Vini attenti all’ambiente, in grado di resistere nel tempo

Stefano Baldessin mostra il terreno in tempera e con ottima capacità idrica del sottofila dei suoi vigneti, nell'azienda Le Baite di Baselghelle di Monsuè (Tv)
L’entusiasmo di Stefano Baldessin, pioniere del metodo biologico e produttore di Prosecco e di originali etichette a produzione limitata nell’azienda agricola Le baite di Basalghelle di Mansuè (Tv), un isola verde nel mare del Prosecco

Appunti di degustazione: ad ogni giro di cavatappi aumenta la tensione.

Stefano Baldessin, se fosse un regista, dirigerebbe probabilmente thriller alla Alfred Hitchcock vista la suspence che sa creare per catturare l’estrema attenzione di chi assaggia i suoi vini.

L’ultimo ciak

Stefano Baldessin dell'azienda biologica Le Baite guida la degustazione dei suoi vini

Invece non dirige film, la sua opera d’arte è una piccola realtà famigliare: l’azienda Le Baite a Basalghelle di Mansuè (Tv). Tredici ettari gestiti da sempre in biologico dove le uve, tutte provenienti solo dai vigneti aziendali, sono vendemmiate a mano e vinificate in una cantina aziendale. Qui tutte le operazioni di vinificazione, presa di spuma e imbottigliamento sono curate direttamente dal produttore «seguendo un approccio sano e rispettoso dell’ambiente, del suo ecosistema e dell’uomo». Un processo di vinificazione perfezionato nel tempo per ottenere vini senza solfiti aggiunti.

Il “ciak” conclusivo di un’intensa e piacevole giornata trascorsa insieme, visitando la cantina e i vigneti, è l’apertura di un’ultima bottiglia avvolta nel mistero di un silenzio quasi sacrale.

Una bottiglia misteriosa

È un rosso speciale, da aprire solo nelle grandi occasioni, ma non si sa ancora il vitigno, l’annata, il metodo di coltivazione e di vinificazione. Il colore è denso e profondo, come una pennellata a più strati, ma i riflessi sono vivaci, un rubino ancora acceso. Al naso è intenso, con note balsamiche di tabacco, cuoio e spezie. La trama fitta e la morbidezza dei tannini spingono a immaginare un affinamento prolungato, ma in bocca l’aroma è sorprendentemente fresco e persistente, di bacche rosse e pepe rosa. Di che vino si tratta?

Per capirlo occorre riavvolgere il nastro, raccogliere gli indizi che questo motivato enologo/viticoltore biologico dissemina mentre descrive la trama dei filari, dei canali e delle siepi secolari che si intrecciano nei 13 ettari di questa realtà, da sempre certificata da Suolo e Salute «nel rispetto dell’ambiente e delle persone».

Natura “matrigna”

Lo scenario è quello di una natura che qui, sulle rive del fiume Livenza, può ancora essere spietata e travolgente se non la si conosce e asseconda. Terre rimaste selvagge al confine tra Veneto e Friuli, nel bel mezzo della pianura che oggi è la culla del Prosecco Doc. Il regime idrico imprevedibilmente tumultuoso di un fiume che, in poche decine di chilometri, si precipita dalle Prealpi Carniche all’Adriatico ha protetto per secoli le Farnie, i Carpini e tutta la fauna autoctona del bosco di Basalghelle.

Le Roveri dell'azienda Le Baite

Un sito con un grande valore naturalistico perchè rappresenta l’ultimo “relitto” delle grandi foreste planiziali che occupavano questa regione prima dell'intervento umano. Per preservare le cittadine della bassa pianura dalle piene periodiche del fiume, gli ingegneri idraulici della Repubblica Serenissima hanno poi realizzato i Prà dei Gai, un ampio bacino di espansione di 400 ettari, tutt’ora coperto da prati e incolti, tra l’ameno borgo medievale di Portobuffolè, uno dei più belli d’Italia, e l’abitato di Mansuè.

Un’isola verde nel mare del Prosecco

L’azienda vitivinicola Le Baite prende il nome da un vicino convento benedettino e ha i fianchi coperti da queste due sorprendenti aree naturali. Un’isola verde risparmiata dagli eccessi dell’antropizzazione.

Con il cambiamento climatico i rischi innescati da eventi meteorologici estremi non sono diminuiti, anzi. In questo 2022 di forte stress idrico estivo il pericolo maggiore è però anche qui paradossalmente rappresentato dall’abbassamento della falda idrica. In questo angolo di Veneto i terreni non sono profondi e ricchi di scheletro come nel vicino alveo del Piave, tutt’altro. I depositi del Livenza hanno accumulato qui stratificazioni prevalentemente argillose e ricche di calcare. Suoli vocati per la viticoltura ma tenaci da lavorare, soprattutto per chi non li rispetta. In alcune zone l’abbassamento della falda idrica ha addirittura modificato il piano di campagna, scavando nuovi dislivelli, ma i vigneti di Baldessin non evidenziano alcuno stress: la vegetazione rimane verde e rigogliosa e il merito è nella gestione del suolo.

Attenti al suolo

Stefano Baldessin mostra il terreno in tempera e con ottima capacità idrica del sottofila dei suoi vigneti,

Il sottofila è soffice, poroso e permeabile grazie principalmente a due accorgimenti:

  • la subirrigazione attuata con dreni che consentono una migliore distribuzione dell’acqua evitando compattamenti in estate e il rapido allontanamento dell’acqua in eccesso in inverno;
  • l’ampio sesto di impianto con una larghezza del filare portata a 3,20 metri per salvaguardare le radici delle viti dal calpestamento dei mezzi meccanici.

Scelte tecniche decisive in un’annata in cui solo chi ha rispettato i terreni è riuscito a portare in cantina uve di qualità. Gli impianti sono alti anche oltre tre metri. Anche se in azienda non ci sono più le storiche Bellussiere e le nebbie sono sempre più un ricordo del passato, le forme di allevamento utilizzate da Baldessin sono il doppio capovolto e il Sylvoz sempre a due capi con speroni ad altezze più elevate, un accorgimento in grado di limitare le malattie fungine e i rischi di danni da gelate.

Alberi da abbracciare

«Solo – commenta - imparando a conoscere e rispettare i cicli della natura si possono raccogliere i frutti sani che dona». E Baldessin conosce effettivamente flora e fauna: ogni specie ornitologica, ogni essenza arbustiva e ogni albero presente in azienda. Abbraccia le Roveri come fossero parenti (ed effettivamente come tali possono essere considerate, visto che il padre Rino ne ha piantata una per ogni figlio e nipote nato).

Se tutti i produttori conservassero lo stesso entusiasmo da pioniere del biologico di Baldessin, questo metodo di produzione raggiungerebbe facilmente l’obiettivo del 25% di superficie agraria tracciato dal Green Deal dell’Unione europea senza rischiare pericolose crisi di identità.

Invece, nonostante il suo esempio, Baselghelle è il baricentro di una delle più estese doc italiane. Una denominazione di successo in cui però il biologico non ha mai preso veramente piede. Colpa di “San” Prosecco, una benedizione calata dall’alto di cui ha giovato tutto l’esteso territorio che va da Trieste fino alle porte di Padova, che ha spinto tanti fortunati produttori a concentrarsi più sul vitigno che sul territorio o sul metodo di produzione.

Biodiversità varietale

Non è così per Baldessin: nella sua azienda la Glera non ha cannibalizzato le altre varietà e costituisce solo una parte minoritaria della superficie aziendale, arrivando al 50% dei vigneti solo se si sommano gli altri vitigni a bacca bianca Chardonnay e Verduzzo. Il restante 50% è a bacca rossa: Merlot di cloni diversi, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Carmenère e l’autoctono Raboso Piave. Il tutto dà origine a 13 etichette certificate biologiche e vegane, senza solfiti aggiunti, nelle diverse tipologie:

  • Bollicine (dove il Prosecco nelle tre versioni Brut, ExtraDry e frizzante è affiancato da Idem, uno spumante Brut rosè ottenuto da Raboso);
  • i Monovitigno di Verduzzo, Chardonnay, Merlot e Cabernet;
  • le Selezioni.

Queste ultime sono le produzioni limitate in cui Baldessin esprime tutta la sua propensione a sperimentare tecniche di vinificazione poco impattanti sull’ambiente e sulla salute dei consumatori.

Barbaro è un taglio bordolese con aggiunta di Raboso, fermentato con lieviti autoctoni, sottoposto a follature manuali, e affinato in piccole botti di Rovere.

Genium è un Raboso ottenuto da macerazione prolungata e invecchiato in tonneaux per 2/3 anni per arrotondare il tipico spunto “ruvido” dei tannini di questa varietà.

Arcaico è un blend di Chardonnay e Verduzzo, un bianco parzialmente vinificato come un rosso, con una lenta fermentazione e un prolungato affinamento “sur lies” in piccole anfore di ceramica, dove Baldessin ha l’accortezza di evitare ossidazioni spinte («cerco più complessità e struttura, ma non voglio produrre orange wine che nascondono l’impronta del vitigno e del territorio»).

I pregi delle lunghe macerazioni

Una ricerca di equilibrio che caratterizza anche il 137Carmenère, ottenuto da uve di vecchie vigne sottoposte a lunga macerazione, metà in piccole vasche d’acciaio e metà nelle anfore di ceramica. «I polifenoli estratti durante la lunga macerazione garantiscono longevità al vino e la tenuta del colore anche dopo lungo invecchiamento».

La gamma dei vini de Le Baite

Ecco svelato il mistero arcano del rosso aperto da Baldessin in religioso silenzio. Si tratta di una preziosa “reliquia”: uno dei primi Carmenère prodotti con le lunghe macerazioni messe a punto dal produttore veneto che aspetta di essere aperta dal lontano 2014.

«Non produco vini standardizzati – si schernisce Baldessin giustificando in anticipo eventuali difetti - , le bottiglie che realizzo non sono mai uguali tra loro».

«I miei non sono vini di mercato – continua- ma vini di cuore, testimoni delle attenzioni del bio per l’ambiente e rappresentativi del luogo dove la vite cresce».

Un terroir, quello dell’azienda Le Baite, dove il clima e l’esposizione sono perfetti per il Carmenère, il più locale dei vitigni arrivati nel corso dei secoli dalla Gironda. Oggi non viene nemmeno più coltivato nell’area bordolese per il ciclo colturale più tardivo rispetto ai Cabernet. Una maturazione che invece deve essere stata ottimale anche nel 2014 nell’azienda Le Baite.

Il Carmenère aperto da Baldessin non presenta infatti nessuna traccia di eventuali sentori erbacei e la freschezza che esprime anche dopo 8 anni dimostra l’efficacia del percorso enologico messo a punto nella cantina de Le Baite.


 

Tra i primi ad essere certificati da Suolo e Salute

Baldessin non è un regista e Hollywood è agli antipodi culturali rispetto alla quotidiana concretezza di questa terra di confine tra Veneto e Friuli. Dalla sua tradizione famigliare e dalla storia della sua azienda vitivinicola si potrebbe però ricavare un film storico d’azione. Un blockbuster epico, ruvido e mozzafiato, tipo Braveheart o Il Gladiatore, per raccontare i contrasti, i successi e le sconfitte, le discese ardite e le risalite, di generazioni di imprenditori che hanno sempre evitato le mode e i compromessi per seguire le proprie convinzioni. Un’ostinata perseveranza che può aver sollevato le incomprensioni e l’isolamento rispetto a chi punta solo al risultato commerciale.

Stefano Baldessin con il padre Rino

Perché Stefano Baldessin è un motivato pioniere del metodo biologico fin dalle origini e l’azienda Le Baite, ancor prima di essere vitivinicola, è da sempre un esempio di ricerca esasperata del massimo grado di ecosostenibilità, un modello ante litteram di economia circolare. Qui la vite è sempre stata coltivata, ma il padre Rino aveva puntato dapprima sull’allevamento da latte per realizzare un ciclo chiuso in anticipo sui tempi. Fin dagli anni ’80 dello scorso secolo i Baldessin avevano infatti aderito con entusiasmo all’agricoltura organico-minerale, un modello antesignano del bio teorizzato dal professor Francesco Garofalo, fondatore dell’Associazione Suolo e Salute. I formaggi freschi e naturali trasformati da Rino direttamente in azienda con soluzioni tecnologiche originali e venduti con il marchio Le Baite hanno saputo imporre un nuovo stile alimentare attento alla natura e alla salute poi imitato anche da altri brand decisamente più attrezzati, prima che la globalizzazione e le scelte politiche sulle quote produttive mettessero in crisi il settore del latte.

Stefano ha guidato la svolta con la coraggiosa scelta di convertire la stalla e il caseificio in cantina, trasferendo anche nel vino lo stesso modello di ciclo chiuso per realizzare tutta la produzione (coltivazione, vinificazione, presa di spuma) in azienda nel massimo rispetto dei dettami dell’agricoltura biologica. Le Baite, infatti, è stata una delle prime aziende agricole a credere in questo modello di certificazione, come testimonia lo stesso numero dell’attestato: 00091, uno dei primi rilasciati dall’ente “Suolo e Salute”.

Vini attenti all’ambiente, in grado di resistere nel tempo - Ultima modifica: 2022-09-12T06:32:50+02:00 da Lorenzo Tosi

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