Il Trentino vanta il primato delle provincie italiane con la maggiore percentuale di viti coltivate biologicamente. Nel 2021 la viticoltura biologica ha raggiunto infatti in Trentino i 1368 ettari, ed è ora pari al 13,3% del totale. Ma la viticoltura biologica sta crescendo in tutto il mondo, si sono infatti raggiunti i 470 mila ettari dei quali 400 mila in Europa. Anche il consumo del vino biologico è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni e rappresenta il 3,5% del consumo totale. L’interesse della FEM al tema lo dimostra lo dimostra il fatto che sono ben 14 i tecnici e ricercatori del CTT impegnati nel comparto biologico fra frutticoltura, viticoltura, piccoli frutti e piante officinali. Erano poche unità fino a pochi anni orsono.
I record del Trentino
Sono questi alcuni dei dati presentati dal dirigente del Centro di Trasferimento Tecnologico, della Fondazione Mach (FEM) Claudio Ioriatti, nell’introdurre il tradizionale appuntamento tecnico dedicato alla viticoltura biologica. Un incontro svoltosi nell’arco di una mattinata, alla FEM, mentre lo stesso giorno al pomeriggio si è svolto l’incontro sulla frutticoltura biologica al Centro Sperimentale Agrario di Laimburg, in Alto Adige.
La sfida di ridurre il rame
Tema centrale della mattinata- conclusasi con la visita alle prove sperimentali- seguita da oltre 140 persone fra quelle fisicamente presenti e quelle collegate in streaming: la difesa della vite coltivata con il metodo biologico. Una difesa affidata ancora quasi esclusivamente al rame, che però in base alla norma dell’UE del 2018 non può superare i 28 kg/Ha nell’arco di 7 anni.
Il consumo di quest’anno è stato fra i 3,2 kg/Ha ed i 3,6 kg Ha in base alle diverse zone. Si sono effettuati, per la difesa dalla peronospora, mediamente 14 trattamenti, a fronte degli oltre 20 di certe annate, ma quella di quest’anno non è stata una campagna particolarmente problematica, per le scarse piogge cadute, ha affermato Roberto Zanzotto, del progetto INTAVIEBIO, finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, per il Trentino. Certo è che ad oggi come hanno dimostrato le prove sperimentali condotte fino all’anno scorso dal CCT della FEM, non si sono trovati prodotti alternativi al rame per la difesa in viticoltura biologica. Considerato ciò l’obiettivo è quello di ridurre al massimo le dosi/Ha, si sono fatte molte prove sperimentali con dosi che partendo dai 100/gr hl, arrivano fino ai 400. I 100 gr si sono dimostrati insufficienti, ma dai 200 ai 400 grammi si sono avuti risultati che sono praticamente uguali. Le prove di quest’anno puntavano alla ricerca di prodotti che potessero integrare il rame senza sostituirlo, ma a conseguenza delle condizioni meteo particolarmente asciutte, non si sono avute indicazioni circa l’efficacia delle diverse tesi messe a confronto, ha affermato Ioriatti.
Il problema oidio
Più problematica si è dimostrata la gestione dell’oidio anche se non ha raggiunto picchi preoccupanti, in questo caso si è registrata una differenza netta fra le varie parcelle con le diverse prove. Molto interessante si sono dimostrate le prove di difesa dall’oidio, usando il siero, residuo della caseificazione, del quale c’è una grossa disponibilità in Trentino, visti numerosi caseifici. Per ora si tratta ancora di prove sperimentali e non si hanno indicazioni sulla sostenibilità economica della scelta. Certo, precisa il dirigente, queste prove saranno portate avanti anche per i prossimi anni per dare presto indicazioni precise ai viticoltori.
Le varietà di viti resistenti alle principali crittogame
La strada per ampliare la diffusione delle viti resistenti è ormai aperta, ha affermato il dirigente Ioriatti, l’unico limite è dovuto al fatto che a livello ministeriale non si è ancora recepita la norma comunitaria che autorizza la produzione di vini Doc dalle viti PIWI, come già documentato da VVQ, potremo arrivare ad un 10% del Teroldego ma anche delle uve base spumante ha affermato.
Abbassare l’impronta di carbonio
Presentati anche gli studi sull’impronta ambientale, dai quali è emerso fra l’altro gli effetti positivi del sovescio e del curetage. Studi fatti in collaborazione con l’Università della Campania e della Tuscia. Si è dimostrato come “l’impronta ambientale” in viticoltura (impronta di carbonio, idrica, di azoto,) può aiutare gli agricoltori ad evidenziare la maggiore sostenibilità di buone pratiche, ad esempio la gestione biologica rispetto a quella convenzionale in vigneti sperimentali della Fondazione Mach.