Ricordate il primo vino che avete bevuto?
Sapreste descrivere oggi la sensazione che avete provato allora? Un aiutino per i più smemorati: al primo assaggio, di sicuro, non avrete fatto caso ai descrittori degli aromi. Se siete ancora appassionati di questa materia, come dimostra il fatto che state leggendo queste righe, scommetto che siete stati invece conquistati dalla sensazione di caldo avvolgimento, se era un rosso. Oppure di penetrante freschezza, se era un bianco.
Esperienze sensoriali e spirituali
Giurerei anche che abbiate condiviso tale sensazione con persone a voi vicine, esaltati dall’ebrezza di quel primo forte spirito di trasgressione comune. Tentativi di ribellione che attraversano le generazioni, al netto del fatto che oggi, la necessità di condividere più a distanza che in presenza, può spingere ad esagerare (almeno nella comunicazione di quel che si prova).
Esperienze sensoriali e spirituali in cui l’alcol ha un ruolo di primo piano. Anche perché il vino non è un succo di frutta: il suo ingrediente più ricercato – non me ne voglia il presidente dell’Oiv Luigi Moio – non è la componente aromatica, ma proprio il famigerato etanolo.
Anteprima editoriale VVQ 6/2023
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La memoria dell'alcol
Un altro esercizio per convincersene: sapreste elencare i vini che vi hanno in qualche modo colpito tra quelli bevuti anche solo un anno fa? Non per la loro etichetta, ma per il ricordo che vi hanno lasciato. Io ci ho provato: tra le numerose espressioni di eleganza e armonia degustate, rimangono invece in mente due o tre vini naturali che al primo assaggio erano parsi quasi sgarbati, per la forte potenza espressiva e la concentrazione.
Vini ribelli che, come direbbe Eugenio Finardi, continuano a vibrare nelle ossa e a entrare nella pelle.
Si vede che l’alcol, se piacevolmente armonizzato nel bouquet di un buon vino, sa interagire con la memoria: può donare l’oblio o, al contrario, attivare sinapsi. Caratteristiche che si possono trovare nei vini naturali anche perché la regola di non utilizzare niente di esogeno in vigneto e in cantina, assieme alle rese spesso basse, può fare schizzare in alto il grado, soprattutto in annate difficili come questa.
Un’eversione che in molti vorrebbero spegnere, in quest’epoca di neo-proibizionismo.
Controriforma per scacciare gli eretici
Una restaurazione che non risparmia la nouvelle vague dei naturali che qualcuno, approfittando dell’emergente gradimento per espressioni più morbide e fruttate, non esita a definire “trascurati”. Qualche produttore può avere in effetti esagerato. Il movimento dei vini naturali nell’ultimo decennio ha mostrato anche all’enologia convenzionale l’impatto aromatico delle fermentazioni spontanee e dei lieviti non-Saccharomyces e qualche vignaiolo estremista è arrivato a pretendere che si producessero, da soli, ottimi vini in anfore abbandonate in mezzo al vigneto.
Nuove chance anti-tecnologiche
In cantina invece, l’avversione per starter enologici, additivi, chiarificanti ecc impone forti investimenti in tempo e competenze per intervenire con rimontaggi, filtrazioni, travasi. Tutto si può dire tranne che siano trascurati e proprio la guerra all’alcol potrebbe dare a questi vini eretici una nuova dimensione.
L’impatto del climate change incide infatti sulla qualità sensoriale dei vini (v. articolo a pag. 36 di questo numero di VVQ) spingendo a intervenire in cantina con dealcolazioni sempre più spinte. La domanda dei vini low alcohol è del resto in crescita, per ora solo all’estero. Per produrre questi vini occorre però demolire in cantina, con colonne di ultrafiltrazione e osmosi inversa, quello che si è realizzato in vigneto.
Sforzi di addomesticamento dello spirito eversivo del vino che, per reazione, potrebbero dare più chance a chi si ribella a queste forzature, puntando dichiaratamente a produrlo naturalmente.
Anteprima editoriale VVQ 6/2023