In collaborazione con l'Università di Torino

Un sorso di ricerca viticola piemontese

Nebbiolo, Arneis e Albarossa

Costruito nel corso del Settecento dai Conti di Castelborgo, il Castello di Neive (Neive, CN) entra nella storia dei fasti enologici del Piemonte nel 1862 quando il Neive, prodotto con uve Nebbiolo, viene premiato all’Esposizione Internazionale di Londra. Uno dei protagonisti di questo successo è l’enologo e commerciante francese Louis Odart che, con il Generale Paolo Francesco Staglieno, si contende il ruolo di padre del Barolo e del Barbaresco e la cui presenza al Castello di Neive al servizio dei Conti di Castelborgo, in qualità di enologo, è ben documentata. A lui, forte delle prime conoscenze sulla chimica e la microbiologia della fermentazione, si deve il merito di avere reso il Nebbiolo…

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(Approfondimenti a cura dell’Autore)

Castello di Neive, l’azienda

L’azienda Castello di Neive, nelle Langhe, è formata da 60 ettari dei quali circa 27 vitati e i restanti, nelle posizioni di fondovalle e nei terreni meno adatti al vigneto, coltivati a noccioleto o lasciati a bosco o a prato, tutti nel Comune di Neive. I vitigni coltivati sono il Nebbiolo da Barbaresco, la Barbera, il Dolcetto, il Grignolino, l’Albarossa e il Pinot nero tra i rossi e l’Arneis, il Pinot nero per la base spumante del metodo classico, il Riesling e il Moscato tra i bianchi. “In vigneto negli anni abbiamo sperimentato l’effetto delle diverse tecniche di gestione della chioma , dall’intensità del diradamento a quella della sfogliatura e siamo arrivati ad adottare tecniche che ci permettano di intervenire in modo variabile a seconda dell’andamento stagionale”, spiega Claudio Roggero. Nel 2013 è stata introdotta una centralina meteorologica per la raccolta dei dati, da utilizzare nei modelli previsionali per la gestione dei trattamenti di difesa sviluppati da Horta, Startup dell’Università Cattolica di Piacenza. Questo, insieme all’introduzione della confusione sessuale per il controllo degli insetti dannosi, con lo scopo di ridurre il ricorso ai fitofarmaci e aumentare la sostenibilità della produzione in vigneto.

La nuova cantina

Sebbene costruita su più livelli e con criteri progettuali e volumetrie avanzati per l’epoca, la cantina del Castello e soprattutto la sua ubicazione al centro del borgo medioevale di Neive (uno tra i 100 borghi più belli d’Italia secondo l’ANCI), utilizzata fino al 2011 poneva delle difficoltà nella logistica e nell’organizzazione dei processi produttivi dell’azienda. “A partire dalla primavera del 2012 e in tempi di record per poter utilizzare la nuova struttura nella vendemmia di quello stesso anno, abbiamo iniziato la sistemazione della nuova cantina in un locale fuori dal paese e con caratteristiche più adatte ad una produzione secondo criteri moderni”, racconta Claudio Roggero. “I nuovi locali ci hanno permesso di organizzare la cantina secondo un layout razionale, separando la zona di ricezione e lavorazione delle uve da quella di vinificazione, di imbottigliamento e di stoccaggio dei materiali di confezionamento. Inoltre abbiamo attrezzato un locale termocondizionato nel quale le bottiglie sostano per il periodo necessario al loro affinamento in vetro, che per alcuni vini come il Barbaresco è molto importante e un locale per il carico e lo scarico separato da tutti gli altri”. Un processo che trova pieno compimento e che viene ottimizzato con la costruzione della nuova cantina nel 2012 come spiega Claudio Roggero: “Disponendo di spazi maggiori abbiamo introdotto una lava-cassette automatica e abbiamo la possibilità di raccogliere ogni varietà al punto ottimale di maturazione, alternando uve bianche e rosse. Per l’Arneis organizziamo il cantiere in modo da raccogliere solo nelle ore più fresche della mattina, per poi mandare le uve scaricate in pressa dove svolgono la criomacerazione fino al pomeriggio quando vengono pressate e inviate in vasca dove saranno flottate con azoto e quindi trasferite entro la mattina successiva alle vasche di fermentazione”.

Albarossa, incrocio al di sopra delle aspettative

Ottenuto nel 1938 da Giovanni Dalmasso, come emerso dai suoi appunti, per incrocio di Barbera e Nebbiolo, si è successivamente rivelato essere un incrocio tra Barbera e Chatus (chiamato localmente Nebbiolo di Dronero), una varietà prevalentemente presente nelle prealpi piemontesi e francesi, l’Albarossa è una varietà le cui proprietà e potenzialità enologiche cominciarono ad essere apprezzate e valutate a partire dagli anni ’70-80 del secolo scorso. “Negli intenti di Dalmasso c’era quello di ottenere un rosso con il colore della Barbera e la struttura del Nebbiolo – racconta Vincenzo Gerbi – e i risultati superarono ogni aspettativa: l’Albarossa è un vino estremamente colorato, con un contenuto in antociani che facilmente supera i 1000 mg/l e con una concentrazione in tannini anch’essa molto alta”. Oggi in Piemonte non sono molti i produttori che hanno creduto nell’Albarossa (il sito della Regione Piemonte riporta che ne esistono circa 10 ettari in provincia di Cuneo e di Alessandria). Italo Stupino è uno di questi e il Castello di Neive ha impiantato circa 6.000 metri quadri di Albarossa, che dal 2006 viene vinificata in purezza con una macerazione breve di non più di quattro giorni per mantenere l’ equilibrio delle sensazioni di astringenza date dalla carica di polifenoli e affinato a lungo in barrique. Dalla retroetichetta del Langhe Rosso DOC da uve Albarossa: “Questo è il vino che dedichiamo alla Facoltà ed ai ricercatori che ci sono sempre stati vicino. Italo Stupino”.

Un sorso di ricerca viticola piemontese - Ultima modifica: 2014-06-09T11:45:42+02:00 da Redazione

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