Anno di svolta per il breeding della vite. Dieci anni dopo l’iscrizione al registro delle prime varietà resistenti frutto della ricerca italiana (i primi 10 Piwi realizzati dall’Università di Udine, Iga e VCR), la messa a dimora in pieno campo della prima vite “editata”, avvenuto presso il Campus universitario di San Floriano (Vr) lo scorso 30 settembre, fa entrare ufficialmente la viticoltura italiana nell’era delle Tea (Tecniche di evoluzione assistita).
Eppure, nonostante questo doppio carico di innovazione nel miglioramento genetico, l’impegno nella selezione clonale è più forte che mai. Nel 2025 VCR festeggerà i 60 anni di Casa Quaranta, oggi VCR Reserch Center. Vuol dire che da ben sei decenni quello che è il primo costitutore italiano privato è impegnato nell’individuazione di cloni di alta qualità.
L’impegno nel migliorare la vite
Un’attività che negli ultimi 20 anni, nonostante il parallelo impegno per lo sviluppo delle varietà resistenti da incrocio, ha vissuto una significativa espansione presso i Vivai Cooperativi Rauscedo. Inizialmente l'attenzione era rivolta alla ricerca di nuovi biotipi all'interno delle principali varietà italiane, sia nazionali che locali, con particolare interesse verso le varietà autoctone, un patrimonio unico del territorio italiano. Successivamente, questo lavoro di ricerca è stato esteso anche oltre i confini nazionali, coinvolgendo diversi Paesi europei con una lunga tradizione viticola, tra cui Spagna, Portogallo, Francia, Grecia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia e area balcanica.
Autoctoni e internazionali
Solo per citare alcuni esempi, negli ultimi due anni sono stati depositati al Rnvv (registro nazionale varietà di vite):
- 19 cloni di varietà spagnole e portoghesi (Alfrocheiro, Airen, Arinto, Bastardo, Castelao, Fernao Pires, Godello, Loureiro, Macabeo, Mourvedre o Monastrell, Touriga nacional, Viosinho);
- 4 di varietà greche (Assyrtiko e Xinomavro);
- 17 di varietà italiane (Cesanese, Falanghina, Grignolino, Lambrusco Marani, Sagrantino, Terrano, Tocai friulano, Traminer, Trebbiano toscano);
- 2 di varietà di uva da tavola (Crimson seedless, Supernova seedless);
- inoltre sono già pronti i fascicoli di 4 varietà tra bulgare (Mavrud, Rubin), croate (Plavac mali) e serbe (Prokupac) e si prevede di iscriverne a breve altre di varietà iberiche e dell’est-Europa.
Un terzo dell’offerta del Registro nazionale
Grazie a questa capillare attività di selezione, VCR ha attualmente iscritti presso il Registro nazionale (Rnvv) 541 cloni, di cui:
- 51 Rauscedo (l’originaria serie R);
- 404 VCR da vino;
- 36 di varietà straniere da vino
- 17 VCR da tavola;
- 13 in co-costituzione da vino e da tavola (con Isv, consorzio Vernaccia, ecc)
- 20 VCR di portinnesti (di cui 2 in co-costituzione con Isv).
Un patrimonio di biodiversità che rappresenta quasi il 30% dell’intera offerta clonale del Rnvv, testimoniando l'importanza e il ruolo di leadership che VCR ha assunto nel settore.
Le nuove esigenze produttive
L’ampia gamma di cloni certificati, dalle caratteristiche agronomiche ed enologiche ben documentate e validate, permette ai viticoltori di disporre di un materiale viticolo omogeneo e stabile, in grado di rispondere alle esigenze sia produttive che qualitative del mercato. La disponibilità di questi cloni ha inoltre contribuito in maniera determinante alla creazione di vigneti più longevi, in grado di mantenere una qualità costante nel tempo e di adattarsi meglio alle nuove esigenze produttive, garantendo la crescita della competitività di quello che è diventato il settore numero uno dell’export agroalimentare del Belpaese.
I vigneti di popolazione
Un’attività impegnativa, visto che ci vogliono come minimo 12 anni per passare dalla prima osservazione all’iscrizione di un clone e che servono più di 100 biotipi di partenza per riuscire, dopo saggi Elisa, Pcr. indexaggio, valutazioni agronomiche ed enologiche, ad arrivare all’iscrizione di un clone. Uno sforzo vivaistico che è alla base della notevole crescita che il comparto vitivinicolo italiano ha realizzato negli ultimi anni, consentendo di realizzare vigneti più sani, uniformi e di più elevato standard agronomico ed enologico. Un’attività non esente da critiche: i vigneti monoclonali hanno, per definizione, una variabilità genetica molto più ridotta rispetto ai vecchi vigneti di popolazione diffusi in Italia fino al secondo dopoguerra, caratterizzati da un’eterogeneità non solo clonale ma spesso addirittura varietale. Un modello produttivo, quest’ultimo, che è stato progressivamente cancellato prima dalla crisi fillosserica e poi dalle esigenze di meccanizzazione (e di commercializzazione).
Pressione debole
Per ovviare a questo problema, la strategia di selezione adottata da VCR da almeno 30 anni si basa su una pressione selettiva debole, con l’obiettivo di ottenere famiglie clonali in grado di:
- salvaguardare la variabilità morfologica e funzionale all’interno della specie;
- mantenere caratteri difficili da determinare come ad esempio i profili aromatici;
- garantire la stabilità dei risultati in diverse condizioni.
In più, il patrimonio clonale in continua crescita di VCR trova giustificazione nell’obiettivo di favorire l’impianto di vigneti policlonali, capaci di adattarsi meglio alle diverse condizioni pedoclimatiche e anche di differenziare e personalizzare i risultati enologici. L’obiettivo di VCR nella salvaguardia della biodiversità della vite si realizza anche nella ricerca e nella tutela di vecchi vigneti di popolazione, con l’obiettivo di rintracciare caratteri utili per fare fronte alle crescenti emergenze climatiche e fitosanitarie.
Estirpi killer
La probabilità di osservare variabilità intra-varietale aumenta infatti con l’età dei vigneti, risultando più pronunciata nelle varietà coltivate da lungo tempo e ampiamente diffuse. Questi vigneti rappresentano una risorsa preziosa per il miglioramento genetico, poiché racchiudono un potenziale inespresso, che può essere valorizzato attraverso processi di selezione mirati. Un potenziale che purtroppo oggi rischia di essere messo a rischio da paventate misure di controllo della produzione basate su estirpi sovvenzionati che spingerebbero i produttori a sacrificare proprio gli impianti più datati e meno produttivi, vanificando così l’effetto della misura.
Una legge che rischia di nascere già vecchia
Dopo più di 50 anni di onorato servizio, la disciplina europea sulla selezione clonale va in pensione. A Bruxelles è infatti in fase avanzata l’elaborazione di un nuovo regolamento sui materiali di propagazione che attualmente, superata la discussione presso l’EuroParlamento, è già al vaglio del Consiglio presieduto dall’Ungheria per poi essere approvata presumibilmente nel 2025 durante il semestre di presidenza danese. Una normativa che risente ampiamente del “principio di protezione della biodiversità” stabilito dal Green Deal (una parola, biodiversità, che ancora non esisteva quando è stata elaborata l’attuale disciplina vivaistica). Un obiettivo che dovrebbe essere realizzato principalmente attraverso la nuova definizione delle “varietà da conservazione” (coltivate tradizionalmente, caratterizzate da un elevato livello di diversità genetica e commercializzate solo nella categoria standard) per le quali sarebbero previste alcune esenzioni dai principi di distinzione, omogeneità e stabilità (ma non per quelli sanitari) fissati per gli attuali cloni. Alcuni eccessi burocratici contenuti nell’attuale bozza della normativa, assieme alla latitanza di precise indicazioni analitiche, rischiano però di aprire la porta a future contestazioni commerciali. Senza considerare che anche la nuova normativa continua a definire il clone solo in base a precise differenze fenotipiche, vanificando la possibilità di iscrivere e di valorizzare come clone i nuovi genotipi realizzati attraverso genome editing.
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