La crescita delle vendite di vino bio non è più una novità. Ma l’exploit dell’anno scorso non rimane sotto traccia: +51% sugli scaffali della grande distribuzione italiana a fronte di un aumento complessivo delle vendite di vino di un misero 1%. È uno dei dati presentati da Silvia Zucconi di Nomisma/Wine Monitor al convegno Il successo del vino biologico in Europa e nel mondo, organizzato da Federbio nell’ambito di Vinitalybio e moderato da VVQ. Le vendite di vino bio hanno così raggiunto nel nostro Paese 11,5 milioni di euro nella sola Gdo. La quota di vendita è ancora pari allo 0,7% ma la quota dei consumatori è salita al 25% dei wine lover (è il 12% in Germania e il 9% nel Regno Unito, dove le nostre etichette sono quelle di riferimento). Tra le motivazioni d’acquisto la più gettonata è ovviamente la naturalità (24% delle risposte), seguita dalla salubrità (20%) e qualità (17%).
Ed è quest’ultimo il fronte più stimolante. Bio e buono vanno sempre più a braccetto. “Da uve di migliore qualità – spiega Roberto Pinton di Federbio – derivano vini di migliore qualità. La testimonianza viene anche dalla ricerca: un’analisi effettuata in Usa (“Does organic wine taset better”, pubblicato nel 2016 nel Journal of Wine Economics) dimostra che nei concorsi le etichette bio portano a casa una media di 4 punti in più”. Da cosa dipende questa qualità? Le analisi effettuate presso la Fondazione Mach di San Michele all’Adige mostrano rese non dissimili tra bio e convenzionale, ma un maggiore grado zuccherino e un più ricco profilo fenolico. Un profilo residuale ovviamente ottimale e un effetto sulla qualità del suolo impagabile. Enzo Mescalchin della Fondazione Mach ha infatti lanciato l’allarme sulla diminuzione del tenore di sostanza organica dei vigneti del Trentino. La tecnica bio assicura l’opposto.