La temuta frenata è arrivata. Il vino è il campione del made in Italy agroalimentare, un prodotto in grado, da solo, di migliorare il saldo commerciale con l’estero ad un ritmo del 5,2% all’anno.
La crisi mondiale lo aveva finora risparmiato, ma si sentono i primi scricchiolii. Il volume dell’export mondiale di vino ha infatti accusato un pesante -30% in luglio a causa della crisi di fiducia innescata dal conflitto alle porte d’Europa, con l’esplosione dei prezzi dell’energia e degli input produttivi. In questo contesto l’Italia ha tutto sommato contenuto le perdite registrando solo un -10% in aprile che è diventato -3% in luglio (dati Ismea).
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Se l’export rallenta
Un segnale comunque preoccupante perché si tratta della flessione più pesante registrata negli ultimi 20 anni. Il settore vitivinicolo, a partire dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, è stato infatti investito da straordinari processi di internazionalizzazione dei flussi commerciali e della governance della produzione.
Un’evoluzione che ha determinato importanti implicazioni. Il sistema del vino mondiale è infatti diventato più articolato, con l’apertura di nuovi mercati, soprattutto in Estremo Oriente, e l’arrembante sviluppo di nuovi Paesi concorrenti, come Australia, Stati Uniti e Cile, a fianco dei tradizionali paesi vinicoli europei.
Si è strutturata così un’arena competitiva complessa, dove coesiste una varietà di tipologie aziendali (grandi imprese vitivinicole, multinazionali delle bevande e piccole imprese) e di strategie di identificazione dei prodotti (vini con connotazione territoriale, vini di marca, vini varietali). Uno scenario che ha premiato il nostro Paese, capace di giocare con convinzione le proprie chance, frutto di una preziosa sintesi di tradizione e innovazione, azzeccando il giusto mix di offerta, grazie soprattutto agli exploit della categoria “spumanti” (Prosecco in primis) e di macinare, anno dopo anno, continui record nel valore delle esportazioni.
Il record di 8 miliardi
Una tendenza che dovrebbe essere confermata anche quest’anno. E questo grazie al fatto che il rallentamento registrato in estate nelle quantità esportate non si avverte per fortuna sul fronte del fatturato. Il vino italiano anzi registra, nei primi nove mesi dell’anno crescite a due cifre in mercati top come Stati Uniti, Australia, Francia, Giappone, Canada e addirittura un balzo del 50% nel Regno Unito. Exploit che dovrebbero portare per la prima volta il valore complessivo dell’export a superare gli 8 miliardi di €, nuovo record nazionale.
Volumi e valori divergono
Una divergenza tra volumi e valori che è comune a tutti i Paesi forti esportatori e che ci avvantaggia rispetto alla Spagna, il Paese europeo che subisce la flessione maggiore (-8% nei volumi; +2,4% nei valori), mentre i nostri vini registrano un incoraggiante +13% (var. dei valori su base annuale nei primi nove mesi dell’anno secondo i dati doganali) che ci appaia alla Francia, ma per riuscirci dobbiamo mantenere un ritmo di invii all’estero tre volte maggiore (+2,2% i volumi italiani nei primi nove mesi, contro il +0,7% francese). Performance che comunque consentono quest’anno a Francia e Italia di condividere solo il terzo gradino del podio degli esportatori mondiali a causa delle prestazioni record di Usa e Cile, favoriti dalla progressiva svalutazione dell’euro rispetto al dollaro.
A fronte di questi successi preoccupano però le contrazioni anche in valore che si registrano in mercati importanti come quello cinese (dove pesano ancora i lockdown sanitari) e soprattutto in Germania, nostro mercato numero uno per tanti anni, che invece quest’anno registra cali superiori al 10% sia in volume che in valore. Un vero campanello di allarme perché legato a dinamiche che stanno condizionando anche la sostenibilità economica delle nostre imprese. Mai come quest’anno, infatti, fare riferimento solo al fatturato può risultare fuorviante a causa della forte crisi inflattiva che sta colpendo l’economia globale, facendo schizzare in alto i costi di produzione in vigneto e in cantina.
Il tarlo dell’inflazione
Secondo l’ultimo outlook Oecd (Organizzazione internazionale per la cooperazione economica e lo sviluppo, rapporto di fine settembre) l’economia mondiale sta rallentando più di quanto previsto e l’andamento dei costi energetici spinge Oecd a credere che l’inflazione rallenterà leggermente, rimanendo però anche l’anno prossimo a livelli elevati soprattutto nel Vecchio Continente, Regno Unito e India.
Un vero guaio perché l’alta inflazione è un tarlo che erode progressivamente il potere d’acquisto e questo effetto è ormai evidente anche sul fronte del mercato interno. Dove, infatti, a fronte di un forte recupero del canale Horeca dopo due anni di depressione da lockdown, si registrano vendite in significativa contrazione nella Gdo, pari in media a -4,2% in valore e -7% in volume nei primi nove mesi dell’anno (Fonte Iri Infoscan).
Un dato che riguarda soprattutto i vini fermi, mentre gli spumanti tengono in valore (+4,0%) anche se calano in volume (-2,5%). Tornano così a crescere anche le giacenze in cantina (43,6 milioni di hl a fine luglio), un dato che appesantisce i mercati all’origine soprattutto per alcune tipologie di rossi, ma che inizia a preoccupare anche il comparto delle bollicine per i segnali di flessione degli ordini per le feste natalizie.
Tagliare le rese e i vigneti, scelte controproducenti
Una situazione che impone risposte “di sistema”, ma la drastica proposta, sollevata da alcuni importanti gruppi di produttori, di tagliare le rese ettariali e sfoltire il vigneto per favorire le produzioni di maggiore pregio potrebbe non riscuotere gli effetti sperati.
L’indice dei prezzi al consumo in Italia (fonte Ismea) sta facendo infatti registrare, tra settembre e ottobre, flessioni per tutte le tipologie di vini, dagli igt ai vini comuni. Ad accusare l’effetto più pesante sono però proprio le doc e docg, che in alcuni casi registrano veri e propri crolli. Indice che il calo del potere d’acquisto spinge una fetta crescente di consumatori a dirottare le proprie scelte verso etichette di minore pregio. Salvo poi scoprire che nel nostro Paese la qualità è alta anche per le categorie non premium. Un’inversione di tendenza che potrebbe mettere in crisi l’aspirazione di rendere il vino di qualità un bene rifugio.
A questo proposito l’Ufficio Studi di Coop, forse condizionato dall’andamento negativo delle vendite nei punti vendita a grande superficie, in base ad una survey presso i consumatori riguardo al mercato alimentare nel complesso, prevede nel breve periodo un maggiore orientamento verso i prodotti local o comunque made in Italy a discapito di quelli di alta qualità.
Una proiezione smentita dalle stime delle agenzie EuroMonitor e Statista secondo le quali il mercato dei vini premium e superpremium, soprattutto con una forte connotazione di tipicità, continuerà invece a tirare anche in futuro.
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Come reagire
In attesa di vedere chi ha azzeccato la previsione giusta, le aziende sono comunque chiamate a un impegno extra per aumentare il proprio grado di resilienza.
Azioni individuali che devono mirare a:
- • elevare il grado di sostenibilità ambientale e sociale,
- • puntare ad un miglioramento qualitativo per un migliore posizionamento commerciale,
- • utilizzare strumenti attivi e passivi di gestione del rischio;
- • avviare iniziative di rete per economie di scala su energia e approvvigionamenti.
Contromisure che possono essere insufficienti in una situazione di crisi generale come quella attuale se il nostro sistema non reagisce con una logica di sistema. Il comparto vitivinicolo è infatti oggi chiamato a dimostrare una rinnovata capacità di organizzare azioni collettive che consentano:
- • una migliore gestione dell’offerta con un attento studio dei mercati;
- • un maggior stimolo all’innovazione (varietà resistenti, approcci integrati alla difesa);
- • l’adozione di strumenti collettivi per la gestione del rischio.
Gli strumenti per realizzare questi obiettivi ci sono. I consorzi di tutela hanno infatti la possibilità, attribuita dal decreto ministeriale del 18 luglio 2018, di adottare specifici piani triennali vincolanti per tutti i soggetti viticoltori, vinificatori ed imbottigliatori sottoposti al sistema di controllo.
Oltre a ciò la riforma della Pac (politica agricola comune) attribuisce dal prossimo gennaio agli organismi interprofessionali (Reg. Ue 2117/2021) maggiori poteri che si possono spingere a fornire indicazioni di orientamento sui prezzi delle uve.
Un’occasione da non perdere per rafforzare le filiere vitivinicole locali italiane perché la domanda di vino, al di là della congiuntura e delle previsioni contrastanti, è probabilmente resiliente.
Ma sostenibilità, costi, adattamento a modifiche della domanda «brusche» sono sfide ineludibili da affrontare con una maggiore propensione all’innovazione, soprattutto nei modelli organizzativi.
Tab.1 - Vendite vino nella GDO (var. % nell’anno terminante il 30 settembre 2022)
categoria | VALORE | VOLUME |
Vs 12 mesi precedenti | ||
Tot Spumanti | 4,0% | -2,5% |
Tot Fermo fino a 0,75 | -3,7% | -6,9% |
Vs 2 mesi anno precedenti | ||
Tot Spumanti | 4,1% | -1,1% |
Tot Fermo fino a 0,75 | 3,2% | -2,2% |
fonte IRI Infoscan
Tab.2 - variazioni delle giacenze di vino in Italia (primi 7 mesi in milioni di hl)
2019 | 2020 | 2021 | 2022 | |
1 gennaio | 58,5 | 58,3 | 60,9 | 61,8 |
fine luglio | 44,3 | 42,8 | 42,0 | 43,6 |
Vino uscito | 14,2 | 15,6 | 18,9 | 18,2 |
fonte Cantina Italia
Articolo tratto dalla relazione di Eugenio Pomarici, Università di Padova, presentata al convegno “Vigneto, cantina, ricerca, credito: il Trentino fa sistema” organizzato da Edagricole e Crédit Agricole a Cantina Rotari, sede del Gruppo Mezzacorona
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