L’appassimento delle uve per la produzione di vini – che ha come obiettivo la disidratazione degli acini, concentrando nel mosto i metaboliti della polpa e della buccia – trova in Italia la sua massima espressione enologica in vini dolci come i passiti siciliani e i Vin Santi toscani e in vini secchi come l’Amarone e lo Sfurzat. È ormai confermato che il vino passito, come segnalato da Fregoni nel 2006, non è frutto di semplice ossidazione, ma è il risultato di uno stress idrico in cui l’entità (ossia la quantità di acqua persa), la velocità e la temperatura con cui esso avviene giocano un ruolo fondamentale nel modificare l’intensità di differenti metabolismi coinvolti.
Tra questi, i maggiormente interessati dallo stress idrico postraccolta sono quelli legati alla formazione dei composti volatili aromatici e alla sintesi dei polifenoli. Nelle zone in cui le condizioni climatiche sono favorevoli, la disidratazione degli acini può essere realizzata per esposizione dell’uva al sole o direttamente sulla pianta oppure ancora, in postraccolta, in locali a libera circolazione d’aria detti fruttai naturali.
Negli ultimi anni però le modificazioni climatiche e l’avvento del rischio ocratossina hanno minato notevolmente la tradizionalità dell’appassimento postraccolta all’aperto, che è diventato troppo rischioso, come è stato recepito nel Decreto 7 Aprile 2000 - Gazzetta Uffi ciale n. 97. Anche i produttori tradizionali hanno pertanto fatto ricorso sempre più frequentemnete all’impiego di tunnel in film plastico o di celle di appassimento, caratterizzate da un controllo accurato di temperatura, umidità e ventilazione.
L’adozione di nuove tecnologie di appassimento controllato permette di salvaguardare la produzione e di valorizzare gli aspetti qualitativi-aromatici delle uve di varietà tradizionali autoctone, impiegate nella produzione di vino passito. Oltre a consentire di modulare il processo in funzione del tipo di vino che si vuole ottenere, l’uso di celle condizionate ha reso possibile la disidratazione degli acini anche in zone climatiche poco favorevoli all’appassimento al sole o in fruttaio naturale.
LA BOTRITIZZAZIONE CONTROLLATA
Il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari (DiSTA) dell’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo) ha maturato negli ultimi anni notevoli conoscenze e competenze nella gestione di ambienti controllati per l’appassimento delle uve in postraccolta. Andrea Vannini del Dipartimento di Protezione delle Piante (DiProP) e Fabio Mencarelli del DiSTA hanno pensato di sfruttare tali competenze provando ad associare all’appassimento controllato l’inoculo di spore di Botrytis cinerea sulle uve, al fine di ottenere vini muffati.
Su questo tipo di innovazione tecnologica esistevano solo pochi studi precedenti, alcuni dei quali condotti in California negli anni Cinquanta del secolo scorso. Botrytis cinerea, come risaputo, è un fungo patogeno che attacca gli acini d’uva provocando due differenti tipi d’infezione: muffa grigia e muffa nobile. La prima colpisce gli acini in corrispondenza della maturazione e richiede una prolungata e costante condizione di terreno imbibito o un elevato grado di umidità atmosferica: provoca il marciume distruttivo acido e la perdita dei grappoli colpiti.
La muffa nobile si sviluppa invece quando la botrite evolve in forma larvata all’interno dell’acino, dove produce modificazioni nelle componenti aromatiche e tissutali, aumentando il grado zuccherino dell’uva, che dà pertanto origine a vini liquorosi e dolci qualitativamente apprezzabili, come i Sauternes. L’insorgere della muffa nobile è favorito da una maggiore resistenza al patogeno di alcune varietà di uva e si manifesta quando si alternano condizioni di clima secco e ventilato a condizioni di clima umido.
IL PROGETTO VIMACO
Nei laboratori del DiProP e del DiSTA dell’Università della Tuscia è stata condotta per alcuni mesi una sperimentazione preliminare su piccola scala, per vedere se era possibile modulare l’effetto della botrite sull’uva in postraccolta senza indurre maciume acido, attraverso la gestione controllata delle condizioni di temperatura, umidità e ventilazione. Si sono ottenuti risultati positivi ed è stato depositato un brevetto relativo alla tecnologia per l’inoculo della botrite in ambiente controllato.
È stato quindi presentato un progetto di sperimentazione e trasferimento tecnologico alla Regione Lazio, che lo ha selezionato tra numerose proposte e sostenuto economicamente attraverso la propria finanziaria (Filas). Il progetto, della durata di tre anni, finalizzato a valutare la nuova biotecnologia di trattamento delle uve in ambiente controllato per l’ottenimento di vini muffati di qualità, è stato denominato Vimaco. Oltre a DiProP e DiSTA dell’Università della Tuscia, hanno collaborato al progetto Bio Tecnologie B.T. di Todi (PG), Marvil Engineering (Salorno, BZ) e la Cantina sperimentale del Cra (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura) di Velletri (Roma). Come destinatarie del processo sono state individuate tre cantine pilota: Leonardi di Montefiascone (VT), Trappolini di Castiglione in Teverina (VT) e Ceracchi di Velletri (Roma), tutte dotate di tunnel di disidratazione per il controllo postraccolta dell’uva assemblato da Marvil Engineering e progettato con la collaborazione di DiSTA e DiProP nell’ambito del progetto. Si sono scelte cinque varietà a bacca bianca su cui applicare il processo di botrizzazione controllata: due varietà a maturazione precoce (Chardonnay e Sauvignon blanc) e tre varietà tardive (Trebbiano del Lazio, Malvasia puntinata e Grechetto di Todi), su cui sono state condotte parallelamente una sperimentazione in cantina e una in laboratorio.
L’obiettivo generale era produrre un’uva adatta a essere vinificata per l’ottenimento di un vino muffato interessante. Bisognava innanzitutto individuare e riprodurre in ambienti confinati, utilizzando uve in postraccolta, le condizioni biologiche, termiche e igrometriche necessarie all’infezione e all’evoluzione in forma larvata di botrite inoculata artificialmente. L’obiettivo successivo era poi quello di verificare l’efficacia del processo tecnologico su cultivar diverse da quelle tradizionalmente utilizzate per la produzione di vini muffati al fi ne di ottenere nuove tipologie di prodotto. Se nei tre anni di sperimentazione finanziata la tecnologia fosse risultata valida, l’obiettivo ultimo era un trasferimento tecnologico più ampio, mediante la creazione di uno spin off universitario.
L’ATTIVITÀ SPERIMENTALE
Dopo la sperimentazione su piccola scala in laboratorio, in cui la gestione della botritizzazione si è basata in primis su parametri visivi e poi sulla valutazione di parametri chimici, in particolare di acido gluconico e glicerina (indicatori di botritizzazione), nel giugno 2007 è partita l’attività sperimentale vera e propria, svolta prevalentemente in vigna e presso le cantine pilota.
Andrea Bellincontro del DiSTA e Giorgio Vuono del DiProP hanno svolto attività di supporto alle cantine per il monitoraggio dell’evoluzione qualitativa delle uve sottoposte al trattamento di inoculo e alla botritizzazione in ambiente controllato. Il processo è stato standardizzato grazie all’impiego di un formulato di spore di botrite sviluppato e prodotto da Bio Tecnologie B.T. sulla base di indicazioni del DiProP, caratterizzate da adeguata stabilità e in grado di garantire la ripetibilità della botritizzazione.
Nel corso dei processi, i parametri tecnologici che condizionano la corretta evoluzione del trattamento e le perdite di peso dei campioni, dovute ad appassimento, sono stati gestiti con la finalità di migliorare gli effetti sulle uve. Sulle uve prescelte e impiegate per ciascuna azienda, si è proceduto a un lavoro in vigna destinato all’identificazione di opportune selezioni di prodotto, che sono state monitorate nel corso della maturazione, allo scopo di individuare il giusto momento della raccolta in base ai valori dei parametri qualitativi dell’uva da destinare al trattamento.
Le analisi messe a punto su partite di prodotto opportunamente campionate con cadenza prefissata sono state condotte presso i laboratori enologici del DiSTA e del CRA di Velletri. Le analisi hanno riguardato fondamentalmente l’evoluzione degli zuccheri, degli acidi organici prevalenti, che concorrono alla definizione dell’acidità fissa, e dell’acido acetico per la definizione dell’acidità volatile. In aggiunta, alcuni metaboliti da considerare come marcatori del processo di attecchimento ed evoluzione della botrite all’interno della bacca (acido gluconico e glicerina, così come composti volatili marker) sono stati descritti nell’ambito di ciascuna delle prove.
Al termine dei periodi di permanenza delle uve all’interno delle celle di trattamento, raggiunte le condizioni finali previste in fase di pianificazione, le masse ottenute a partire da quantitativi di prodotto tra i 12 e 14 q sono state avviate alla vinificazione. Una metà di uva botritizzata è stata vinificata nelle singole cantine mentre l’altra metà è stata vinificata in modo uniforme presso la cantina sperimentale di Velletri, dove