Tra dazi e diplomazia economica, il vino italiano cerca tutele

Lamberto Frescobaldi
Il futuro del vino all’Assemblea Uiv: mentre i possibili dazi destano preoccupazioni, con eventuali (ulteriori) ripercussioni sull’export del settore, Unione Italiana Vini ribadisce la necessità di una risposta compatta da parte delle istituzioni italiane ed europee

In una partita complessa, dove si ridisegnano non soltanto gli equilibri del vino ma quelli commerciali tout court, il comparto vitivinicolo deve fare i conti con le questioni geopolitiche. E con un nuovo ordine mondiale che prepotentemente sta sovrascrivendo la storia decennale della globalizzazione. Essere testimoni di tutto ciò non consola. Anzi. Ma non c’è alternativa, se non quella di riporre le migliori speranze nei decisori politici, che stanno alacremente lavorando per provare a minimizzare i danni.

Con questa certezza si conclude l’Assemblea Generale di Unione Italiana Vini, giovedì 3 luglio 2025 a Roma. In una torrida giornata estiva, dove non solo le strade appaiono roventi, ma anche i pensieri degli associati, gli imprenditori del settore, in attesa del prossimo 9 luglio 2025. Ma procediamo per gradi, in un racconto fatto di numeri, speranze e certezze opinabili.

Tra protezionismo, incertezza e competitività: il vino alla partita decisiva

Nei momenti difficili ci sono sempre delle opportunità”. Così si rivolge alla platea Lamberto Frescobaldi, Presidente dell’Unione Italiana Vini, riconfermato anche per il prossimo triennio alla guida dell’Associazione. Un saggio e prezioso suggerimento, destinato ad imprese, istituzioni, giornalisti e forze dell’ordine, durante la sessione pubblica dell’Assemblea Generale. “Tra protezionismo, incertezza e competitività: il vino alla partita decisiva”: è questo il leitmotiv dell’evento, il filo conduttore dei diversi interventi che si sono susseguiti, presso la sede di Confcommercio a Trastevere.

Con una metafora automobilistica di grande realismo, il Presidente ha ricordato l’importanza del cruscotto. Guidare senza considerare il livello della temperatura o del carburante è pericoloso. Bisogna avere ben chiara la situazione, e conoscere le cose per poi analizzarle al meglio. Agendo, anche, di conseguenza. Dunque, attraverso i numeri si può avere uno spaccato della realtà, ed operare in tal senso.

È per questo che durante l’incontro sono stati presentati i dati dell’Osservatorio Vini di Uiv, mentre Mediobanca con il suo Report 2025 ha fissato qualche concetto economico di particolare importanza, per il settore. Infine, la presenza di diversi rappresentanti istituzionali – tra cui il Ministro Lollobrigida, il Ministro Giorgetti e il Viceministro Valentini – sono stati il segno inequivocabile dell’interesse governativo verso il comparto vitivinicolo.

I dati dell’Osservatorio Vino Uiv

Si parte dunque dai numeri dell’Osservatorio del Vino Uiv, che registra una situazione di grande difficoltà per l’export italiano verso tutti i Paesi. Sono evidenti variazioni negative piuttosto importanti, con una contrazione di 15 punti nel I quadrimestre 2025. Un discorso a parte va fatto per il mercato statunitense, che ha mostrato un trend particolare: ha importato grandi quantitativi nei primi due mesi dell’anno, temendo la possibile applicazione dei dazi. Le cosiddette scorte strategiche.

Quindi dopo un gennaio/febbraio positivi per le vendite verso il mercato transatlantico (+19,3% e +22,1%, per valore), marzo e aprile hanno mostrato una decrescita rilevante. Così come quella attesa per il trimestre maggio/luglio, “drammatico”, secondo Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio. Eppure, non è tutto adducibile solo al fattore dazio. Il calo dell’export si registra da oramai tre anni, soprattutto nel comparto dei vini fermi.

Il vigneto cresce: bearing or not bearing?

Viene allora da chiedersi cosa si stia facendo per affrontare questa situazione congiunturale. Soprattutto se pensiamo al potenziale e all’incidenza della vendemmia. L’Italia registra una veloce crescita del vigneto e, qualora si realizzasse una vendemmia di 50 milioni di ettolitri, il prossimo ottobre le cantine conterrebbero un quantitativo pari a circa 90 milioni. L’equivalente di quasi due raccolti. Una condizione difficile da gestire, alla luce della domanda.

Intanto il vigneto cresce: un problema che Uiv ha già evidenziato nel mese di giugno 2025, chiedendo di fermare per un anno la concessione di nuove autorizzazioni all’impianto, frenando l’allargamento dell’1%. Ma la questione è: quanto di questo vigneto italiano è realmente in produzione?

Servirebbe un modello di tipo californiano, con una divisione tabellare tra “bearing” e “not bearing”. In questo modo si potrebbero conoscere esattamente i quantitativi che derivano dalla vendemmia. Fatto sta che l’Italia è il Paese con la maggior crescita del vigneto, mentre tutti gli altri stanno riducendo il proprio potenziale. Questa controtendenza è furbizia o leggerezza?

Il Report 2025 sul settore vinicolo in Italia: la parola a Mediobanca

Ma, in questo momento storico-economico, cosa pensano le aziende? Come stanno vivendo questi mesi? E quali sono le principali preoccupazioni? La risposta arriva dal Report 2025 sul settore vinicolo in Italia, pubblicato dall’Area Studi Mediobanca. Che fotografa un comparto da sempre virtuoso e per lo più a dimensione familiare (65% sul totale), colpito da una importante contrazione dell’Ebit margin (-6,2%) negli ultimi anni.

La riduzione dei consumi è sicuramente la criticità più avvertita dalle compagini (per il 72% degli intervistati), così come il cambiamento delle abitudini di consumo. Tra le altre voci c’è anche il cambiamento climatico e la normativa sulla sicurezza stradale. In pole position, sul podio, si colloca però la questione daziaria (66%).

Ma come si può agire per rispondere al meglio a questa situazione di incertezza? Le alternative sono diverse. Dirigersi verso nuovi mercati, cambiare prodotto (pensiamo allo sviluppo del no-low alcohol, ad esempio), aprire nuovi canali distributivi e investire in capitale umano (e non solo in tecnologia).

Tuttavia, il settore deve fare i conti anche con il Roi, il ritorno del capitale investito, l’indicatore che individua effettivamente se l’investimento è di successo (o meno). Perché, al di là di tutti gli altri motivi, deve esistere una sostenibilità economica. Ebbene, confrontando tutti i settori nazionali, il Roi delle imprese vitivinicole è basso (5,4%) – inferiore sicuramente a quello del comparto alimentare (8%). E non è sempre vero che produrre un vino di qualità, con un posizionamento di prezzo elevato, necessariamente garantisca un ritorno dell’investimento.

Intanto, negli Usa...

Pesa, dunque, quel 66% (di cui sopra) che si riferisce alle aziende preoccupate per la questione daziaria. Considerando la vocazione export del settore, praticamente tutte temono un peggioramento nel futuro prossimo. Eppure, non è detto. Come ha ricordato Alfredo Conte, Vicedirettore Generale delle politiche commerciali al MAECI, è proprio questione di giorno, se non di ore. La Direzione Generale Trade dell’Ue ha messo in atto tutta la sua diplomazia economica, e non si lascerà nulla all’intentato.

Si proverà a raggiungere un accordo, prima del 9 luglio 2025 – termine per la scadenza della sospensione dei dazi reciproci tra USA e Paesi del mondo. Sicuramente l’intesa che si raggiungerà “non sarà un’intesa di dettaglio, bensì un’intesa di principio”, secondo Conte. Questo significa che demanderà a un ulteriore negoziato, che si svilupperà nei prossimi mesi. Affinché si possa raggiungere un traguardo migliorativo.

Se non cambia nulla, il dazio resterà al 10% e l’auspicio è che per il settore vitivinicolo si riesca a raggiungere un accordo che collochi il livello dei dazi il più basso possibile, tutelando la produzione. Ma, in tutti i casi, bisogna ricordare che “ci saranno i tempi supplementari”, consentendo plausibilmente degli aggiustamenti in corso d’opera. Bisognerà raggiungere un ragionevole punto di equilibrio.

Intanto, va fatta una riflessione sulle opportunità di allargare la rete dei partenariati, con gli accordi di libero scambio dell’Ue. È stato dimostrato come le imprese italiane del comparto vitivinicolo siano in grado, più delle altre, di cogliere i vantaggi derivanti dai nuovi partenariati. Occhi puntati, quindi, sul Mercosur.

La diversificazione dei mercati funziona davvero?

In attesa che la diplomazia economica faccia il suo corso, anche dopo il 9 luglio 2025, le tariffe al 10% rappresentano comunque un problema per il settore vitivinicolo. Lo ribadisce a chiare lettere il Segretario generale UIV, Paolo Castelletti. Ma non è solo una sua opinione, bensì il frutto di un sondaggio rivolto alle imprese. Perché, in un contesto olisticamente complesso come quello attuale, c’è anche un altro fattore da considerare: la svalutazione del dollaro.

Un minore potere d’acquisto, unito a un oggettivo aumento dei prezzi del vino, potrebbe provocare – secondo il Segretario – un danno sul fatturato italiano d’oltreoceano di 10/12 punti percentuali. L’Ue deve quindi essere compatta, forte e unita per velocizzare le trattative. E la diversificazione, per quanto importante, non è la soluzione. Anche perché, se poi si guarda solo al Mercosur come Piano B, il fallimento è dietro l’angolo.

Anche i possibili nuovi Paesi target applicano infatti dei dazi al comparto vitivinicolo, non bisogna dimenticarlo. E sono comunque meno ricettivi degli Usa. Quindi, sostiene Castelletti, si rifletta anche su questo punto. Senza poi dimenticare l’importanza della promozione, attraverso gli strumenti legislativi più adatti (il Decreto OCM in primis). Garantendo ai produttori e agli esportatori una semplificazione delle regole di accesso e di finanziamento.

La forza del Sistema Italia (lontani dal rumore di fondo)

Attenzione, poi, alla propaganda pericolosa. Citando Nassim Nicholas Taleb, il viceministro del MIMIT Valentini porta un messaggio chiaro alla platea: bisogna distinguere tra quello che è il rumore di fondo e i segnali di base. Il primo è spesso amplificato dai media e dalle preoccupazioni, mentre vanno identificati i secondi, adeguatamente. I fenomeni di contrazione del comparto erano già in atto da anni, con la modifica dei consumi, il calo dell’interesse e le nuove preferenze.

È chiaro che la complessità geopolitica di oggi cozza con il mondo del vino, caratterizzato dalla sua personalità unica e da una passione artigianale con pochi eguali. I tempi della piatta globalizzazione sono lontani, secondo Valentini: le vele della nave americana sono pronte a dispiegarsi e procedere in solitaria. Bisogna farsene una ragione e puntare sul Sistema Italia (e, in generale, sul Sistema Ue).

Si prenda coscienza del fatto che la questione dazi non si risolverà a breve. Quindi? La soluzione è muoversi in blocco, come Unione europea. Un mercato composto da 640 milioni di consumatori. Dove i competitor diventano alleati tra loro. Bisogna agire in gruppo, collettivamente. Allo stesso tempo, però, il rappresentante del MIMIT ipotizza anche la possibilità di stabilire un “rapporto privilegiato” con gli States, “negoziando situazioni individuali”. Sarà questa la soluzione vincente? Lo sapremo a breve.

Il depressionismo e il dialogo tra democrazie

Intanto, una cosa è certa: “il depressionismo non avvantaggia nessuno”. Non fa troppi giri di parole, andando dritto al punto, il Ministro Lollobrigida. Aggiungendo che “il primo nemico delle imprese e del consumatore è la paura”. Per quanto un ragionamento basato sui dati si riveli utile, serve una lettura razionale. Il comparto del vino, ricorda il rappresentante del dicastero, lo scorso anno ha registrato un record nell’export, per la prima volta nella storia: 8,1 miliardi di euro. Un forte traino per l’economia dell’agroalimentare e del sistema Italia.

Ma il costante allarmismo non giova alle imprese. È ovvio che le criticità vadano fronteggiate e risolte. Ma la promozione e il crollo dei consumi, soprattutto sul mercato americano, non sono legati alle politiche dei dazi. La diminuzione del consumo negli Stati Uniti è frutto della cosiddetta “criminalizzazione del prodotto”. E va posto quindi un freno alla campagna di demonizzazione sui consumi.

Francesco Lollobrigida

In seconda battuta, poi, anche secondo Lollobrigida bisogna puntare verso i nuovi mercati. Ma attenzione, sarebbe una follia abbandonare quello Usa: non è contemplato immaginare una guerra commerciale con Washington, mentre ci si rivolge ad altri Paesi (uno su tutti, la Cina). Sarebbe un suicidio. E questo perché esistono ragioni di carattere politico e istituzionale: l’Italia deve relazionarsi con nazioni democratiche (e non autocratiche).

Dunque, questo 10% di dazio appare, secondo il Ministro, come un punto di partenza e non di arrivo. A cui seguirà, poi, un ragionamento sui singoli casi. Mettendo però in condizione gli Stati Uniti di crescere, in qualche modo. Una sorta di effetto leva, un elemento di contrattazione che rassicuri il Paese a stelle e strisce.

L’onorevole compromesso di Giorgetti

Secondo Giorgetti, invece, oltre alla paura c’è anche l’incertezza, tra i principali nemici delle imprenditorie. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, presente all’evento, ha infatti sottolineato come – secondo le dinamiche dell’economia – per investimenti e consumi l’incertezza rappresenti il nemico numero uno. Ed è quello che sta accadendo in questi ultimi mesi.

Un negoziato che dura a lungo produce danni. Il famoso “onorevole compromesso”, caldeggiato da Giorgetti e ribadito anche ultimamente, sarebbe servito a mettere fine alla precarietà in atto. Che, invece, permane e, forse, si protrarrà anche per le prossime settimane. Tuttavia, in una visione complessiva del fenomeno, il vero problema non è soltanto e semplicemente la questione tariffaria, i dazi. C’è ben altro.

Giancarlo Giorgetti

Ovvero, la politica commerciale dei territori, la tassazione internazionale (la Global Minimum Tax, per la quale è stato recentemente raggiunto un accordo; e la tassazione dell’IVA. Che gli Stati Uniti considerano “una tassa non giustificata perché distorce la concorrenza internazionale”. Cosa si può fare, allora? Operare su due livelli.

Da un lato, singolarmente: l’Italia con il suo “spending internazionale e la stabilità di Governo” può permettersi un ruolo da protagonista. Agli USA va concessa l’autodeterminazione di ristabilire quello che per loro è un commercio equo e sereno, a livello internazionale. E l’Italia è pronta al dialogo e rifugge ogni condizione di “Far West”. Ma va altrettanto considerata la dimensione europea, cruciale in questo momento così delicato.

Intanto, attendiamo il prossimo 9 luglio 2025. Con la speranza che non sia l’ennesimo Godot dei giorni nostri.

Tra dazi e diplomazia economica, il vino italiano cerca tutele - Ultima modifica: 2025-07-04T17:38:32+02:00 da Redazione

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