Quale nome per i vitigni ibridi resistenti alle malattie fungine?
Il richiamo al nome del parentale è un’opportunità o un rischio per la nostra viticoltura?
Recentemente (Georgofili Info del 14 maggio 2019, ripresa da L’Enologo 7/8 2019) ho sostenuto la tesi che non sarebbe certo utile per la nostra viticoltura se vini etichettati come Glera, Lambrusco, Sangiovese o Montepulciano, fossero prodotti al di fuori dei nostri confini: in Austria e in Germania o addirittura in Danimarca e in Svezia. Un rischio che sarebbe notevolmente aumentato dalla futura disponibilità di ibridi resistenti ottenuti da questi vitigni e iscritti con il nome del parentale.
Ho letto le controdeduzioni alla mia posizione presenti nell’editoriale “Nome e cognome per i vitigni resistenti” sul numero di luglio di VVQ (clicca qui per accedere) e trovo che ogni opinione abbia piena dignità e non debba portare a scontri di nessun genere.
Un’iscrizione in assenza di comitato
Nella nota scritta per i Georgofili ho solo riportato puntualmente la storia dei fatti (di cui, tra l'altro, sono stato protagonista diretto), evidenziando come i primi vitigni ibridi iscritti al registro nazionale col nome di un parentale europeo lo furono d'ufficio, in carenza di un comitato che, se fosse stato ancora attivo e non disciolto (nell'ambito di una ristrutturazione ministeriale), avrebbe presumibilmente potuto esprimere già allora pareri diversi.
Questo precedente non è da poco, ma finchè i nomi degli ibridi richiamano i vitigni francesi, il problema è essenzialmente francese. Per i nuovi ibridi resistenti che potrebbero avere nomi di vitigni italiani aggettivati, il problema ci riguarda invece da vicino, anche perchè sicuramente queste nuove varietà erediteranno dai parentali non europei, oltre alla resistenza alle malattie fungine, anche altri caratteri (del resto già evidenti negli ibridi nuovi finora omologati) e cioè forte precocità di maturazione, forte produttività e forte resistenza al freddo. Caratteri che li renderanno idonei anche ai climi del Nord Europa.
Complicazioni “internazionali”
Su questo punto ho ritenuto necessario esprimere - in modo certamente non polemico – dubbi sugli effetti “collaterali” di queste eventuali registrazioni sulle chance della viticoltura italiana del futuro. Anche in virtù della certezza che saranno le eventuali virtù del nuovo ibrido (enologica, di resistenza, ecc.) a decretarne il successo, anche con un nome diverso da quello del genitore.
Non a caso, il nome Peleo da solo non ci dice nulla, mentre il nome Achille è importante per sè stesso e non per quello del padre.
Se ai nuovi ibridi venissero attribuiti (come avviene da parte dell'INRA in Francia) nomi "ufficiali" di fantasia, questo ci metterebbe al riparo da eventuali complicazioni internazionali.
Tuttavia niente vieta (sarebbe anzi auspicabile) che nella loro descrizione fosse pubblicizzata ed indicata chiaramente la provenienza, cioè i nomi dei genitori. Questo sarebbe più che legittimo ed auspicabile e forse sarebbe più utile, piuttosto che nomi "ufficiali" che potrebbero alimentare solo equivoci e confusioni sia in Italia che in Europa.
Ogni incrocio è diverso dai parentali
Un’opinione, questa, suggerita dagli insegnamenti che mi sono stati lasciati da incomparabili maestri come il Prof. Baldini e il Prof. Scaramuzzi. Uno di questi è che un qualsiasi incrocio tra due piante di vite della stessa specie (intraspecifico) o di specie diverse (interspecifico), dà origine ad un individuo che è comunque "diverso" dall'uno e dall'altro parentale, e quindi, anche se assomiglia di più all'uno o all' altro, deve essere contraddistinto da un nome diverso da quello dei parentali, anche se il nome potrebbe legittimamente avere "assonanza" con i nomi dei parentali stessi.
Non è un caso, infatti, che quando realizzai e selezionai un interessante incrocio tra Sangiovese (madre, donatore dell'ovario) e Merlot (padre, donatore del polline) ho chiamato l'incrocio col nome di Merlese per l'iscrizione al registro varietale italiano, ma in tutte le pubblicazioni fatte su tale vitigno ho scritto a chiare lettere quali erano i genitori.
L’ingresso nelle Doc
Ciò premesso, ribadisco di essere favorevole in toto alla realizzazione di nuovi ibridi resistenti e di non essere affatto contrario all’autorizzazione del loro utilizzo nelle denominazioni d’origine come vitigni complementari. Una scelta che sta per essere adottata in Francia, e che in Italia dovrà essere affrontata dal Comitato competente.
Dietro l’angolo, il genome editing
E penso che tale discussione sarà affrontata nelle forme opportune anche a livello accademico, anche perchè il futuro ci porterà altri e maggiori problemi, soprattutto se passerà (come si spera) la linea non ogm per i vitigni resistenti ottenuti con tecniche come il genome editing. In quel caso sì che il nome della nuova accessione dovrebbe restare quello del vitigno di origine aggettivato (es. Sangiovese resistente") e non avere un nome di fantasia come se fosse un nuovo vitigno (a mio modo di vedere sarebbero infatti solo nuovi cloni, in quanto tutte le altre caratteristiche, tranne la resistenza, rimarrebbero non modificate). Ma anche questa opinione "scientifica" potrà essere osteggiata, perchè il clone non è brevettabile, mentre e la varietà sì.
Siamo alla vigilia di un confronto che, su questo tema, coinvolgerà non solo la comunità scientifica, ma anche le forze politiche ed economiche che operano nel nostro Paese. Qualsiasi polemica oggi rischia di essere solo sterile e inutile, lasciando ognuno della propria opinione.
Link:
NOME E COGNOME PER I VITIGNI RESISTENTI (di Lorenzo Tosi)