«La scintilla dell’innovazione accenderà il futuro delle nostre denominazioni»

Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc
Territorio batte varietà: nel vino l’Italia sta vincendo la sfida con il nuovo mondo valorizzando la propria tradizione. «Che non vuol dire però immobilismo: l’attenzione alla sostenibilità testimonia la necessità di aprirsi a novità come quelle dei vitigni resistenti». Il punto di vista di Riccardo Ricci Curbastro, presidente di FederDoc, uno dei protagonisti del convegno del 1 ottobre a Rauscedo

Climate change, Farm to fork, nuove esigenze e nuovi mercati: il vigneto Italia saprà mantenere un ruolo centrale nel futuro?

È il tema della conferenza “Verso una nuova viticoltura: il ruolo della genetica e del vivaismo” organizzato il 1 ottobre da Vcr, vivai cooperativi Rauscedo assieme ad Edagricole. Come sarà la viticoltura del futuro alla luce dell’evoluzione del mercato, della normativa e dell’evoluzione tecnologica? Ne parliamo con Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, uno dei protagonisti della tavola rotonda del 1 ottobre.

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Nel vino vince il territorio, per distacco

Ha ancora senso una piramide qualitativa incentrata sul legame territoriale nel momento in cui l’attenzione del consumatore è spostata sul concetto di sostenibilità?

«Assolutamente si – risponde Ricci Curbastro - , in questo momento la storica battaglia tra vini varietali (tipici soprattutto dei Paesi nuovi produttori e anglosassoni) e vini caratterizzati da un territorio che per geologia, clima, tradizioni ecc. è diverso dagli altri vini sta volgendo a favore dell’origine.  In Australia, Paese da sempre nostro antagonista nella protezione delle Denominazioni, Barossa Valley dichiara di essere “a rich tapestry of landscape and heritage” (un ricco arazzo di paesaggio e territorio) e “Geographical Indication (GI) is an official description of an Australian wine zone” (l'Indicazione Geografica è una descrizione ufficiale di una zona vinicola australiana). Lo stesso accade negli USA con Napa Valley e Sonoma Valley in California o Willamette Valley in Oregon».

«L’Italia è un Paese dall’irripetibile diversità di suoli, climi, tradizioni e con una ricchezza di Denominazioni in ogni caso insuperabile, questa resta la base del nostro successo, questi territori e Denominazioni stanno anche dimostrando grande attenzione ai concetti di sostenibilità che il consumatore vuole vedere inglobati con l’origine nel proprio bicchiere. Non a caso Federdoc e i Consorzi delle DO sono i promotori dello Standard di Sostenibilità Equalitas, che già oggi certifica circa il 18% del vino italiano.

Quando Bruxelles fa confusione

Il caso Prosek è una dimostrazione della labilità della protezione territoriale?

«Assolutamente no, semplicemente è la dimostrazione da una parte di una cronica assenza della politica nel momento delle scelte fondamentali, (credo sia stata pur discusa in qualche sede di Consiglio dei Ministri UE questa domanda così delicata, perché la scopriamo a pubblicazione avvenuta?)»

«Dall’altra mi sembra che la Commissione manchi di una visione complessiva del proprio operato: come si può trattare gli accordi bilaterali di protezione delle DO e contemporaneamente permettere una chiara imitazione in casa propria? Questo è un autogol.  Inoltre mi pare che la Commissione Ue, quando non sia incalzata dalla politica (Parlamento, Consiglio) tenda ad essere “accomodante” o meglio a scaricare su altri le decisioni scomode».

Il green washing non funziona più

Vini biologici, vini sostenibili - presto certificati con sistema nazionale-, vini biodinamici, vini naturali e ora pure vini slowfood : la sostenibilità è l’obiettivo del decennio (strategia farm to fork e biodiversity). Il vino è il prodotto agricolo più evoluto, dove l’esigenza di differenziarsi sui mercati ha creato più biodiversità e segmentazione: c’è bisogno di più ordine o è meglio continuare ad affidarsi alla fantasia dei produttori italiani?

«Il riscaldamento globale prima, poi la pandemia, la sempre maggiore presa di coscienza che con questo stile di vita la terra non può supportarci e sopportarci hanno fatto sì che il mondo vitivinicolo, che normalmente ha sensori molto attivi sui mercati e quindi percepisce i cambiamenti ben prima di altri, cominciasse, già una ventina di anni fa a cercare soluzioni. Un lavoro pioneristico sbocciato in molte iniziative, ora è il momento del riordino delle idee, del proporre al mercato soluzioni credibili e certificate, scientificamente misurabili. Mi pare che lo sforzo di sintesi fatto dai Consorzi delle DO con Equalitas sia antesignano anche di questa necessità di ordine e chiarezza dei messaggi, il green washing non sarà più accettato dai mercati».

La sostenibilità si basa sull’innovazione

Il vitigno crea valore, ma è ormai una variabile che rischia di essere sempre più slegata dal territorio. Si tratta di una componente da valorizzare maggiormente?

«Il vigneto, quale che sia il vitigno, posto in un certo territorio, crea valore, ne ho già parlato abbondantemente. È chiaro che il nuovo approccio verso viti resistenti a oidio e peronospora in un momento di grande attenzione alla sostenibilità, anche ambientale, riporterà a breve parte dell’attenzione in vigna e sugli sviluppi delle nuove ricerche».

Quale ruolo avranno dunque i nuovi vitigni resistenti? È giusto concedere il via libera per l’entrata nelle denominazioni come sta succedendo in Francia oppure conviene in qualche modo tenerli separati, valorizzarli con sigle come “Piwi” come si fa in alcuni mercati per metterne in luce la sostenibilità?

«Federdoc è stata la prima, e per quanto ne so, l’unica federazione nazionale a decidere, dopo lunga e faticosa discussione, di chiedere alle autorità nazionali di aprire alla sperimentazione in campo, anche nei vigneti a DO, per le varietà resistenti. Questo accadeva nel 2018 ipotizzando un massimo del 10% per testare in campo, nel territorio di origine, il comportamento e l’apprezzabilità organolettica di vini prodotti con queste nuove varietà.  Mi aspetto che il nuovo Comitato Nazionale delle DO, che sarà nominato a breve, ponga l’argomento all’ordine del giorno dei suoi lavori, assumendosi la responsabilità di una sintesi su una possibilità così nuova, da taluni osteggiata, ma non più procrastinabile».

Il farm to fork e il via libera a nuove varietà ottenute da cisgenesi e genome editing (tra 10-12 anni forse), che ruolo avranno? Saranno equiparati a nuovi cloni di vecchie varietà? Come reagirà il mercato?

«Era ora! La cisgenesi è ampiamente utilizzata nella ricerca per le malattie dell’uomo perché non quelle della vite che ci accompagna fedelmente ormai da millenni, così come il cane ed il gatto?  Credo che come sempre le cose andranno spiegate ai consumatori, con parole semplici, e avremo un largo consenso. Qualche “no vax” lo metto in conto tra clienti e viticoltori, liberi di continuare a produrre uva con i metodi tradizionali, che poi così tradizionali non sono visto che fin oltre la metà dell’Ottocento queste crittogame venute da Oltre Oceano erano assenti in Europa».

La “scintilla” di Galileo e Einstein

In un settore come la viticoltura in cui l’immagine di tradizione ha un peso, è possibile attribuire invece un valore aggiunto all’innovazione varietale  al ruolo di ricerca e vivaismo?

«La tradizione non è imbalsamata e immutabile, viceversa chiamiamo tradizione tutte quelle innovazioni di successo dei nostri antenati. Per questo conservare la tradizione imporrebbe anche l’obbligo di ricerca e innovazione: nulla è immobile, neanche la terra (un concetto innovativo che dobbiamo a “un tal” Galileo Galilei) e perfino la luce devia con i campi magnetici (innovazione di “un tal” Albert Einstein). L’innovazione e il vivaismo con la ricerca saranno il nerbo del racconto della tradizione dei nostri figli e nipoti, questo è un momento di grandi cambiamenti ma vorrei ricordare che mio trisnonno aveva una tradizione vitivinicola totalmente diversa dalla mia fino a quando nel 1890 la Fillossera fece la sua comparsa nei nostri vigneti costringendolo ad innovare, innestando su piede americano, la sua viticoltura».

Qual è il clima riguardo alla possibile inclusione dei resistenti nel sistema delle denominazioni?

«Mi aspetto un atteggiamento aperto e lungimirante, per quanto riguarda il Sen. Gian Marco Centinaio, che ha la delega per il settore, lo stimo per la sua capacità di ascoltare, fare sintesi e poi agire, mi auguro potremo averlo al nostro fianco in questa sfida all’innovazione».

«La scintilla dell’innovazione accenderà il futuro delle nostre denominazioni» - Ultima modifica: 2021-09-28T17:30:03+02:00 da Lorenzo Tosi

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