Un film in due versioni, la prima presentata il 5 giugno presso la tenuta Mosnel, all’interno del vigneto che dà il nome all’azienda, la seconda al Cinema Anteo a Milano il giorno successivo: Massimo Zanichelli, il regista, ha avuto la possibilità di realizzare due film in un anno intero di lavorazioni, vivendo tutte le stagioni in vigneto e in cantina.
Più che la storia di Mosnel, la vita a Mosnel
Al centro del racconto solo in minima parte la storia. Protagonista è in realtà la vita di Mosnel: non esiste una fine né un inizio, ma il normale fluire delle stagioni, delle azioni, del ciclo della vite e degli uomini. Pánta rheî, tutto scorre: il tentativo, riuscitissimo, di Massimo è quello di fermare il flusso.
Tanti i fotogrammi con le persone: tra i filari, in cantina, mentre potano, svinano, lavorano. Se la natura non fa nulla di inutile, l’uomo, con rispetto, umiltà e perizia, ne asseconda il ritmo, plasmando la materia prima e trasformandola in vino. Non un vino qualunque, un Franciacorta.
Un docufilm che ha anche finalità “educational”, in quanto vengono raccontati tutti gli aspetti tecnici della realizzazione del metodo classico.
Suoni, luci e suggestioni
Il suono ha un ruolo centrale nello sviluppo del film: sono rumori naturali, catturati e riprodotti e non “ricostruiti”, se non in rarissimi casi. Il tintinnio dei calici, il trattore in movimento, l’acqua piovana: battono il tempo, restituendo un senso di realtà.
La giornata scandita da albe e tramonti di rara intensità luminosa, con nuvole in transito, che accompagnano lo scorrere delle ore. Carezze per il paesaggio e per lo spettatore, con un significato che ricorda il benessere e la magia di un ricordo d’infanzia. Osservazione della natura in tutte le sue forme, perfettamente con-fuse all’interno di un repertorio musicale originale e appositamente creato per questo film.
Massimo inquadra, muove la camera, compie continui movimenti di messa a fuoco degli obiettivi. Massimo è su quel drone che riprende dall’alto, perché per realizzare i sogni bisogna avere le ali. Massimo trasforma il paesaggio e, al tempo stesso, rimane a esso fedele, restituendo i luoghi di Mosnel. Disegna le linee geometriche delle vigne, accende la luce dove desidera, mette gli occhi dello spettatore dove l’arte chiama. Un cruciverba territoriale, che non è enigma ma percorso, perché il film di Massimo dà continuità di spazio, di tempo e di azione. E arriva all’invisibile, facendosi largo nell’effervescenza di una bottiglia, tra i lieviti che si rompono e l’azione degli zuccheri, seguendo una scia di luce che traccia percorsi irripetibili.
Più immagini, meno parole
Un film giocato sui contrasti, in un continuo e travolgente cambio di scena: interno ed esterno, natura e tecnologia, vedute aeree e primi piani, macro per i fiori e gli insetti. Scelte radicali sulla parola e sui dialoghi: il regista ha puntato all’essenziale, lasciando solo la poesia delle immagini ed eliminando qualunque sovrastruttura o manierismo di parola. Lucia e Giulio Barzanò parlano molto brevemente della storia che ha portato Mosnel a essere ciò che è oggi, in una versione del film, e sono presenti in una sola scena, nell’altra, colti in flagranza durante la fase di assaggio delle basi spumante: un momento intimo di condivisione, vissuto con la normalità di chi conta quarantasei vendemmie alle spalle.
Respirare la Franciacorta attraverso un film
Chiudiamo gli occhi per vedere meglio, di fronte abbiamo il “Patrimonio Franciacorta”: le vigne sono intorno all’azienda, circa 40 ettari in conduzione biologica a 250 metri s.l.m. Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero hanno il colore della luce: i gesti di donne e uomini in vendemmia sono figli di un rito antichissimo.
Give back: Massimo restituisce una Mosnel che, anche se non hai mai incontrato, ti sembra di conoscere da sempre. Cupido non c’entra: di questi luoghi ti innamori a prima vista, e ti sembra, in qualche modo, di esserne parte. La pellicola digitale è un abbraccio, che ti regala appartenenza e ti trattiene: respiri Mosnel, respiri la Franciacorta.
Nelle immagini dall’alto scorgiamo le mura dell’antica residenza che appartiene alla famiglia: intorno il parco con una vegetazione secolare, che regala una biodiversità ambientale, paesaggistica e stilistica, dove la parola d’ordine è contaminazione. Un effetto domino di rara bellezza, che scatena emozioni, romanticismo, nostalgia per il tempo non che fu, ma che “è”. Perché Mosnel abita qui, e vive questi luoghi con un senso di intima proiezione.
Le immagini scorrono sul grande schermo: camminiamo tra le vasche e nella barricaia, veri caveau dell’azienda, cuori pulsanti della tenuta a Camignone. Sentiamo la brezza che sfiora il viso, i capelli mossi, il profumo dell’uva, il canto della terra. Siamo tra le curve di queste colline moreniche, accarezziamo i vigneti che hanno come tetto il cielo, riusciamo a decifrare l’importanza del Lago di Iseo: siamo foglie al vento, che con la fotosintesi si trasformano in immagini. Così l’agronomo Pierluigi Donna dello Studio Sata, presente con l’enologo Flavio Polenghi a entrambe le proiezioni: «Il film è centrato, molto vero, perfettamente aderente alla realtà di questa azienda».
Il valore del tempo
C’è un posto per tutti, e non solo in poltrona. Il film ti lascia addosso il desiderio di visitare questi luoghi, e di camminare queste vigne, tornando migliori di quando si è arrivati. Visione e degustazione: in fondo è un attimo. Entrambi parlano: e il calice è un fonografo di emozioni. Lucia e Giulio Barzanò: le loro parole al termine della protezione sono un tributo alla madre, Emanuela Barzanò Barboglio, fondatrice dell’azienda negli anni Sessanta, donna di grande tempra e coraggio. Lucia la sente vicina, sottolinea che, se avesse visto questo film, ne sarebbe stata felice, e la ringrazia per il dono di un meraviglioso tempo estivo in queste serate. Massimo vede la bellezza di un paesaggio vitivinicolo unico e la restituisce in poesia. Una lirica fatta di immagini, suoni e parole, come quelle di Lucia Barzanò: «Per me Mosnel è casa ed è lavoro amatissimo». I luoghi finiscono per assomigliare alle persone: hanno sangue e anima. Raccontarsi senza filtri non è solo la via verso l’autenticità, ma verso l’eternità, quella dell’effervescenza. Conta ciò che resta nel tempo, esattamente come il buon vino.