Credere in un territorio e nel vitigno che lo rappresenta anche in tempi non sospetti, quando si è praticamente gli unici a farlo: questa è la sfida raccolta e vinta da Arnaldo Caprai, 80 anni compiuti il 18 luglio 2013, imprenditore del tessile e della moda e Cavaliere del Lavoro, che negli anni Settanta del secolo scorso decide di investire in un'azienda vitivinicola a Montefalco in Umbria, seguito dal figlio Marco che, poco più che ventenne, prende le redini dell'azienda nel 1987.
Sagrantino anno zero
La storia comincia a Montefalco nel 1971, in un'Umbria la cui agricoltura è molto diversa da quella attuale, con molti seminativi e una viticoltura di scarsa qualità. I vitigni sono quelli consueti delle regioni dell'Italia Centrale, Sangiovese e Merlot per la maggior parte e poi il Sagrantino, una varietà locale, difficile da valorizzare per fare qualità, concentratissima, adatta al vino passito per la famiglia o anche a fare vini da taglio da vendere nelle altre regioni. Non è frequente in quegli anni puntare sui vitigni locali e tipici, i più si convertono alle varietà internazionali che riscuotono successo ovunque. Eccetto i Caprai, che vedono lontano nelle potenzialità del Sagrantino e del territorio e che affrontano la sua riscoperta e valorizzazione con gli strumenti della scienza e della ricerca. “Per una zona come Montefalco ‒ racconta Marco Caprai ‒ che in quegli anni era un po' ai margini della viticoltura, non ci poteva essere una soluzione diversa, la ricerca per cambiare direzione e fare qualità era una via necessaria. Forse in questo tipo di approccio ci ha aiutato l'esperienza di imprenditori provenienti da un settore diverso, perché ci ha permesso di analizzare le problematiche esistenti con un punto di vista più distaccato. Non sempre però è così ‒ continua ‒ in territori più famosi per esempio si paga un prezzo di ingresso più elevato, ma non c'è la stessa spinta ad affrontare un investimento in ricerca ed innovazione”. Per il Sagrantino alla fine degli anni Ottanta c'è da impostare tutto. Siamo praticamente al punto zero e Marco Caprai cerca aiuto nel mondo della ricerca rivolgendosi alle Università e trovando il partner ideale nell'allora Istituto di Coltivazioni Arboree dell'Università di Milano con Leonardo Valenti, che instaura con l'azienda una collaborazione che dura e continua tuttora e dal cui gruppo di ricercatori proviene la maggior parte dello staff aziendale, come Filippo Carletti, direttore dell'azienda, e Mattia Dell'Orto, responsabile Ricerca e Sviluppo, che ci guidano alla scoperta delle sperimentazioni che sono anche la storia della Arnaldo Caprai. “Alla fine degli anni Ottanta ‒ spiega Carletti ‒ inizia un intenso percorso di ricerca per la valorizzazione del Sagrantino, nel quale si avviano numerosi progetti per il recupero del germoplasma e la selezione clonale e per l'identificazione delle tecniche colturali più adatte a dare uve con caratteristiche di maturazione idonee per fare vini di qualità”.
Le potenzialità genetiche
“La prima operazione, cominciata nel 1990, è stata quella di raccogliere il materiale vegetale esistente da tutti i vigneti più vecchi o dalle viti sparse nei giardini, negli orti e nelle abbazie, per non perdere niente della variabilità ancora presente”, racconta Carletti. Vengono costituiti vigneti di collezione del germoplasma, dai quali si sceglieranno in seguito gli individui più interessanti che seguiranno il percorso della selezione clonale, dando preferenza ad una selezione debole, che favorisca il mantenimento della biodiversità anche nei nuovi impianti. Oggi tre dei cloni descritti e selezionati (Collepiano, Cobra e 25anni) hanno seguito il percorso per l'omologazione e, con la collaborazione della Fondazione Edmund Mach, che ha eseguito le microvinificazioni, e di Vitis Rauscedo, sono stati iscritti al Registro Nazionale delle Varietà. “Questo però non era sufficiente, perché sebbene fosse stato fatto un lavoro di ricerca molto approfondito, il fatto che il Sagrantino fosse coltivato solo in quest'area e che fosse praticamente scomparso, aveva portato ad un assottigliamento della sua potenziale variabilità genetica e quindi si rischiava di non vedere espresse tutte le sue potenzialità ‒ spiega Filippo Carletti, agronomo milanese in azienda dal 2000, dopo anni di collaborazione nei progetti di ricerca dell'Università ‒ così nel 1997 si è avviato un progetto di miglioramento genetico con la produzione di individui da seme ottenuti da autoimpollinazione”. Il progetto, svolto in collaborazione con l'Università di Milano e con Stella Grando della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige, ha avuto lo scopo di capire quale fosse l'ampiezza genetica del vitigno, di ricostruirne le origini e ampliarne la variabilità dei caratteri espressi.
Obiettivo maturazione polifenolica
Parallelamente alle ricerche sul materiale genetico da mettere nei nuovi impianti, a partire dai primi anni Novanta si avvia una serie di prove sperimentali destinate ad individuare le condizioni di impianto e le tecniche colturali più adatte per ottenere i migliori risultati qualitativi dal Sagrantino. Le prove sperimentali in quegli anni si concentrano sulle forme di allevamento, sulla densità d'impianto e sulle combinazini vitigno-portinnesto. Vengono testate numerose forme di allevamento, tra le quali la lira, semplice e doppia, il CLAB (cordone basso libero ascendente) e l'alberello, e densità d'impianto da fitte a fittissime (fino a 13.900 piante per ettaro). Il parametro sul quale ci si concentra nella valutazione dei risultati delle tecniche d'impianto e di gestione agronomica è la maturazione fenolica delle uve. “L'obiettivo ‒ spiega Filippo Carletti mostrando i vigneti sperimentali ‒ era quello di ottenere un prodotto con il giusto grado di maturazione fenolica che, essendo il Sagrantino la varietà più ricca in polifenoli e antociani tra quelle italiane, rappresentava l'aspetto più difficile da realizzare in vigneto, quello che ne limitava poi l'utilizzo in cantina, ma che si intuiva essere anche la sua grande ricchezza”. “Dopo anni di studi anche sugli aspetti di composizione fenolica delle uve, portati avanti con l'appoggio di Fulvio Mattivi di San Michele all'Adige, nel 2002 tutti i vigneti vecchi sono stati sostituiti dai nuovi impianti ‒ continua Filippo ‒ che esprimono finalmente tutte le potenzialità del vitigno di Montefalco, come dimostrano i numerosi riconoscimenti e premi che a partire dal 1996, anno di uscita del primo 25 anni (il top di gamma dei vini aziendali n.d.r.), continuano ad arrivare”.
Il futuro nella sostenibilità
“Oggi che i risultati delle scelte di impianto e dell'ampliamento del patrimonio genetico sono acquisiti ‒ spiega Carletti ‒ il futuro della ricerca è rivolto alla ricerca del punto di rottura tra metodi di coltivazione più sostenibili, nel rispetto di una produzione di qualità, e la conservazione di una sostenibilità economica e sociale. I primi obiettivi raggiunti sono stati la certificazione ambientale ISO 14001, ottenuta nel 2004, e la certificazione delle emissioni con il protocollo Itaca di Carbon Footprint, ottenuta nel 2012, mentre uno dei prossimi sarà il conseguimento della certificazione a norma ISO 50001 sulla gestione energetica”. Con la stessa filosofia la Arnaldo Caprai si è fatta promotrice, con l'Associazione Grandi Cru di Montefalco, del progetto New Green Revolution, che ha lo scopo di introdurre i concetti della Green Economy nel modello produttivo di Montefalco, tipico distretto vitivinicolo italiano.
Fare impresa secondo i Caprai
Per i Caprai fare impresa, e farla bene, è una passione di famiglia. “L'innovazione è la leva della competitività sulla quale basiamo il nostro futuro e deve essere declinata nella produzione, nella ricerca, nella qualità come anche nella comunicazione. E anche l'innovazione deve essere declinata nei termini della sostenibilità: una ricerca è valida se porta vantaggi, siano essi produttivi, qualitativi, ambientali o sociali. Se non ci sono vantaggi ci si rivolge altrove. Oggi le imprese hanno l'obbligo di darsi priorità e regole, per rendere sostenibile l'economia”. Così Marco Caprai spiega il suo modo di fare impresa, una filosofia che risulta avvalorata dal fatto che tutte le ricerche svolte dalla Arnaldo Caprai, in collaborazione con le Università, hanno trovato e trovano applicazione in azienda. Una filosofia di successo, che ha portato una piccola azienda dal 1990 - quando fatturava cinquecento milioni di lire e produceva 400.000 bottiglie - a un fatturato di 500 milioni di Euro e una produzione di 750.000 bottiglie nel 2012. Filosofia che è stata premiata non solo con i successi dei vini su tutti i mercati internazionali, ma anche con i premi che la Arnaldo Caprai ha vinto negli anni come modello imprenditoriale di successo, l'ultimo dei quali il Premio Imprese per l'Innovazione con la Menzione Speciale Expo2015, assegnato da Confindustria in collaborazione con Premio Qualità Italia, sotto il patrocinio del Presidente della Repubblica, e consegnato il 24 luglio 2013. [box title= "Adattarsi ai mutamenti climatici" color= "#c00"] La nuova sfida della ricerca vitivinicola è l'adattamento delle tecniche colturali ai cambiamenti climatici e anche la Arnaldo Caprai sta approfondendo lo studio delle pratiche agronomiche e delle tecniche di gestione del verde più adatte a compensare lo scostamento tra maturazione tecnologica e fenolica che si sta manifestando in questi ultimi anni a causa dell'innalzamento delle temperature. “Abbiamo realizzato due nuovi vigneti sperimentali ‒ spiega Mattia Dell'Orto, dal 2012 in azienda per gestire i progetti di ricerca ‒ uno di Sagrantino e uno di Sangiovese, dove stiamo verificando gli effetti delle sfogliature, più o meno precoci e più o meno intense, e degli ombreggiamenti sulla fascia dei grappoli. L'ombreggiamento, realizzato con teli verticali di diversa grammatura che coprono i grappoli ‒ continua ‒ è una soluzione che sta dando risultati interessanti, soprattutto quando associato alla sfogliatura totale intorno al grappolo”.[/box] [box title= "Un territorio, un protocollo" color= "#c00"] È Mattia Dell'Orto a spiegarci in cosa consiste il progetto New Green Revolution Montefalco 2015, i cui risultati verranno presentati in un Convegno che si terrà nella cittadina umbra il 20 settembre 2013: “Si tratta del primo protocollo italiano certificato di sostenibilità della produzione vitivinicola realizzato per un territorio. Attraverso lo sviluppo di un decalogo di regole riconosciute a livello internazionale o di pratiche innovative testate sulla nostra realtà è stato creato un modello di sostenibilità certificabile da un Ente terzo (il partner di certificazione è CSQA) e fruibile da tutte le aziende del territorio”. Nell'ambito del progetto di sostenibilità sono state messe a punto tecniche e metodologie sostenibili, come il nuovo prototipo della macchina a recupero (nella foto) per la distribuzione dei prodotti fitosanitari, l'uso come ammendante nella gestione del suolo dei sottoprodotti della digestione delle vinacce nel vicino impianto a biomasse e la vasca per il trattamento per evaporazione delle acque di lavaggio delle cisterne delle irroratrici per la riduzione dei rifiuti da trattare.[/box] Articolo a firma di Alessandra Biondi Bartolini - Consulente R&S - Pescia (PT) Approfondimenti a cura dell'Autore PER APPROFONDIRE
Un senza famiglia
“Abbiamo scoperto ‒ spiega Carletti ‒ che il Sagrantino è una varietà molto diversa da quelle già mappate geneticamente e che non ha parenti o almeno non presenta affinità con altri vitigni italiani o internazionali. I fenotipi che si sono espressi nei semenzai, anche dalla ricombinazione di caratteri recessivi, hanno dato risultati molto interessanti, presentando per esempio piante con una variabilità molto ampia per epoche di maturazione o di contenuto in antociani e polifenoli, fino a particolarità come individui a bacca bianca, rosa o grigia, che l'azienda ha voluto comunque conservare e valorizzare”.
La zonazione polifenolica
Grazie ad una zonazione dell'intero territorio di Montefalco prima e nel dettaglio sui soli vigneti aziendali poi, sempre focalizzata sulle caratteristiche di maturazione fenolica del Sagrantino si sono individuati i vigneti più adatti a questo vitigno difficile, riservando per esempio alle sole uve bianche le aree di pianura. “I vigneti che danno i migliori risultati sono quelli coltivati nella zona di Poggio Allodole nel comune di Bevagna, a cordone speronato e a CLAB con densità medie di 7.000 piante per ettaro, e dai quali si scelgono quasi tutti gli anni i vini per il “25anni”, il cru aziendale creato nel 1996”, spiega Filippo Carletti.
Il decalogo di New Green Revolution
Le aziende che hanno aderito al protocollo riconoscibile nel marchio collettivo New Green Revolution, di proprietà dell'Associazione Grandi Cru di Montfalco e certificato da CSQA sono, oltre alla Arnaldo Caprai, Az. Agr. Adanti, Soc. Agr. Antonelli San Marco, Az. Agr. Antano, Soc. Agr. Perticaia, Az. Agr. Scacciadiavoli, Az. Agr. Tabarrini, tutte appartenenti al territorio di Montefalco. Il protocollo si basa sull'adozione e il rispetto di una serie di requisiti contenuti nel seguente decalogo: 1. Conduzione tecnica del vigneto di elevato livello 2. Riduzione uso risorse 3. Conservazione del paesaggio e della biodiversità 4. Tracciabilità dei prodotti 5. Rispetto e sicurezza del lavoro 6. Benessere dei fruitori e dei visitatori 7. Dialogo con i clienti 8. Impegno nella comunità locale 9. Sostenibilità economica e innovazione 10. Registrazione delle attività.
L'atomizzatore a recupero di prodotto New Green Revolution
Nel 2008, con l'obiettivo di incrementare la sostenibilità delle pratiche aziendali, vengono introdotte in azienda le prime macchine irroratrici a recupero, che tuttavia presentano alcune limitazioni, come racconta Mattia Dell'Orto: “Il problema della macchine a recupero esistenti era legato alla scarsa possibilità di adattarsi alle condizioni dei vigneti collinari”. Parte quindi una nuova sperimentazione in collaborazione con la All Vineyard di Faenza e nell'ambito del progetto New Green Revolution: “Il prototipo che abbiamo sviluppato è più compatto e leggero ed è dotato di un sistema di auto livellamento ‒ spiega Dell'Orto ‒ che permette ai quattro pannelli che formano un tunnel sui due filari trattati in ogni passaggio, di assecondare la pendenza sulla quale viaggia il trattore e di mantenere quindi la stessa copertura su tutta la parete”. “Oggi utilizziamo le macchine a recupero sul 70% dei vigneti ‒ continua ‒ e abbiamo in progetto di sostituire completamente il parco degli atomizzatori nel giro di due anni”. Nel futuro delle macchine a recupero si prevede poi l'applicazione della sensoristica propria della viticoltura di precisione “Ci siamo accorti che con queste macchine è fondamentale monitorare la qualità del trattamento in modo puntuale ‒ aggiunge Filippo Carletti ‒ perché, non essendoci deriva, le parti verdi che per un motivo o per un altro non vengono trattate non ricevono prodotto in alcun modo (a differenza di quanto avviene invece nei trattamenti tradizionali con l'atomizzatore, dove c'è una buona probabilità che la deriva del trattamento di un'altra fila colpisca queste aree non trattate). Quindi stiamo sviluppando un software che tracci non solo il percorso del trattore ma anche lo stato (bagnato o non bagnato) della parete attraverso la misura di indici di vegetazione simili all'NDVI”. I risultati forniti da queste macchine parlano da soli, la quantità di prodotto disperso nell'ambiente (e non destinato alla protezione della pianta) è molto inferiore e i costi sono ridotti drasticamente, con il 60% di prodotto utilizzato in meno e con punte di risparmio di prodotto nelle fasi vegetative iniziali dell'80%. “Il prototipo della macchina a recupero sintetizza l'intera filosofia del progetto New Green Revolution ‒ spiega ancora Dell'Orto ‒ perché rappresenta una soluzione che racchiude in sé il vero significato di tutti gli aspetti della sostenibilità: sostenibilità ambientale, perché c'è minore dispersione di prodotti nocivi nell'ambiente, sostenibilità sociale perché riducendo il rischio di deriva tutela la salute della popolazione delle aree rurali e di quelle più urbanizzate oltre che degli operatori, sostenibilità istituzionale, perché consente di rispondere ai requisisti richiesti dalla Direttiva europea sull'uso sostenibile dei fitofarmaci. E infine sostenibilità economica perché permette all'azienda di ottenere un uguale risultato produttivo a costi più bassi”.
#Montefalco4love: i progetti sociali firmati Caprai
Chi non conosce i braccialetti in pizzo macramé firmati Cruciani? Forse non tutti sanno però che si tratta di un marchio del gruppo di Arnaldo Caprai e che sono come molte altre iniziative dell'azienda anche veicolo per i progetti di promozione sociale e territoriale L'ultimo è #Caprai4Love, dedicato all'uva e a Montefalco, i cui proventi verranno utilizzati per l'acquisto di una lettera autografa di Benozzo Gozzoli, dove l'autore dei cicli di affreschi che adornano la chiesa di San Francesco, oggi Museo Civico di Montefalco, esprimeva il suo amore per la cittadina umbra rinunciando ad un incarico prestigioso a Firenze. [youtube]http://www.youtube.com/watch?v=aOJlz994_HQ[/youtube]