Il brand aziendale non può più fare il verso all’indicazione geografica

Come gestire le menzioni storico-tradizionali in etichetta

Etichettatura: l’OIV annuncia più tutele per il consumatore. Le nuove risoluzioni sollecitano modalità d’informazione in grado di prevenire il rischio di confusione soprattutto sull'origine e di limitare il margine di errore nelle scelte d’acquisto.

L'’Organizzazione internazionale della vite e del vino (OIV) è recentemente intervenuta rispetto al tema etichettatura dei vini, aggiornando differenti articoli della norma internazionale.

In particolare, tra le risoluzioni che prendono in considerazione alcune questioni relative all’etichettatura, due fanno riferimento al potenziale conflitto di alcune informazioni in etichetta con altri diritti legittimi di proprietà intellettuale, quali indicazioni geografiche, denominazioni di origine o marchi commerciali precedentemente registrati. Una revisione che, sebbene non abbia efficacia diretta sotto il profilo giuridico, traccia un chiaro orientamento, tanto da costituire – come peraltro sistematicamente avviene – una vera e propria anticipazione delle future modifiche della normativa europea e, in caso di incoerenza tra le fonti giuridiche, anche delle norme nazionali.


La tutela del consumatore si conferma un obiettivo assolutamente condiviso e caposaldo della regolamentazione in materia di etichettatura. Proprio in tal senso, l’impostazione delle risoluzioni OIV lascia intravedere un giro di vite rispetto all’attuale formulazione del Reg. (UE) 2019/33


La posizione OIV sul nome dell’azienda viticola

La risoluzione OIV-ECO 700-2023 interviene con l’obiettivo di evitare possibili confusioni tra il nome dell’azienda viticola con il nome protetto Dop o Igp e di garantire che le informazioni fornite al consumatore non siano fuorvianti. In particolare, rispetto alla precedente impostazione del documento OIV, è stata introdotta un’ulteriore indicazione, riferita all’assenza di conflittualità tra il nome di un’azienda viticola con altri diritti legittimi di proprietà intellettuale, quali Dop e Igp precedentemente registrate o marchi.

Sintesi da VVQ 6/2023

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Tuttavia, precisa la stessa risoluzione OIV nel rispetto di un principio di carattere generale, si conferma lo spazio in capo agli Stati membri rispetto all’applicazione di meccanismi di coesistenza che di fatto, per quanto riguarda la normativa italiana, sono già previsti dall’ordinamento. Relativamente ai nomi protetti Dop e Igp, la legge 12 dicembre 2016, n. 238, c.d. Testo unico del vino (articolo 44, comma 4) stabilisce infatti che non deve essere considerato impiego di un nome Dop o Igp l’uso di nomi geografici inclusi in veritieri nomi propri, ragioni sociali ovvero in indirizzi di ditte, cantine, fattorie e simili. Nei casi in cui tali nomi contengano, in tutto o in parte, termini geografici riservati ai vini Dop e Igp (o possono comunque creare confusione con essi), tali riferimenti devono essere riportati in etichetta in caratteri minimizzati – di dimensioni non superiori a 3 millimetri di altezza e 2 millimetri di larghezza – e comunque non superiori alla metà, sia in altezza sia in larghezza, di quelli usati per la denominazione del prodotto.

Come gestire le menzioni storico-tradizionali in etichetta

Per quanto riguarda le cosiddette menzioni storico-tradizionali – per l’Italia “abbazia”, “abtei”, “ansitz”, “burg”, “castello”, “kloster”, “rocca”, “schlofl”, “stift”, “torre” e “villa” di cui all’allegato VI del Reg. (UE) 2019/33 – il cui utilizzo in etichetta può essere combinato con il nome dell’azienda viticola, il DM 13 agosto 2012, sebbene di precedente emanazione rispetto al Testo unico del vino, conferma un principio di veridicità delle informazioni, ammettendo l’impiego dei marchi preesistenti benché contenenti tali menzioni ma purché depositati, registrati o acquisiti sul territorio comunitario anteriormente alla data di protezione della menzione tradizionale nel paese di origine.

Al riguardo, benché il Reg. (UE) 2019/33 non faccia più esplicito riferimento alla data del 4 maggio 2002 (indicato nel Reg. (CE) 607/2009 come limite temporale ai fini dell’acquisizione), si ritiene che tale data – che corrisponde alla data di pubblicazione del Reg. (CEE) 753/2002 che ha riconosciuto l’elenco delle menzioni tradizionali – rimanga comunque un riferimento da considerare ai fini della valutazione della possibile coesistenza. Rimane intatto il requisito di esclusività dei termini indicati che, oltre ad essere riservati per i vini Dop e Igp, possono essere utilizzati soltanto se i prodotti vitivinicoli sono ottenuti unicamente da uve vendemmiate in vigneti dell’impresa e lì vinificate.

È tuttavia possibile che anche altri operatori che partecipano al circuito commerciale del vino ottenuto nell’impresa possano utilizzarne il nome ai fini dell’etichettatura e della presentazione ma in tal caso – specifica il Reg. (UE) 2019/33 – l’utilizzatore deve essere espressamente autorizzato dall’impresa di vinificazione.

Restrizioni in vista per il nome del responsabile del preimballaggio?

L’OIV è intervenuta anche rispetto al nome e all’indirizzo del responsabile del preimballaggio, figura che a livello europeo può coincidere, oltre che con l’imbottigliatore, anche con il produttore oppure con l’importatore, i cui ruoli possono riguardare evidentemente lo stesso operatore. Anche in tal caso, l’obiettivo dell’OIV è evitare il rischio di confusione con le Dop e Igp riconosciute e di garantire che le informazioni fornite al consumatore non siano ingannevoli. In tal senso, a parere dell’OIV – che ha trattato il tema con la risoluzione OIV-ECO 699-2023 – quando il nome e/o l’indirizzo del responsabile del preimballaggio possono verosimilmente indurre in errore il consumatore, tali riferimenti devono essere sostituiti con un codice e inserendo per esteso il nome e l’indirizzo di un’altra impresa, responsabile della distribuzione o della commercializzazione del vino.

In effetti, il Reg. (UE) 2019/33 stabilisce la possibilità di poter codificare l’imbottigliatore, il produttore, l’importatore o il venditore a condizione che sull’etichetta figuri il nome e l’indirizzo di un altro operatore che interviene nel circuito commerciale del prodotto. Tuttavia, allo stato attuale, il Reg. (UE) 2019/33 applica una maggiore flessibilità rispetto alla valutazione OIV: infatti, nel caso in cui il nome o l’indirizzo sia costituito da una Dop o Igp oppure la contiene, tale riferimento – precisa lo stesso regolamento europeo (articolo 46, paragrafo 6) – può, in alternativa al codice, essere eventualmente indicato per esteso ed in chiaro, a condizione si utilizzino dei caratteri le cui dimensioni non devono superare la metà di quelle dei caratteri utilizzati per indicare il nome protetto Dop o Igp oppure la designazione della categoria del prodotto.

Per quanto riguarda l’ordinamento nazionale, si ritiene che quanto stabilito dal sopra citato articolo 44, comma 4, del Testo unico del vino – che contempla i nomi propri, le ragioni sociali ma anche indirizzi di ditte e cantine – possa essere applicato anche nel caso del c.d. responsabile del preimballaggio.
In ogni caso, qualora il nome del Comune nel quale è avvenuto l’imbottigliamento contenga, in tutto o in parte, un nome registrato per una Dop o Igp, il DM 13 agosto 2012 (articolo 4, comma 4) stabilisce che l’indicazione sull’etichetta del nome del Comune può essere assicurata – modalità anche in tal caso alternativa alla minimizzazione dei caratteri, secondo quanto stabilito dall’articolo 44, comma 4 – mediante l’apposizione del relativo codice Istat.

Giro di vite per il Reg. (UE) 2019/33?

In sede OIV va avanti quindi la riflessione anche rispetto ai nuovi orientamenti in materia di etichettatura, mentre a livello nazionale è ancora aperta la discussione sullo schema di decreto che, in attuazione del Testo unico del vino, andrà a stabilire a livello nazionale le nuove regole.

Nel merito, le risoluzioni OIV riservano una maggiore attenzione al consumatore, sollecitando, come accennato, modalità d’informazione in grado di prevenire il rischio di confusione e di limitare il margine di errore nelle scelte d’acquisto.

Si tratta di una strada tra l’altro coerente con quanto già indicato dal Reg. (UE) 1169/2011, norma orizzontale che disciplina l’etichettatura di tutti i prodotti alimentari: fermi restando i principi di chiarezza e di non ingannevolezza delle informazioni d’etichettatura, la norma europea stabilisce infatti che il nome, la ragione sociale o l’indirizzo dell’operatore apposto sull’etichetta non costituisce, anche qualora ci fossero dei riferimenti territoriali, un’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto.

Sintesi da VVQ 6/2023

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Il brand aziendale non può più fare il verso all’indicazione geografica - Ultima modifica: 2023-10-10T15:57:58+02:00 da Lorenzo Tosi

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