La salvaguardia del suolo agrario come risorsa ambientale è uno degli obbiettivi raccomandati dall’Unione Europea, unitamente alla salvaguardia delle risorse acqua ed aria. Sin dal 1985, con specifico riferimento alla viticoltura, la Commissione Europea auspica l’adozione di tecniche di gestione del suolo atte a limitare il ricorso alla lavorazione del terreno. L’inerbimento controllato è indicato nei regolamenti Comunitari di Agricoltura Biologica (Reg. CEE 2092/91) e di Agricoltura Integrata (Reg. CEE 2078/92) come metodo ecologicamente atto alla protezione dell’ambiente edafico. Vantaggi e svantaggi dell’inerbimento L’inerbimento del terreno vitato con essenze erbacee contrasta l’erosione superficiale, riduce le perdite per percolazione, mantiene la disponibilità di ferro e fosforo limitandone la retrogradazione, favorisce la traslocazione degli elementi minerali poco mobili, riduce l’incidenza degli attacchi di Botrytis cinerea, semplifica l’esecuzione delle operazioni colturali (percorribilità da parte delle macchine operatrici) e consente una riduzione dei costi di gestione. Al contrario, le ripetute lavorazioni inducono numerose e ben conosciute alterazioni del terreno agrario: rapida ossidazione della sostanza organica, formazione della suola di lavorazione, deterioramento della struttura e compattazione, riduzione della porosità e della permeabilità. Si aggravano di conseguenza gli inconvenienti della monocoltura: perdita di fertilità naturale, dilavamento invernale dei nitrati, eccesso di vigore e produttività, fisiopatie da squilibri nutrizionali, eccessiva semplificazione della biocenosi, difficoltà d’attuazione di programmi d’agricoltura integrata e manifestazioni di sindrome da reimpianto. Nonostante i numerosi vantaggi, l’inerbimento esercita nei confronti della vite una competizione idrica e nutrizionale che a volte può risultare rilevante, anche se dalla letteratura emergono risultati contrastanti. Il livello di tale competizione dipende infatti da numerosi fattori, tra cui l’andamento climatico, in particolare pluviometrico (entità e distribuzione delle precipitazioni), i fabbisogni idrici del vigneto, la capacità delle radici di ciascuna delle due specie (erbacea e arborea) di assorbire l’acqua dal suolo e le caratteristiche del terreno. La vite, in linea generale non rappresenta un buon competitore nei confronti delle essenze erbacee coltivate o infestanti, a causa della bassa densità del suo apparato radicale in confronto a quello delle specie erbacee: d’altra parte le radici della vite, in assenza di strati di suolo impermeabili, possono esplorare zone di terreno abbastanza profonde e, in presenza di un’essenza erbacea, distribuirsi al di sotto dello strato di suolo interessato dall’apparato radicale del cotico erboso. La diffusione dell’inerbimento in diverse aree viticole italiane, e di altri Paesi europei ed extraeuropei, ha messo in evidenza una serie di effetti diretti ed indiretti sulla vite ed in particolare il contenimento del vigore vegetativo e della produzione e il concomitante aumento della concentrazione in zuccheri e antociani. Queste implicazioni sulla qualità delle uve e dei vini hanno incentivato le ricerche circa l’interazione tra prato e vigneto, al fine di regolare correttamente l’effetto del cotico, adeguando la scelta delle specie, la durata nel tempo e la superficie coperta in funzione del raggiungimento di un preciso obiettivo enologico. L’importanza dell’ambiente pedoclimatico L’enorme variabilità delle situazioni pedoclimatiche che caratterizzano le zone di produzione vitivinicola impongono una gestione del suolo molto attenta e puntuale; infatti, come già più volte sottolineato, estendere al proprio ambiente i risultati ottenuti in un altro, anche se con caratteristiche simili, risulta essere quasi sempre un’operazione rischiosa e discutibile. L’unico vero fattore limitante per l’eventuale adozione dell’inerbimento del vigneto può essere la disponibilità di acqua, anche se attualmente vi sono valide soluzioni per superare una insufficiente dotazione idrica o in elementi nutritivi oppure per poter effettuare la semina solo in determinati momenti della stagione. GLI AMBIENTI SETTENTRIONALI Tecniche colturali & specie Negli ambienti settentrionali, normalmente con disponibilità idrica superiore ai 550-700 mm annui e soprattutto con una distribuzione regolare degli eventi piovosi, la tecnica dell’inerbimento, naturale o artificiale che sia, può rappresentare una soluzione percorribile, nonostante le ultime stagioni abbiano registrato condizioni climatiche sicuramente anomale e contraddistinte da lunghi periodi siccitosi: è evidente che in tali condizioni la disponibilità idrica e la fertilità del suolo giocano un ruolo determinante nella scelta della tecnica e delle specie da utilizzare. Sulla base di queste considerazioni, la tecnica dell’inerbimento permanente si articola fondamentalmente lungo tre direttrici: inerbimento a file alterne, inerbimento interfilare con diserbo chimico o meccanico sulla fila e inerbimento totale. Queste strategie consentono di modulare l’effetto del prato relativamente all’ambiente di coltivazione, alle esigenze del vigneto e all’obiettivo enologico prefissato. Attualmente nelle viticolture settentrionali la strategia più utilizzata è senz’altro la semina del cotico erboso nell’interfilare del vigneto associata al controllo, meccanico oppure chimico, della flora spontanea nella zona del sottofila, cercando in questo modo di limitare al massimo gli inconvenienti (importanti anche in questi ecosistemi) derivanti dalle competizioni, idrica e nutrizionale. Il vantaggio di questa tecnica risiede fondamentalmente nella sua elasticità applicativa, che consente con relativa facilità di modulare gli effetti relativi al rapporto vite-prato agendo sulla scelta delle specie (e al suo interno delle varietà), sul ritmo dei tagli del cotico, sul ripristino della fertilità del suolo, sugli interventi di controllo delle erbe spontanee al piede delle piante: queste scelte applicative causano inevitabilmente importanti modificazioni del comportamento vegeto-produttivo della vite, con variazioni del rapporto sink-source e delle componenti qualitative del grappolo. La ricerca da una parte e l’industria sementiera dall’altra hanno indirizzato inizialmente le loro osservazioni verso miscugli, anche complessi, che riproducessero le condizioni naturali; le esperienze maturate nel corso degli anni hanno portato ad una notevole riduzione delle specie impiegate, fino (quasi) all'utilizzo di prati monofiti, in considerazione del fatto che nel tempo si assisteva ad una progressiva semplificazione della floristica a vantaggio delle specie più aggressive. Le varietà maggiormente sperimentate e utilizzate sono riconducibili alle famiglie delle graminacee e delle leguminose. Tra le prime vanno sicuramente annoverate quelle a taglia bassa del tipo Lolium, Poa, Festuca, Bromus e Dactilys, mentre tra leguminose alcune specie di Trifolium e mediche autoriseminanti possono essere prese in considerazione per soluzioni pratiche che prevedano miscugli oppure inerbimenti temporanei. Le graminacee Le graminacee a taglia bassa richiedono un numero relativamente limitato di trinciature, sono dotate di elevata competitività nei confronti delle infestanti, garantiscono una buona portanza alle macchine agricole e forniscono buoni risultati di inerbimento soprattutto nelle aree con piovosità non limitante ed elevata disponibilità di azoto nel terreno. L’avidità di azoto minerale delle graminacee rappresenta un fattore favorevole per la prevenzione della lisciviazione dei nitrati nella stagione piovosa e fredda, ma può contribuire a deprimere il vigore del vigneto in assenza di adeguate concimazioni azotate; d’altra parte, se l’obiettivo è proprio quello di ridurre l’eccesso di azoto minerale e la disponibilità idrica per contenere il vigore vegetativo del vigneto, può essere opportuno orientarsi verso varietà di tipo foraggero piuttosto produttive. Le leguminose Le leguminose in generale vengono maggiormente consigliate per gli ambienti meridionali, poiché sensibili al freddo, anche se attualmente l’industria sementiera ha messo a disposizione del settore agricolo un’ampia gamma di materiali, all’interno della quale si possono e si devono operare scelte mirate. Esse possono essere impiegate come starter per creare le condizioni favorevoli al successivo insediamento di un cotico costituito da graminacee perenni e leguminose che, a regime, potrebbe rappresentare una equilibrata soluzione di inerbimento: è infatti da rilevare che la consociazione di una leguminosa annuale autoriseminante a una graminacea perenne relativamente poco competitiva sembra in grado di assicurare una buona stabilità di composizione del cotico nel tempo. Tra le leguminose annuali autoriseminanti, alcune ‒ quali trifoglio sotterraneo oppure mediche annuali ‒ stanno suscitando un crescente interesse come specie da inerbimento grazie al loro ciclo vegetativo autunno-primaverile che esercita una limitata competizione nei confronti della vite, associato a un’azione antierosiva nel periodo più piovoso e a un effetto pacciamante (con conseguente limitazione dell’evaporazione) dei residui secchi in estate. La poliennalità del cotico, assicurata dall’autorisemina, ne determina un chiaro vantaggio agronomico. Fondamentali per le leguminose annuali autoriseminanti sono l’insediamento iniziale e la capacità di autorisemina. Il primo va favorito con la preparazione di un buon letto di semina e una dose di seme maggiore di quella utilizzate per scopi foraggero-pascolivi (l’investimento più oneroso sarà ripagato da un inerbimento più efficace e duraturo). La seconda va agevolata con almeno un intervento (meglio due) di trinciatura della biomassa durante l’inverno e comunque prima dell’inizio della fioritura per stimolarla e, nel caso del trifoglio sotterraneo, l’interramento delle strutture riproduttive. L’impiego di leguminose annuali autoriseminanti nel Nord Italia richiede la disponibilità di specie e varietà con specifiche caratteristiche, tra cui la tolleranza alle basse temperature invernali. Perché l’inerbimento funzioni La plasticità applicativa non deve trarre in inganno i possibili fruitori della tecnica dell’inerbimento: essa necessita infatti che vengano soddisfatte alcune precauzioni di carattere agronomico, anche se molto semplici e non particolarmente onerose, che fondamentalmente sono legate alla capacità dell’azienda di organizzare il cantiere di lavoro. Innanzitutto, come visto finora, la puntuale conoscenza delle specie utilizzate ed il rispetto delle esigenze del prato sono fondamentali per questa tecnica, in quanto garantiscono il consolidamento e la durata nel tempo. La stabilità di questi prati è fortemente legata ad alcune caratteristiche delle specie e delle varietà che li compongono, quali velocità e grado di copertura del suolo, esigenze termiche, precocità, persistenza, comportamento vegetativo, resistenza all’ingresso della flora di sostituzione ecc.: la conoscenza di tali caratteristiche è strategica sia nella scelta delle specie da utilizzare sia nella successiva gestione e manutenzione della consociazione prato-vigneto. Per quanto riguarda l’epoca di semina più opportuna, se le condizioni climatiche lo consentono, essa dovrebbe essere eseguita dopo vendemmia, in modo da permettere alle piante di germinare ed accestire prima dell’inverno, garantendo una buona copertura alla ripresa vegetativa: in caso di semine primaverili, la scelta elle essenze andrebbe indirizzata su varietà precoci in grado di affrancarsi rapidamente. La preparazione del letto di semina risulta essere la strategia più importante, dalla cui accuratezza dipende l’emergenza delle essenze (oppure di un eventuale miscuglio) e soprattutto la loro durata nel tempo. Diverse sperimentazioni e osservazioni pratiche hanno chiaramente dimostrato l’efficacia di una fresatura del suolo ad una profondità di 30 cm, associata ad una rullatura, per predisporre il suolo ad ospitare il cotico nelle migliori condizioni. Una semina tradizionale (magari con una vecchia, ma sempre valida, seminatrice da cereali) seguita da una rullatura, completerà l’insediamento del futuro manto erboso, consentendo un’emersione rapida delle specie più veloci, rubando tempo e spazio all’inquinamento da parte della flora spontanea. Relativamente ai ritmi di taglio, le specie utilizzate per l’inerbimento possono essere favorevolmente falciate, migliorando la copertura del suolo e la durata nel tempo, a patto però che si consenta la formazione di un’adeguata riserva di sostanze nutritive che permettano il ricaccio. Le graminacee da questo punto di vista sono più tolleranti delle leguminose ed infatti l’aumento del ritmo del taglio ne favorisce la presenza nella consociazione: anche per queste ragioni il primo intervento di taglio va eseguito precocemente, per consentire una più veloce copertura del terreno, a patto che le condizioni climatiche non siano particolarmente sfavorevoli. Per la durata del prato, è fondamentale ricordare di non effettuare sfalci troppo ravvicinati, in quanto solamente dopo 35-45 giorni dal taglio la pianta riesce ad accumulare riserve sufficienti ad un efficace ricaccio. Va anche precisato che, in condizioni ambientali avverse, è consigliabile anticipare l’ultimo taglio, oppure addirittura evitarlo, per consentire alle piante di affrontare i rigori invernali con un’adeguata riserva.[box title="L’inerbimento con specie autoctone" color="#c00"] Tra le future tendenze nella scelta di essenze per l’inerbimento si può prospettare l’utilizzo di miscugli di numerose sementi di essenze autoctone e di produzione locale per la creazione di cotici erbosi il più possibile naturali o, meglio, più vicini ad un concetto di naturalità, dove la biodiversità sia massima e rappresentativa di quella originaria di ogni territorio.[/box] [box title="Le Graminacee" color="#c00"] Lolium Il genere Lolium comprende una decina di specie, tra le quali il L. perenne è sicuramente il più interessante per la buona resistenza al freddo: mediamente rustica e non particolarmente aggressiva, presenta un’interessante rapidità di copertura del terreno e di accestimento, che gli conferiscono una buona resistenza nei confronti della flora di sostituzione, tanto da renderlo idoneo anche all’uso nelle tecniche consigliate per contrastare i fenomeni erosivi ed il consolidamento delle scarpate. Festuca Al genere Festuca afferiscono circa un centinaio di specie con caratteristiche di taglia, longevità, precocità e comportamento vegetativo anche molto diverse tra loro. Per la costituzione di cotici erbosi assumono interesse pratico le cosiddette festuche minori, Festuca rubra e Festuca ovina, ad elevata rusticità al pari della F. arundinacea, ma di taglia più bassa e meno aggressive. In particolare le festuche rosse producono un tappeto compatto ed uniforme grazie ad un apparato radicale molto denso, che consente loro di adattarsi a svariate tipologie di terreni, purché non eccessivamente umidi, scarsamente drenanti oppure salini. In virtù della capacità di costituire cotici di lunga durata e della presenza sul mercato di un’ampia possibilità di scelta tra specie e sottospecie, le festuche rosse si impongono all’attenzione dell’azienda viticola moderna per la notevole adattabilità e variabilità di soluzioni. La F. ovina presenta un forte grado di rusticità che la adattano bene a suoli poveri, ancorché non umidi. Il principale inconveniente è strettamente collegato alla più importante caratteristica per la quale essa è tenuta in grande considerazione, cioè la taglia bassa, associata al ridotto grado di aggressività, che la espongono al rischio di essere soppiantata da specie più vivaci e ruderali: per facilitarne l’insediamento si può ricorrere ad un erbicida residuale in pre-semina, per controllare la vegetazione avventizia e consentire alla F. ovina di affrancarsi e costituire un tappeto fitto e consistente, resistente all’ingresso della flora infestante. Dactylis La Dactilys glomerata è pianta vivace, cespitosa, di taglia alta, resistente al freddo e alla siccità, purtroppo piuttosto lenta all’insediamento, con cotici erbosi non particolarmente densi ma di lunga durata, anche su terreni difficili, purché non ristagnanti. La sua notevole aggressività può essere favorevolmente sfruttata per contenere, se non rinettare, eventuale flora ruderale, ma contemporaneamente ne sconsiglia l’utilizzo in miscuglio, in quanto tende a prevalere sulle altre essenze. Bromus A questo genere appartengono due specie interessanti per il loro impiego come cotici erbosi nei vigneti, e cioè Bromus inermis e B. willdenowii, anche se la minore plasticità di comportamento rispetto a loietto e festuche minori ne restringono in un certo senso l’impiego in terreni fertili.[/box] [box title="Le Leguminose" color="#c00"] Trifoglio, mediche e ginestrino Dal confronto in vigneti del Nord tra mediche annuali e trifoglio sotterraneo, quest’ultimo è risultato generalmente più adatto, con varietà selezionate soprattutto per le loro capacità di ricoprimento e persistenza. Va sottolineato inoltre come altre leguminose, oltre alle annuali autoriseminanti, siano potenzialmente utili per gli inerbimenti: recenti risultati hanno mostrato un buon ricoprimento e una buona persistenza in vigneti della Franciacorta da parte della varietà Leo di ginestrino (Lotus corniculatus) a portamento semi-eretto e resistente al freddo.[/box] [box title="L'azoto nel vigneto inerbito" color="#c00"] La nutrizione del vigneto inerbito va modulata sulla base della consociazione del cotico erboso ed in particolare sulla percentuale eventuale di leguminose, che ovviamente integrano la quota di azoto apportato con la concimazione minerale. Si tenga conto che le concimazioni azotate garantiscono maggiore durata al prato. Tale affermazione sembra incompatibile con le moderne strategie della concimazione del vigneto, che indicano una significativa riduzione delle fonti azotate: in realtà in molti vigneti, e significativamente quelli inerbiti con graminacee, l’esasperazione di questa tendenza ha indotto fenomeni sub-carenziali nelle piante a carico di azoto prontamente assimilabile (APA), con problemi di arresto della fermentazione dei mosti. D’altra parte un eccessivo apporto di azoto determina nel prato, ben prima che nel vigneto, un aumento della produzione vegetale e del ritmo di crescita, che inevitabilmente inducono un maggior livello competitivo con la coltura principale.[/box] [box title="L'inerbimento spontaneo" color="#c00"] Si tratta di una tecnica interessante ed ecosostenibile, laddove le condizioni ambientali ne consentano l’adozione: questa strategia non incide sui costi aziendali e garantisce un elevato grado di adattabilità del cotico all’ambiente pedoclimatico, ma dimostra nel contempo una serie di problematiche, da tenere in considerazione laddove si intenda avvalersene. Innanzitutto le specie spontanee presentano una germinazione scalare e quindi tendono a coprire il suolo piuttosto lentamente ed in modo non uniforme, lasciando spazio alle ruderali più aggressive; inoltre bisogna considerare che le normali operazioni colturali modificano, anche drasticamente, le condizioni naturali, o meglio originali, della fitosociologia del prato, portandola inevitabilmente ad una semplificazione della composizione floristica a vantaggio di un numero ristretto di specie, solitamente perennanti, a foglia larga, potenzialmente con medio-forte competizione idrica e nutrizionale estiva nei confronti della vite.[/box] GLI AMBIENTI MERIDIONALI Il problema acqua Come già segnalato, l’unico fattore realmente limitante l’adozione dell’inerbimento nei terroir meridionali è la disponibilità dell’elemento acqua, o più precisamente la distribuzione degli eventi meteorici nei mesi primaverili-estivi: ne risulta che la necessità di effettuare eventuali semine solo in primavera oppure in autunno condiziona giocoforza la scelta delle strategie utilizzabili, riducendo la plasticità della tecnica ed il ventaglio di essenze disponibili. Naturalmente queste osservazioni non devono costituire di per sé elemento ostativo o frenante ad una trasformazione, prima di tutto culturale, anche in questi ecosistemi, come sono state considerate per decenni: fortunatamente in questi ultimi anni si sta assistendo ad una nuova stagione di interesse tecnico-scientifico e applicativo verso pratiche alternative o innovative, che integrino praticabilità, economicità e sostenibilità. Finora, in ambienti fortemente condizionati da siccità perdurante, la tecnica tradizionale prevedeva la completa eliminazione della flora spontanea e ruderale, potenziale elemento di competizione con la vite, tramite ripetute lavorazioni meccaniche. Attualmente tale concetto è stato messo in discussione da molti lavori sperimentali ed in particolare in quegli ambienti nei quali le lavorazioni sono rese difficoltose da scarse condizioni di agibilità del suolo, oppure i terreni vanno soggetti ad erosione da eventi atmosferici estivi ed i danni da lavorazioni intempestive e da calpestamento sono molto gravi. Il problema compattazione Il passaggio delle macchine operatrici determina fenomeni di compattazione più o meno gravi in relazione alla struttura del substrato pedologico soprattutto in corrispondenza della carreggiata, con effetti negativi sull’attività degli apparati radicali. Tale fenomeno, particolarmente accentuato in terreni con frazione argillosa medio-elevata, riduce progressivamente la porosità ed influisce negativamente sullo sviluppo delle radici: infatti la compattazione presenta valori minimi nella zona del filare, si accentua nella zona dell’interfilare e raggiunge i valori più elevati nella zona direttamente interessata dal passaggio delle macchine. A questo proposito è stato dimostrato che il terreno risulta maggiormente compattato sulle corsie di transito dei mezzi agricoli nel vigneto inerbito permanentemente, mentre lo è di gran lunga meno in caso di lavorazione autunnale seguita da inerbimento temporaneo con un miscuglio di graminacee e leguminose e successivo sovescio. Inoltre le lavorazioni determinano un aumento della densità apparente e, conseguentemente, una diminuzione della porosità, nonché della permeabilità del suolo, passando dalla zona del filare verso l’interfilare, ed in particolare in corrispondenza della carreggiata. Un altro tipo di compattazione è quello causato da lavorazioni effettuate con macchine che determinano un eccessivo sminuzzamento delle particelle del terreno, quali fresatrici. Negli ambienti meridionali tali organi lavoranti, infatti, seppure portino alla formazione di uno strato superficiale di suolo soffice che riduce sensibilmente le perdite di acqua per evaporazione, determinano attraverso le acque di percolazione un graduale spostamento verso il basso di minute particelle di terreno che vanno ad otturare i pori dello strato sottostante, determinando una sintomatologia genericamente denominata stress da compattamento, osservata da tempo e caratterizzata da riduzione di vigoria e di produttività, ingiallimenti ed arrossamenti anomali associati a deformazioni fogliari e, specialmente nella vite, anche apoplessia delle piante. Il problema erosione Le continue lavorazioni meccaniche espongono il suolo anche al gravoso problema dell’erosione, sia laminare che di ruscellamento, che rappresenta una vera e propria patologia della viticoltura collinare anche negli ambienti meridionali; a torto, infatti, troppo spesso si dimentica o, peggio, si sottovaluta il fatto che molti degli insediamenti viticoli di qualità sono situati in aree mediamente o fortemente declivi, dove il suolo tenuto sgombro dalla flora (naturale o artificiale) è facilmente soggetto ad asportazione in concomitanza con eventi meteorici di media-forte intensità. In questi casi l’evento macroscopico (frana), con i relativi problemi di ripristino e consolidamento dell’area colpita, paradossalmente non rappresenta il problema principale: il danno più subdolo e più grave da un punto di vista ambientale per l’agrosistema risiede nella graduale e costante asportazione dello strato superficiale che, oltre a determinare una diminuzione della fertilità agronomica, causa un progressivo scalzamento degli apparati radicali, costretti così ad approfondirsi per disporre del volume di suolo necessario per le loro esigenze. Va precisato anche che il tipo di macchina operatrice utilizzata può influire notevolmente sull’entità dell’erosione, la quale risulta tanto più accentuata quanto maggiore è lo sminuzzamento del suolo, ad esempio come si verifica con l’operazione di fresatura: con altre macchine, quali estirpatori oppure erpici a dischi, che determinano una frantumazione più grossolana del terreno, il fenomeno erosivo è decisamente minore. In queste condizioni ambientali, negli ultimi anni diverse sperimentazioni applicative hanno dimostrato che il ricorso a cotici erbosi artificiali opportunamente scelti può efficacemente contrastare il fenomeno erosivo: alcune specie singole, quali Trifolium subterraneum, anche in consociazione con Festuca rubra e ovina oppure ancora con Lolium perenne, riducono fino al 70-75% circa le problematiche connesse all’erosione. Tale risultato è frutto della concomitanza del comportamento fisiologico delle diverse specie poste razionalmente in sinergica consociazione, sfruttando la rapidità di emergenza, e quindi il contrasto all’introduzione della flora spontanea indesiderata (Festuche minori), e la mancanza di competizione idrico-nutrizionale dovuta alla stasi estiva (Trifolium subterraneum). Da ultimo va sottolineato che le ripetute lavorazioni in questi ambienti così delicati dal punto di vista ambientale causano a breve o medio termine, a seconda della natura del terreno, un peggioramento della struttura dello strato superficiale, che si può contrastare positivamente ricorrendo a pratiche alternative quali il sovescio. Tecniche possibili Il sovescio Tra le tecniche praticabili in ambienti meridionali bisogna annoverare sicuramente il sovescio, soprattutto se il contributo delle precipitazioni durante il periodo di riposo della vite è interessante: va precisato però che le essenze utilizzate tendono ad insediarsi lentamente e a formare una copertura discontinua del terreno, mostrando un potere antierosivo comunque limitato. A proposito di essenze potenzialmente utilizzabili, le soluzioni sono molteplici, ma nonostante fra le graminacee siano presenti numerose ed interessanti specie microterme, le leguminose, in questi terreni caratterizzati da intensa mineralizzazione, non solo incrementano le riserve idriche, grazie all’elevata produzione di biomassa con un elevato tasso di umidità, ma apportano anche rilevanti quantitativi di azoto, contribuendo a mantenerne la fertilità: da studi sul contenuto di nitrati nel suolo si evince che i valori più elevati si riscontrano nei mesi estivi, in modo particolare in agosto, per effetto della mineralizzazione della sostanza organica dopo il sovescio; i valori sono crescenti con l’avanzare della stagione primaverile e decrescenti nella stagione autunnale e invernale. La conoscenza dei ritmi di mineralizzazione della sostanza organica e del conseguente rilascio di nutrienti è fondamentale per la sincronizzazione della disponibilità di elementi minerali nel terreno e i fabbisogni della vite, per l’eventuale necessità di intervenire con la concimazione. Dal confronto tra diversi tipi di sovescio emergono differenze nella disponibilità di azoto nel terreno sia in funzione della specie utilizzata, sia in funzione della macchina operatrice utilizzata per l’interramento. L’inerbimento Un’altra tecnica interessante per questi ambienti siccitosi e con precipitazioni scarse e mal distribuite è rappresentata dall’inerbimento temporaneo e/o permanente, ricorrendo a diverse specie di Trifolium e mediche autoriseminanti. Queste specie autunno-primaverili risultano particolarmente adatte per costituire cotici erbosi dei vigneti in aree mediterranee, dove riescono a germinare in concomitanza delle piogge autunnali, vegetano attivamente durante la stagione invernale mentre a fine primavera o inizio-estate, con il completamento del ciclo e la produzione del seme, disseccano, senza competizione idrica con la vite, ma mantenendo le strutture di vegetazione sul suolo: la presenza della copertura vegetale nel periodo piovoso assicura ovviamente un’azione antierosiva, apportando nel contempo azoto a lenta cessione che contrasta in qualche modo la rapida mineralizzazione della sostanza organica di questi suoli. Inoltre la copertura estiva dei residui di vegetazione aumenta la portanza del terreno, limitando l’evaporazione e contrastando l’erosione. Considerazioni conclusive Una razionale e moderna gestione del suolo in viticoltura si dimostra un efficace strumento di salvaguardia ambientale e di regolazione del comportamento vegeto-produttivo del vigneto, con importanti ricadute sulla qualità delle bacche. L’elevata plasticità e i notevoli vantaggi dell’inerbimento evidenziati in questo contributo sono sicuramente alla base del gradimento da parte di molte aziende viticole: va però ricordato che per ottenere i risultati sperati va tenuta in grande considerazione la necessità di fare scelte mirate in termini di specie e varietà delle essenze impiegate, sia pure che consociate, e di gestione del cotico, in funzione degli obiettivi viticoli ed enologici che si intendono perseguire. [box title="Compattazione e clorosi ferrica" color="#c00"] Alcune ricerche hanno evidenziato il fatto che la compattazione del terreno può provocare nella vite la comparsa di manifestazioni di clorosi ferrica più o meno gravi, in conseguenza dell’accumulo di etilene nel terreno, che inibisce la formazione di nuove radici, le uniche strutture in grado di assorbire lo ione ferro: infatti la compattazione, riducendo gli scambi gassosi, ostacola sia la diffusione dell’etilene dal suolo verso l’atmosfera, sia la presenza nel terreno dell’ossigeno necessario all’attività della microflora che decompone l’etilene.[/box] [box title="Lavorazioni meccaniche e struttura del terreno" color="#c00"] La porosità totale è maggiore nei suoli lavorati, ma la proporzione dei pori compresi tra 30 e 500 micron, considerati i più importanti per i movimenti dell’aria e dell’acqua, per la crescita delle radici ed il mantenimento di buone condizioni strutturali, è maggiore nei terreni non lavorati. Va peraltro sottolineato il fatto che le lavorazioni meccaniche, e soprattutto il diserbo, riducono enormemente la cosiddetta carryng capacity della fauna terricola, in particolare lombrichi, sia nella frequenza che nella diversificazione tassonomica: questo comporta una minore stabilità degli aggregati umo-minerali, che si formano esclusivamente per via batterico-fungina, ed una maggiore tendenza al dilavamento dei microelementi.[/box] [box title="Le essenze per il sovescio" color="#c00"] Tra le diverse specie utilizzabili per il sovescio nei vigneti del Sudsi possono ricordare alcuni trifogli (alessandrino, incarnato, squarroso e persiano), il favino e le vecce. I trifogli in generale denotano una maggiore plasticità di adattamento ai diversi ambienti, associata ad una buona rusticità, ma per contro apportano una biomassa minore. Più in particolare, il trifoglio incarnato, poco sensibile al freddo, è interessante per terreni sciolti, asciutti e poveri di calcare, mentre il trifoglio squarroso, simile ma di taglia maggiore, si dimostra più esigente dal punto di vista nutritivo: i trifogli alessandrino e persiano, più sensibili alle basse temperature, sono specie piuttosto rustiche e bene si adattano agli ambienti asciutti meridionali. Fra le vecce, la Vicia sativa, sensibile al freddo e poco prostrata, comprende varietà con diversa rapidità di sviluppo mentre Vicia villosa e Vicia pannonica, più prostrate e resistenti al freddo, si dimostrano molto rustiche e resistenti. Il favino è specie di taglia media a portamento eretto e radice fittonante, piuttosto rustica, ma sensibile alle basse temperature, e fornisce un’adeguata produzione di biomassa.[/box] [box title="Trifogli e mediche per l'inerbimento" color="#c00"] I trifogli sotterranei sono specie di origine mediterranea (sono noti ecotipi sardi e della Francia centro-orientale) con ciclo annuale che, al diminuire delle riserve idriche, vanno a seme interrando le strutture riproduttive, mentre al ripristino del tasso di umidità possono germinare dando origine a nuovi individui. Tra gli altri, Trifolium subterraneum e T. yannicum sono specie che resistono a temperature fino a -10°C, ma risultano particolarmente esigenti in termini di suoli (acidi o neutri) e temono il ristagno. T. brachycalicynum, al contrario, tollera anche i terreni argillosi ma risulta particolarmente sensibile al freddo, al pari di T. michelianum, entrambi adatti ad ambienti meridionali con inverni miti. Tutte le specie descritte producono percentuali variabili di semi duri che non germinano con eventuali precipitazioni estive e consentono una rapida ricostituzione del cotico a fine estate, anche se percentuali di semi duri possono però portare a scarsa germinazione con conseguente difficoltà a mantenere la copertura del suolo nel secondo anno: in questi casi si può praticare una trasemina con seme scarificato, che consente un rapido germogliamento e permette al prato, superato il secondo anno, di raggiungere un positivo equilibrio fisiologico. Le mediche annuali autoriseminanti si dimostrano particolarmente adatte agli ambienti meridionali e genericamente rustiche e adattabili a diverse tipologie di suolo, anche grazie all’introduzione di varietà di Medicago murex e M. polymorpha adatte anche a terreni sub-acidi.[/box] [box title="Interrompere presto la competizione" color="#c00"] Negli ambienti meridionali segnati da lunghi periodi siccitosi appare opportuno che la competizione tra vite e cotico erboso si interrompa prima della fioritura: diversi autori hanno chiaramente dimostrato come stress idrici in questa fase fenologica determinino minore allegagione ed incidano negativamente sulla qualità finale dei vini. Proprio per questi motivi appare quindi preferibile, nell’ambito delle specie erbacee, adottare varietà precoci o medio-precoci, che vadano a seme presto e che interrompano l’attività vegetativa verso metà maggio: se il rifornimento idrico non è limitante, il prato può vegetare più a lungo, controllando il vigore vegetativo e modificando la qualità delle bacche.[/box] Articolo a firma di Giovanni Colugnati e Giuliana Cattarossi - Colugnati&Cattarossi Srl; Saverio Saladino - Sicilia Medit Approfondimenti a cura degli Autori e della Redazione PER APPROFONDIRE Sovescio e meccanizzazione del vigneto Il sovescio può rendere difficoltoso l'ingresso delle macchine in vigneto, ma ciò può essere evitato in gran parte eseguendo la semina a interfilari alterni, interessando quelli liberi negli anni successivi. (Da Viticoltura di Qualità, M. Fregoni, 2005). L'inerbimento a Rubbia al Colle (Suvereto, LI) [youtube width="500" height="400"]http://www.youtube.com/watch?v=Y1rGUrSZrPU[/youtube] BIBLIOGRAFIA Altissimo A., 2001. Potenzialità di specie e varietà di graminacee nella consociazione con la vite. Atti del Convegno “Tecniche di gestione del suolo” Cormons, 4 dicembre. Baldoli M., Servilli M., Montedoro G.,2000. Effetto della pratica colturale dell’inerbimento sulle caratteristiche qualitative del vino di “Brunello di Montalcino”. Riv. Vitic. Enol. 2/3, : 60-79. Bortolin E., Cavalli R., Valier A., 1992. Gestione del suolo per un'agricoltura sostenibile, Ed agricole Celette F., Wery J., Chantelot E., Celette J. and Gary C., 2005. Belowground interactions in a vine (Vitis vinifera L.)-tall fescue (Festuca arundinacea Shreb.) intercropping system: water relations and growth. Plant and Soil 276, (1-2), :205-217. Centenari M., 2008. 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L'inerbimento del vigneto come tecnica conservativa del terreno
Gestione del suolo vitato e tutela del territorio
Le possibilità di applicazione negli ecosistemi settentrionali e in quelli meridionali