Non sempre le condizioni della spumantizzazione sono ideali per far esprimere al meglio i lieviti sia nella fermentazione in bottiglia che nella autolisi in affinamento.
Occorre, pertanto, un accurato lavoro di validazione di ciascun processo di spumantizzazione per trovare la combinazione ideale tra tecnica, vino e lievito, in relazione ai caratteri che l’enologo vuole imprimere al vino spumante
Sintesi da VVQ 8/2023
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Gli spumanti metodo classico sono considerati “vini speciali”, non solo per la legislazione italiana, ma anche, o forse soprattutto, perché il processo produttivo è del tutto peculiare e crea, sia dal punto di vista chimico che microbiologico, situazioni difficilmente riscontrabili nelle altre produzioni enologiche. Così anche i lieviti per la spumantizzazione devono essere speciali, vediamo perché
Charmat o champenoise, due vini lo stesso lievito?
Nella spumantizzazione, più ancora che nelle altre produzioni enologiche, vi è una strettissima correlazione tra scelte enologiche e attività dei microrganismi, lieviti in particolare.
Non sempre le condizioni della spumantizzazione sono ideali per far esprimere al meglio i lieviti sia nella fermentazione in bottiglia che nella autolisi in affinamento. Occorre, pertanto, un accurato lavoro di validazione di ciascun processo di spumantizzazione per trovare la combinazione ideale tra tecnica, vino e lievito, in relazione ai caratteri che l’enologo vuole imprimere al vino spumante
Tale assunto si conferma già dall’inizio del processo di produzione di un vino spumante, in quanto il metodo champenoise e il metodo charmat creano ambienti considerevolmente differenti, puntando produzioni enologiche altrettanto diverse. Vi sono dunque alcuni caratteri comuni, ma anche alcune peculiarità dei lieviti da impiegarsi in queste due produzioni. I ceppi di lievito per la presa di spuma, o fermentazione secondaria, devono riuscire a fermentare in maniera efficace, sia in termini di cinetica del consumo degli zuccheri che di qualità dei vini ottenuti, anche in presenza di sottoprodotti del metabolismo fermentativo, quali l’anidride carbonica e l’etanolo, e di pressioni che sfiorano il limite di tolleranza per i microrganismi.
Nella presa di spuma in bottiglia etanolo, pH e pressione parziale di CO2 sono i fattori più limitanti, al limite della sopravvivenza per i lieviti. Per quanto riguarda gli spumanti metodo charmat non è da trascurare che le fermentazioni secondarie avvengano a basse temperature e con dosi non trascurabili di anidride solforosa. I lieviti devono dunque mantenere un’attività metabolica consistente anche al di sotto dei 15 °C e non devono risentire eccessivamente della presenza di solfiti, sia in termini di attività fermentativa che di produzione di metaboliti secondari quali la produzione indesiderata di composti solforati.
La vinificazione in autoclave è, infine, un processo rapido, il rilascio di molecole ad alto valore sensoriale, come le mannoproteine, deve essere pertanto veloce, anche in assenza di una vera e propria autolisi. Non è richiesto il carattere flocculento in quanto la separazione della biomassa avviene solitamente mediante filtrazione.
La preparazione dello starter
Questo carattere è dunque prerogativa dei lieviti impiegati nella produzione di spumanti metodo classico, perché facilita il processo di sboccatura del vino. Infine, è sempre necessaria una fase di adattamento dei lieviti starter prima del loro inoculo nel vino per assicurare l’attecchimento della biomassa e la sua attività e, in definitiva, una corretta fermentazione alcolica.
In questo senso la messa a punto di protocolli specifici sia nella produzione del lievito secco attivo che nelle fasi di reidratazione permettono di migliorare la vitalità della biomassa e ridurre lo stress con conseguente rischio di accumulo di prodotti indesiderati nel vino.
Resistenza all'acidità
La capacità di adattarsi agli stress incombenti durante la fermentazione alcolica è il più importante carattere di selezione per ogni lievito vinario. Nel caso dei lieviti impiegati per la presa di spuma i fattori limitanti più importanti sono la sovrapressione di CO2 e il pH particolarmente basso nelle basi spumante.
Per quel che riguarda l’acidità è noto che un eccessivo gradiente tra la concentrazione protonica dell’ambiente, il vino, e il citoplasma metta sotto stressa la cellula, e in particolare i sistemi proteici di trasporto selettivo delle membrane cellulari, obbligandola a destinare una quota significativa dell’attività metabolica al mantenimento dell’omeostasi cellulare, distogliendola da altri metabolismi di maggiore interesse enologico. Inoltre, sono molti i differenti acidi organici potenzialmente presenti in una base spumante: tartarico, malico, lattico, citrico, acetico, succinico e grazie ai recenti adeguamenti legislativi, fumarico.
Ognuno di essi ha un impatto differente sulla vitalità e sul metabolismo cellulare. In alcuni casi gli acidi organici possono rivelarsi fonti nutrizionali secondarie, stimolando l’attività dei lieviti; in altri risultano tossici per le cellule, aggravando i fenomeni inibitori già in atto.
L'impatto dell'anidride carbonica
Per quanto riguarda la resistenza alla CO2 è noto che già a basse pressioni questo gas può inibire l’attività dei lieviti e influenzare la produzione di alcuni composti aromatici quali gli esteri etilici. Studi proteomici in merito hanno inoltre osservato come la sovrapressione di CO2 interferisca con processi fondamentali quali la sintesi del RNA trasportatore, l’organizzazione cromosomica, la sintesi proteica, le funzioni vacuolari e perosisomiali. Sono stati individuati i marcatori genetici dei caratteri di resistenza, un’attività propedeutica a selezioni di ceppi starter maggiormente mirate alle peculiarità della presa di spuma.
Non solo genetica: sono stati individuati anche i principali parametri fisiologici da tenere presente nei lieviti starter per la presa di spuma, quali l’elevata concentrazione di glicogeno e trealosio, un basso tenore in specie reattive all’ossigeno, i cosiddetti ROS, il rapporto tra i diversi acidi grassi di membrana come marker della capacità della cellula di adattarsi alla pressione selettiva ambientale.
Flocculazione, una tecnica innovativa
La flocculazione è un fenomeno biologico che vede l’aggregazione di diverse cellule di lievito, appartenenti alla stessa specie, in modo transitorio, ovvero reversibile. In altre parole, i flocculi, una volta formatisi, possono anche sciogliersi. Tale carattere è fondamentale perché semplifica notevolmente la separazione delle cellule dal vino nella presa di spuma in bottiglia. La flocculazione dei lieviti per spumantizzazione è un processo differente da altre forme di aggregazione come i biofilm o la co-aggregazione tipica, ad esempio, dei lieviti della flor: in questi casi infatti possono essere coinvolte anche differenti specie di lievito. Nel caso dei lieviti per spumantizzazione la flocculazione è resa possibile da proteine di membrana che riconoscono, legandosi, i residui glucidici presenti nelle mannoproteine di altre cellule di S. cerevisiae.
Vi sono tuttavia alcuni fattori ambientali che possono interferire con questo meccanismo, quali la presenza di zuccheri (Mannosio, maltosio, glucosio o saccarosio), il basso pH, la presenza di glicerolo, la concentrazione di diversi cationi e in particolare di Ca2+. Da queste poche righe si deduce che la floculazione dei lieviti è un fenomeno decisamente complesso: sono stati osservati almeno tre differenti fenotipi coinvolti, ognuno con diversi meccanismi e fattori inibitori o stimolanti. Pertanto, per ovviare a questa complessità sono stati proposti sistemi artificiali di immobilizzazione dei lieviti che consentirebbero di aggregare le cellule in un substrato inerte, riducendo a pochi minuti la fase di sboccatura. L’idea è brillante e le tecnologie mature, tuttavia ad oggi questa soluzione trova limitata applicazione commerciale.
Autolisi e affinamento
La cosa che più differenzia i vini spumanti prodotti secondo il metodo Champenoise o Charmat è certamente la durata della fase di affinamento post fermentazione alcolica.
Il tempo è un fattore chiave nell’autolisi perché questo processo prevede differenti fasi e può essere influenzato da diverse variabili ambientali. Il processo di autolisi vede due step successivi, il primo è detto autofagia, il secondo propriamente autolisi. L’autofagia vede le cellule di lievito, ancora vitali, attivare un meccanismo di turn over catabolico di componenti intracellulari quali proteine non funzionanti, organuli danneggiati, batteri o virus eventualmente inclusi nel citoplasma, al fine di ricavare nuove molecole funzionali al metabolismo cellulare.
L’autofagia è dunque un meccanismo di sopravvivenza che viene attivato dalla carenza ambientale di fattori essenziali alla vita cellulare, come ad esempio succede al termine della fermentazione alcolica in bottiglia quando zuccheri e composti azotati scarseggiano. L’autolisi è il processo successivo che vede la progressiva perdita di funzionalità della membrana citoplasmatica con conseguente inattivazione dei complessi enzimatici intracellulari, l’accumulo, e infine la liberazione, di prodotti di idrolisi cellulare nel mezzo.
L’autolisi è un processo naturale che avviene al termine del ciclo vitale di una popolazione microbica, è dunque autoindotto da cellule ancora vive. Nei processi industriali quali la presa di spuma, o più comunemente la produzione di lisati cellulari per l’industria, l’autolisi può essere indotta modulando alcuni fattori ambientali quali la temperatura, la pressione osmotica, la disponibilità di ossigeno e la presenza di composti antibiotici. Anche alcuni componenti del vino, come l’etanolo o il pH possono stimolare l’autolisi, che tuttavia rimane più lenta di quanto si possa osservare in processi industriali quali la produzione di lisato di lievito perché non è possibile alzare la temperatura e il pH.
La predisposizione all’autolisi è inoltre variabile da ceppo a ceppo anche della medesima specie e deve dunque essere considerato quale carattere di selezione nella scelta di ceppi di lievito per la presa di spuma, soprattutto nel caso di vini spumanti metodo charmat dove il ciclo produttivo è breve.
Ruolo dei prodotti dell'autolisi nella maturazione
L’autolisi è dunque importante nella maturazione di un vino spumante, ma perché? Qual è il ruolo dei diversi composti liberati dalle cellule nella definizione del profilo organolettico del vino? Vediamo di tratteggiare un quadro sintetico.
Per quanto riguarda i composti azotati, possiamo distinguere tre contributi. Il tasso di proteine rilasciate dal lievito aumenta nel vino spumante fino a 3 mesi dalla fine della fermentazione alcolica, vengono poi idrolizzate a peptidi che costituiscono la frazione più rappresentativa per quantità, stima fino al 60% del totale dei composti azotati, e durata nel tempo, raggiungendo il massimo intorno ai 15 mesi di affinamento. I peptidi hanno differenti funzioni sia verso le cellule ancora vitali che nei confronti del vino, le più rilevanti sono le funzioni antimicrobiche e antiossidanti. La loro composizione, intesa come peso molecolare, ma anche l’idrofobicità e dunque l’interazione con il vino, mutano nel tempo, mano a mano che procede l’invecchiamento del vino. I peptidi tendono poi a ridursi in aminoacidi liberi, frazione che rappresenta circa il 10% dell’azoto nel vino spumante in affinamento con un aumento progressivo a partire dai 9 mesi di affinamento. I composti azotati influenzano sia le caratteristiche della schiuma del vino spumante che la sua frazione aromatica, essendo precursori di alcune classi di aromi.
Polisaccaridi e mannoproteine arricchiscono il vino durante l’autolisi, essendo prodotti di disgregazione delle pareti cellulari. L’incremento di queste molecole si osserva fino ai 6 mesi di affinamento, trascorsi i quali possono intervenire processi di precipitazione.
Le mannoproteine riducono la torbidità e influenzano positivamente schiuma e corpo del vino, la loro efficacia è mantenuta fino ai 18 mesi di invecchiamento, trascorsi i quali la qualità della schiuma tende a decrescere per l’accumulo di composti antagonisti, come il fruttosio. I lipidi derivano in buona parte dalla degradazione delle membrane cellulari, la loro funzione è variabile in base alla lunghezza della catena carboniosa. Sono precursori di componenti aromatici e possono influenzare corpo del vino e stabilità della schiuma, anche per questa classe di composti la durata dell’affinamento è un parametro chiave nel determinarne la composizione e dunque le proprietà enologiche.
Esteri, alcoli superiori e aldeidi sono le principali classi di composti aromatici liberati dall’autolisi del lievito, il rilascio avviene tipicamente all’inizio dell’autolisi per poi osservare una progressiva diminuzione, sia per fenomeni di adsorbimento sulle pareti cellulari, in particolare nel caso degli alcoli superiori, che di degradazione meramente chimica, come nel caso delle aldeidi. Infine, l’imbrunimento che caratterizza i vini spumanti lungamente affinati è dovuto a fenomeni ovvero l’ossidazione dei composti fenolici e l’azione di enzimi citoplasmatici. Il contenuto di molecole antiossidanti, come il resveratrolo, diminuisce nel tempo per fenomeni di adsorbimento della parete cellulare.
Altri composti fenolici, come le catechine e l’acido gallico incrementano con l’affinamento, così come l’acido p-cumarico e trans-cutarico, correlati da diversi autori all’imbrunimento del vino.
L'autore è della Fondazione Edmund Mach
Bibliografia
[1] Microbiologia della Vite e del Vino.
2022. A cura di Romano, Ciani e Cocolin. CEA editore
Bayanus o cerevisiae? L’eterno dilemma
Se già Pasteur aveva chiaramente individuato un lievito dalla spiccata capacità di trasformare lo zucchero in alcol, sfatando la teoria chimica della fermentazione alcolica, propugnata da Liebig, si deve attendere il 1870 per la descrizione della specie Saccharomyces cerevisiae.
Tutto chiaro dunque? Assolutamente no. Le prime classificazioni si basavano su caratteri fisiologici che nel tempo aumentarono vertiginosamente, fino ad arrivare a circa 70 alla fine degli anni ’70 del XX secolo. Questa moltiplicazione incontrollata di saggi di identificazione invece che evitare equivoci nella classificazione li rese più comuni in quanto la grande variabilità fisiologica dei ceppi, tipica della specie S. cerevisiae, rendeva molti saggi alquanto discutibili nell’interpretazione. Negli anni 80 si decise dunque di raggruppare tutti i Saccharomyces nella sola specie S. cerevisiae, ma pochi anni dopo lo studio del cariotipo, ovvero della struttura cromosomica, portò nel 1988 a definire 4 specie di Saccharomyces, tra cui appunto le più note S. cerevisiae e S. bayanus con conseguente riclassificazione anche di ceppi d’interesse enologico. Tutto finito?
Ovviamente no, ad oggi sono dieci le specie appartenenti al genere Saccharomyces riconosciute, compresi alcuni ibridi tra le specie originarie.
Rifermentazioni alternative?
Solo il genere Saccharomyces può fornire lieviti utili alla presa di spuma? In effetti, questi lieviti hanno generalmente la migliore tolleranza ai fattori limitanti caratteristici dei vini spumanti e restano imprescindibili nella presa di spuma.
Tuttavia, esperimenti condotti anche dall’autore, e recentemente divulgati anche attraverso queste pagine e su convegni nazionali edinternazionali, dimostrano come con il dovuto adattamento altre specie di lievito possano tollerare l’ostico ambiente della bottiglia, dando un’impronta originale ai vini spumanti.
Sintesi da VVQ 8/2023