"Da anni portiamo avanti un imporante progetto di viticoltura nel deserto israeliano del Negev, formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche dove preservare la qualità delle uve sta diventando difficile, sperimentazioni che permettono di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni": a parlare, ai microfoni dell'Ansa è Aaron Fait della Ben Gurion University (Israele).
Viticoltura nel XXI secolo tra Italia, Usa e Israele
Il docente è intervenuto nei giorni scorsi a Roma al convegno "L'agricoltura nel XXI secolo tra Italia, Usa e Israele", organizzato dal magistrato Stefano Amore, in collaborazione con l'Accademia nazionale di Agricoltura e il Cufa dell'Arma dei Carabinieri, e al quale ha partecipato, tra gli altri, il ministro per gli Affari economici e scientifici Ambasciata di Israele, Raphael Singer e il presidente del Crea Carlo Gaudio.
Sperimentazione nel deserto su 30 varietà
Nel corso del progetto nell'area desertica si stanno valutando gli effetti di temperature dei grappoli anche oltre i 45° gradi su una trentina di varietà diffuse in tutto il mondo, dal Cabernet al Merlot a vari Moscati, per valutare la risposta a condizioni climatiche estreme.
"Tra le evidenze - ha spiegato Aaron Fait - è emerso che le varietà a bacca bianca si adattano meglio all'aumento delle temperature per la loro maturazione più veloce rispetto a quelle a bacca rossa".
La scelta della cv giusta per ogni microclima
Per il professore "sarà inevitabile l'utilizzo dell'acqua riciclata per l'agricoltura, che in Israele è pari all'80%, in Spagna è al 40%, mentre in Italia è quasi zero".
Da qui l'importanza di un ponte per la ricerca scientifica, soprattutto sul fronte dei cambiamenti climatici.
Fondamentale in futuro sarà la scelta della varietà giusta per il microclima giusto, visto che oggi si osservano una riduzione di rese su alcune varietà che porta a prevedere la perdita fino al 60% della produzione a fronte di un incremento di temperatura di 2 gradi".
Migliaia di anni fa qui fioriva l'uva da vino
Israele, come noto, ha un'esperienza di decenni nell'efficienza dell'agricoltura e nello specifico della viticoltura.
Il deserto israeliano del Negev è sede di una fiorente coltivazione di uva da vino.
"L'archeologia mostra che ogni villaggio Nabateo, migliaia di anni fa, ha ospitato enormi presse di vino", spiega Aaron Fait.
La quantità della produzione indica che il vino era non solo per uso locale, ma veniva esportato nel Mediterraneo: Grecia, Egitto, Turchia.
Reinventare la viticoltura in ambienti aridi
"Per migliaia di anni - spiega il professor Fait - l’arte della vinificazione è stata sviluppata in Europa. Ma il clima sta cambiando, quindi i modi tradizionali presto non funzioneranno più. Israele è in grado di mostrare come è possibile reinventare la viticoltura per ambienti aridi e condizioni estreme".
E il deserto del Negev, nel sud di Israele, è il luogo ideale per sperimentare la crescita delle vigne in condizioni di siccità.
Condizioni estreme: 45 gradi e 100 mm di pioggia
Temperature che superano i 45 gradi, suolo salino, evaporazione media di 2 mila millimetri l’anno a fronte di piogge per meno di 100 sono i principali ostacoli per la viticoltura nel Negev.
La vite è stata centrale nell’economia della regione per millenni grazie ad avanzate tecniche di conservazione dell’acqua. Con la conquista musulmana del VII secolo i vigneti sparirono per oltre mille anni.
Teli, reti e irrigazione intelligente
Solo adesso si è ripreso a considerare il deserto un luogo dove possa essere coltivata la vite come nei tempi antichi, utilizzando le moderne tecniche come i teli di nylon per proteggere il suolo dall’evaporazione, reti colorate sui grappoli per far passare soltanto la quantità di luce necessaria perché il frutto maturi senza bruciare e un’irrigazione intelligente basata sui bisogni della pianta, rilevati da appositi sensori.
Nuove tecnologie per tornare a produrre nel deserto
Il clima del Negev non è cambiato per migliaia di anni. C’era poca pioggia, molta luce e un grande sbalzo di temperatura fra giorno a notte. Il popolo dei Nabatei sapevano come usare acqua limitata e risorse.
“Terrazzavano le colline, approfittavano della rugiada creata dall’altopiano del Negev e immagazzinavano il vino negli ambienti freddi sotto le rocce dei canyon tra le colline”, ha spiegato Fait: "oggi stiamo facendo fondamentalmente lo stesso, ma con nuove tecnologie".