. Gli esperti, nominati dai Ministeri dell’Agricoltura, si organizzano in 4 diverse Commissioni (Viticoltura, Enologia, Economia e Diritto, Sicurezza e Salute) e due sotto-commissioni (Metodi di analisi; Uva da tavola, uva passa e prodotti non fermentati) con diversi Gruppi di Esperti, tra cui uno è dedicato alle Risorse genetiche e selezione della vite, presieduto da Luigi Bavaresco (nella foto) e dove attualmente sono in discussione le seguenti tematiche: aggiornamento dei caratteri ampelografici, definizione delle diverse categorie di materiale vegetale viticolo, conservazione della variabilità intravarietale e selezione policlonale, regole per la produzione e lo scambio di materiale viticolo, protocollo per l’identificazione varietale.