Pac per tutti, o per nessuno.
L’autunno è caldo per la politica agricola comunitaria con il rush finale per la programmazione 2023-27.
Mentre a Bruxelles, dopo il voto positivo dell’EuroParlamento, si aspetta solo la firma definitiva della riforma, a Roma il ministro Stefano Patuanelli accelera sul Piano strategico nazionale (Psn), una parziale nazionalizzazione che potrebbe togliere un po’ di sovranità agricola alle Regioni.
Editoriale del numero 7/2021 di VVQ
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Polpette avvelenate
Argomenti che i produttori agricoli conoscono già bene. Molto meno quelli vitivinicoli, mosche bianche ad alto livello di imprenditorialità, abituati a guardare più a quello che capita nei mercati internazionali che a quello che viene pianificato nelle stanze del potere. Conviene imparare a guardare in entrambe le direzioni.
La Pac nasconde infatti qualche polpetta avvelenata: modifiche normative per “rendere il settore più trasparente verso i consumatori”, imponendo una temuta etichettatura nutrizionale e l’indicazione degli ingredienti per tutti i vini (compresi i dealcolati, in via di sdoganamento).
Il sistema delle autorizzazioni d’impianto viene esteso fino al 2045, 15 anni in più che fanno tramontare ogni speranza a chi puntava a valorizzare i diritti ancora in portafoglio. Vengono concesse aperture alla possibilità di impiegare varietà resistenti nei vini a denominazione d’origine (ma su questo pesa l’interpretazione nazionale, v. a pag.38).
Convergenza non più rimandabile
Pillole che potrebbero essere indorate dall’aumento degli aiuti diretti per i viticoltori. Le superfici a vigneto sono infatti state ammesse a ricevere i contributi del primo pilastro della Pac già dal 2015. Non è stata però una pioggia di denari: il meccanismo dei titoli storici ha cristallizzato una situazione in cui ci sono aree e colture di serie B, con pagamenti di base attorno ai 100 euro ad ettaro, ed altre che superano i 500. Fino a casi limite particolarmente fortunati, individuati in una recente ricognizione, con pagamenti complessivi fino a 80mila €/ha per colture premiate da pagamenti disaccoppiati come il tabacco.
Il meccanismo della convergenza interna, introdotto da Bruxelles già nella precedente Pac, doveva porre fine a queste disuguaglianze. In Italia ci sono oltre 400mila aziende agricole che possono beneficiare di questo bilanciamento e tra queste ci sono tutte quelle viticole, ma la voce delle aziende penalizzate è stata finora più forte. Tanto che l’Italia è l’unico Paese ad avere rimandato la convergenza. Nella programmazione 2023/27 dovrà essere attuata per forza. Per i viticoltori può portare ad un raddoppio netto dei sussidi, fino a circa 200-230 euro ad ettaro.
Il condizionamento degli Ecoschemi
C’è da rallegrarsi, ma con moderazione. I sussidi sono infatti un’arma a doppio taglio: gli aiuti concessi da Bruxelles sono fortemente condizionati dagli obiettivi del Green Deal, soprattutto attraverso il meccanismo degli “eco-schemi”. Sette quelli individuati da Patuanelli che potrebbero entrare nel Pns. Ai viticoltori interesseranno l’eco7 (coperture vegetali per tutelare impollinatori e biodiversità); eco4 (inerbimento contro il degrado del suolo) e soprattutto eco2 (agricoltura biologica) ed eco3 (produzione integrata). Questi ultimi due sono gli unici impegni controllati attraverso certificazione, un plus per evitare le contestazioni di Bruxelles.
Il banco di prova del vino sostenibile
Per l’eco3 questo vale però solo se il ministero riuscirà a definire in tempo i protocolli del sistema di sostenibilità certificata che dovrebbe mettere insieme i disciplinari di produzione integrata (Sqnpi) e le certificazioni di sostenibilità Equalitas e Viva. Occorrerà però che gli impegni stabiliti da questi protocolli corrispondano a quello che i consumatori internazionali intendono per vino sostenibile. Ovvero che mercati e “stanze del potere” vadano nella stessa direzione. Altrimenti i viticoltori, per guardare entrambi, rischiano di diventare strabici.