L’agroalimentare italiano player di spicco della bioeconomia

Intesa San Paolo - Cluster Spring e Assobiotec - Federchimica hanno presentato il 10° Rapporto sulla Bioeconomia. L'Italia, e in particolare il suo settore agroalimentare, si configurano come player di spicco in questo settore

Il ruolo di indiscusso dell'Italia e in particolare del so comparto agroalimentare nel settore della bioeconomia è emerso chiaramente nel Rapporto “La Bioeconomia in Europa”, presentato oggi a Ravenna e redatto dal Research Department di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e Assobiotec  - Federchimica. A questa edizione del rapporto ha contribuito anche Cosmetica Italia (Federchimica).

Il Rapporto è arrivato alla decima edizione, confermandosi un punto di riferimento per gli operatori e i policy maker, fornendo una quantificazione del complesso insieme di settori che utilizzano materie prime di origine biologica rinnovabile e spunti di riflessione sugli sviluppi di uno dei pilastri dell’inevitabile percorso di transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili.

La Commissione Europea definisce la bioeconomia come l’economia che valorizza le risorse biologiche, i rifiuti e gli scarti organici quali input per la produzione alimentare, agricola, cosmetica, farmaceutica, energetica e industriale.

Il ruolo dell'agroalimentare italiano nella bioeconomia

Nel 2023 l’insieme delle attività connesse alla Bioeconomia in Italia ha generato un valore della produzione pari a 437,5 miliardi di euro, 9,3 miliardi in più rispetto al 2022, occupando circa due milioni di persone.

La filiera agro-alimentare riveste un ruolo chiave nel complesso della Bioeconomia - pesando oltre il 76% in Spagna e Francia, il 63% circa in Italia ed il 61% in Germania – ed è sempre più protagonista del percorso di transizione verso una maggiore sostenibilità dei processi.

La tecnologia rappresenta un fattore fondamentale anche in questo settore: le imprese italiane dell’alimentare, nettamente più piccole rispetto ai concorrenti europei, spiccano per la quota elevata di innovazioni di prodotto (20% contro una media UE27 del 12%) e di processo, dove l’Italia (36%) stacca i principali competitors di oltre 15 punti percentuali.

Rilevante è anche l’attività brevettuale dedicata alla filiera agro-alimentare, dove l’Italia figura come settimo brevettatore a livello mondiale, con una quota e un grado di specializzazione in netto rafforzamento negli ultimi anni, grazie alla presenza di un sistema innovativo ampio e diversificato che include imprese di altri settori, in primis la meccanica ma anche la farmaceutica e la chimica.

Le imprese italiane dell’alimentare spiccano anche, nel confronto con le imprese tedesche, francesi e spagnole, per l’attenzione rivolta alle innovazioni per la sostenibilità: riduzione dei consumi di materiali e idrici (20% delle rispondenti), recupero di scarti e di acqua (circa il 21%), sostituzione di materiali inquinanti o pericolosi (25%) e riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo o acustico (20,8%).

Un uso oculato dell'acqua

La filiera agro-alimentare è fortemente esposta al cambiamento climatico e allo stress idrico. Il settore agricolo è il più grande utilizzatore di acqua (assorbe il 60% dei consumi di acqua complessivi), ed è quindi uno dei primi settori a essere colpiti dalla carenza d’acqua. L’efficientamento dei consumi ed il riutilizzo di risorsa sono centrali per la sostenibilità del comparto. L’adozione di tecnologie innovative potrà giocare un ruolo fondamentale.

Nell’industria alimentare sono necessari 3,3 litri di acqua per euro di produzione. Il 43% delle imprese alimentari italiane ha adottato azioni volte a contenere i prelievi e i consumi di acqua; all’interno dei distretti agroalimentari risulta esserci maggior sensibilità verso il riciclo e riutilizzo dell’acqua rispetto alle aree non distrettuali.

Aumentare l'efficienza delle catene di valore

Elena Sgaravatti, Vicepresidente Assobiotec Federchimica, ha commentato: Viviamo in un mondo costruito sulla biologia e una volta che iniziamo a capirla, questa diventa tecnologia. Le biosoluzioni, che utilizzano enzimi, microrganismi, batteri sono ispirate alla natura e sono elementi chiave per una economia circolare bio-based sicura, fatta di posti di lavoro altamente qualificati ed una più resilente ed efficiente catena del valore, coprendo settori che vanno dall’edilizia, al tessile, alla produzione di cibo ed energia. McKinsey&Co stima che il 60% delle materie prime mondiali possono essere ottenute attraverso le biosoluzioni ed è quindi chiaro come per la Bioeconomia circolare esse possano rappresentare una straordinaria leva di innovazione. E di questo c’è sempre maggiore consapevolezza. Oggi, come Associazione industriale di Federchimica per lo sviluppo delle biotecnologie, guardiamo con fiducia al rinnovato interesse per il comparto biotech da parte della politica nazionale e comunitaria".

L’agroalimentare italiano player di spicco della bioeconomia - Ultima modifica: 2024-06-20T18:42:58+02:00 da Redazione

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