VCR Research Center, dove nasce la vite del futuro

tosi

di Lorenzo Tosi

Inaugurato a Rauscedo il nuovo VCR Research Center. Sotto le sue navate si sta già lavorando per lo sviluppo di nuove varietà e portinnesti in favore di una viticoltura più sostenibile. Tutti i video degli interventi e i Pdf delle relazioni presentate nel corso del convegno: «Verso una nuova viticoltura: il ruolo della genetica e del vivaismo».

Nuove varietà con resistenze poligeniche a peronospora, oidio e a patologie secondarie come il Black Rot. Portinnesti resilienti per far fronte ai guasti dei cambiamenti climatici. E dietro l’angolo quelli che saranno a tutti gli effetti cloni di nuova generazione, ottenuti attraverso le tecnologie di evoluzione assistita, identici alle varietà autoctone di partenza salvo pochi specifici geni, decisivi per acquisire resistenza o anche caratteristiche enologiche di pregio.

Per contatti e approfondimenti
vcr@vivairauscedo.com

Strade diverse per sviluppare una viticoltura più sostenibile. Saranno tutte percorse nel nuovo VCR Research center: 22,5 ettari di impianti sperimentali e laboratori, serre riscaldate, celle climatizzate e cantine per micro e nanovinificazioni appena sorti a Rauscedo (Pn) nei pressi della sede dei Vivai Cooperativi.

I numeri di VCR

Ottanta milioni di barbatelle prodotte ogni anno di cui oltre 30 milioni esportate in 40 paesi diversi di tutto il mondo.

Un numero che pone I Vivai Cooperativi Rauscedo al vertice indiscusso nel mondo (i competitor più vicini, in Francia e California, arrivano a circa 12-13 milioni).

Un volume importante assicurato dai 210 soci che lavorano per la cooperativa.

Gli ettari di piante madri di portinnesto superano i 1560 ettari (su 2500 coltivate in tutto in Italia), altri 1300 ettari ospitano le piante madri di marze.

Nella località di Fossalon di Grado, isolata da altri vigneti dal mare adriatico, Vcr sta sviluppando la centrale produttiva dei vitigni resistenti: 150 ettari di piante madri.

Presso il VCR Research Center è stato potenziato il controllo sanitario e dell’identità genetica di tutti i cloni e di tutti i portinnesti con un volume analitico di circa 60mila test Elisa e Pcr all’anno.


Il VCR Research Center

Nei 22,5 ettari del nuovo centro di ricerca sorto a Rauscedo (Pn), di cui 3 coperti e dedicati a serre riscaldate, celle climatizzate, screen house, cantina di microvinificazione, centro conferenze e laboratori, Vcr ha costituito il centro nevralgico delle attività a supporto dello sviluppo delle nuove varietà e dei nuovi portinnesti. Con incroci per ottenere 70mila nuovi genotipi/semenzali ogni anno, effettuati con l’obiettivo di creare nuove varietà con resistenze poligeniche.

Sotto le volte delle navate della struttura, progettate per richiamare l’allineamento dei vigneti circostanti, con una prospettiva valorizzata dalla quinta delle alpi carniche sull’orizzonte, vengono già eseguite le attività di valutazione agronomica ed enologica delle varietà resistenti proposte dall’Università di Udine; lo sviluppo di nuove varietà tramite ibridazione sia da vino che da tavola, con e senza semi, resistenti a peronospora e oidio e tolleranti a malattie secondarie (Black Rot ed escoriosi); ed è allo studio l’avvio di nuovi programmi di incroci assieme al Crea-VE di Conegliano (Tv) per ottenere genotipi tolleranti a mal dell’esca e fitoplasmi, oltre a potenziare l’attività tradizionale su cloni e portinnesti, ecc.


Il controllo sanitario e sull’identità genetica di tutti i cloni e portinnesti è potenziata con oltre 60mila test Elisa e Pcr.


La sintesi video della giornata di inaugurazione del VCR Research Center

L’attenzione per l’ambiente

La culla della vite del futuro è stata inaugurata lo scorso 1° ottobre con un convegno moderato dalla nostra redazione e seguito da un affollato pubblico sia in presenza che collegato in streaming attraverso le piattaforme digitali di Edagricole/Tecniche Nuove.

«La vite del futuro -ammonisce Eugenio Sartori, direttore generale di VCR – sarà molto diversa da quella del passato. Dovrà soddisfare le esigenze di una domanda internazionale sensibile al tema ambientale e in continua evoluzione, ma soprattutto dovrà far fronte agli effetti sempre più pesanti dei cambiamenti climatici nei vigneti, acquisendo capacità di autodifesa e resilienza».

«Siamo a un punto di svolta – conferma Pietro D’Andrea, presidente di VCR –, il vigneto mondiale subisce gli effetti di una crisi ambientale sempre più evidente. Noi dei vivai cooperativi non ci tiriamo indietro e con il nuovo centro di ricerca investiamo con forza in particolare sullo sviluppo dei vitigni resistenti».

Un impegno che potrebbe assicurare al nostro Paese un decisivo vantaggio competitivo, che rischia però di essere vanificato da una burocrazia fino ad oggi sorda alle innovazioni.

L’intervista a Eugenio Sartori, Dg di Vivai Cooperativi Rauscedo

Origine e innovazione vanno d’accordo

«I viticoltori sono imprenditori – commenta Sartori –, sono abituati a misurarsi con i mercati internazionali e anche le istituzioni dovrebbero essere più aperte: origine e innovazione possono andare d’accordo».

Ovvero: serve più tempestività nell’autorizzare le varietà resistenti e magari nell’inserirle nei disciplinari delle doc. Anche perché i nostri competitor non stanno a guardare e sono decisamente più ricettivi rispetto ai cambiamenti.

Nel bordolese, ad esempio, hanno autorizzato un vitigno “alloctono” come Touriga nacional, varietà portoghese utilizzata per il Porto, per far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici. E per lo stesso motivo nel sud della Francia si può utilizzare il vitigno georgiano Saperavi.

Negli Usa in soli due anni sono stati saggiati e messi a disposizione dei viticoltori i vitigni resistenti sviluppati in Friuli. «Un produttore della Virginia può impiantare Merlot Kanthus, Merlot Khorus o Soreli».

Anche la Francia, dopo le titubanze iniziali, ha cambiato atteggiamento avviando le pratiche per l’autorizzazione di varietà resistenti in alcune Aoc (le doc locali) e sostenendo al Cpvo (l’ufficio brevetti europeo) la possibilità di iscrivere le nuove varietà con il nome dei vitigni da cui derivano.

Le lentezze della burocrazia italiana

In Italia invece la grande maggioranza delle Regioni non ha ancora ancora sbloccato a livello locale le varietà resistenti italiane già autorizzate a livello nazionale. «Fino al paradosso di situazioni come quella pugliese, dove le prove attitudinali sono state completate nel 2017, ma di resistenti nel registro non c’è ancora traccia». La sostenibilità in agricoltura rimane così un argomento molto discusso, ma poco messo in pratica.

Con il rischio che il tema delle varietà resistenti ottenute da incrocio si accavalli e si confonda con il prossimo confronto sui cloni che potranno essere ottenuti tramite genome editing o cisgenesi, le nuove tecnologie di evoluzione assistita (Tea o Nbt).

La discussione sulle Tea

«La riforma normativa che consentirà di autorizzare le Tea nel vecchio continente, superando l’attuale blocco determinato dalla sentenza della Corte di giustizia di tre anni fa, entrerà nel vivo a partire dalla primavera 2022». Lo assicura Paolo De Castro, della Commissione agricoltura del Parlamento Ue, intervenuto nel convegno: «Verso una nuova viticoltura: il ruolo della genetica e del vivaismo» in occasione dell’inaugurazione del Vcr Research Center.

Un recente studio della Commissione attribuisce alle nuove biotecnologie un ruolo chiave per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del Green Deal. «A Bruxelles la voce di chi è contrario alle Tea è ancora alta, ma i voti sono a favore di chi punta sull’innovazione e sulla sostenibilità».

Per la vite potrebbe diventare determinante la barriera della specie, per discernere tra cisgenesi e transgenesi, visto che la maggior parte dei geni di resistenza proviene dai “fratelli” selvatici di Vitis vinifera.

Il video dell’intervento di Paolo De Castro 

La specie è un artefatto

«Ma la specie è un artefatto – testimonia Attilio Scienza dell’Università di Milano -, lo riconosceva anche Linneo, che con l’invenzione della classificazione binomia ha costruito le basi della sistematica per cercare di capire la vasta diversità del “creato”. E un evoluzionista come Darwin ribadiva, un secolo dopo, che si trattava solo di un esercizio per tassonomi».

a sinistra la relazione «Da Linneo all’editing del genoma: anche la scienza ha i suoi pregiudizi». Clicca per scaricare il PDF

Chi si affida alla scienza sa che è fondamentale uscire dal “canone”, anche perché la speciazione è ancora in atto. La variabilità del clima nel Nord America è stato infatti il fattore che ha portato allo sviluppo delle diverse Vitis (labruscae, muscadinia, ripariae) e l’attuale evoluzione climatica potrebbe diventare un fattore di selezione, soprattutto se assistita dall’uomo. «L’eugenetica, il mito della purezza della specie, ha portato a distorsioni come il razzismo. Il futuro è nelle popolazioni e nei “meticci”».

Il video dell’intervento di Attilio Scienza

Le frontiere “stellari” del breeding

«Il futuro è di chi crede nella scienza – assicura Michele Morgante dell’Università di Udine – e nelle nuove frontiere “stellari” del breeding».

Un riferimento utilizzato per rispondere al recente editoriale della rivista Nature secondo cui l’agricoltura non ha bisogno di “rocket science”.

«Dalla pandemia  – commenta Morgante – non siamo usciti solo con mascherine e distanziamento, ma soprattutto grazie ai vaccini che sono “rocket science”. Allo stesso modo per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità fissati dall’Unione europea e dall’Onu, produrre di più con meno risorse oppure, rimanendo in ambito vitivinicolo, per assicurare al tempo stesso qualità e sostenibilità non si può ricorrere alla non-scienza».

A sinistra la presentazione «Le prospettive del miglioramento genetico di fronte alle nuove frontiere del breeding». Clicca e scarica il PDF

L’approccio cisgenetico consente infatti di sostituire l’introgressione dei caratteri tramite reincrocio in modo più veloce e più preciso preservando intatto il genotipo di partenza (un superpotere fondamentale per continuare a valorizzare il patrimonio dei nostri vitigni autoctoni).

E il genome editing con Crispr/Cas (l’altro filone delle Tea) consente modificazioni mirate identiche a quelle spontanee.

Il video con l’intervento di Michele Morgante

Il miglioramento genetico inizia ora

«Il nostro patrimonio ampelografico – testimonia Riccardo Velasco, direttore del Crea Viticoltura ed Enologia – è caratterizzato da una grande biodiversità ma, purtroppo, nessuna resistenza».

a sinistra la relazione «Nuovi presupposti per una viticoltura italiana d’avanguardia». Clicca e scarica il PDF

La vite è una delle colture che è rimasta più refrattaria, negli ultimi anni, al miglioramento genetico.

«Abbiamo iniziato a fare vero breeding solo adesso, utilizzando mappe genetiche, marcatori molecolari e selezione. Nel mondo sono ormai attivi numerosi programmi per portare allo sviluppo di varietà resistenti praticamente in tutti i Paesi a vocazione vitivinicola».

«Presso il Crea è in avanzato stadio di sviluppo il progetto Gleres per il miglioramento genetico contro le principali ampelopatie delle varietà autoctone italiana a partire da Glera».

L’intervento di Riccardo Velasco

Le richieste della comunità scientifica

A Rauscedo Raffaele Testolin ha elencato alcune condizioni che potrebbero dare un forte slancio all’innovazione sostenibile dei vitigni resistenti:

  1. classificazione delle viti R come “vinifera”;
  2. accesso delle viti R alle DO (almeno come varietà complementari);
  3. eliminazione dei limiti della malvidina diglucoside;
  4. prove DUS presso i costitutori e controlli da parte de Ministero;
  5. riduzione dei tempi per le autorizzazioni regionali alla coltivazione;
  6. nuova legislazione europea sulle NBT in linea con gli altri Paesi e con il parere degli esperti.

Non chiamateli ibridi

«I breeder utilizzano abitualmente – spiega Raffaele Testolin dell’Università di Udine – specie selvatiche (wild relatives) per introgredire caratteri di interesse. Non per questo le varietà si chiamano “ibridi” con un’accezione negativa come succede per la vite».

Un appellativo che non è solo sbagliato, ma anche controproducente.

a sinistra la presentazione: «Viti resistenti alle malattie e legislazione». Clicca per scaricare il PDF

Le varietà resistenti moderne sono infatti ottenute dopo una serie di 7-8 reincroci su vinifera. Il Reg 2389/89 lascia la facoltà di registrare queste nuove varietà come vinifera o come ibridi, producendo forti differenze in Europa. L’iscrizione come ibridi ne inibisce però l’inclusione nei disciplinari di produzione delle Doc.

Il video con l’intervento di Raffaele Testolin

La posizione della filiera

Filiera vitivinicola presente al completo alla tavola rotonda tenuta nel corso dell’inaugurazione del VCR Research center. E apertura unanime alla possibilità di utilizzare i vitigni resistenti nelle denominazioni italiane.

A partire da Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, che già utilizza questi vitigni nella sua azienda in Lombardia.

«Siamo stati la prima federazione a chiedere alle autorità nazionali di aprire alla sperimentazione in campo, anche nei vigneti a DO, per le varietà resistenti».

Questo accadeva nel 2018 ipotizzando un massimo del 10% per testare in campo, nel territorio di origine, il comportamento e l’apprezzabilità organolettica di vini prodotti con queste nuove varietà.  In Italia però il territorio batte la varietà.

«Ciò però non vuol dire immobilismo: l’attenzione alla sostenibilità testimonia la necessità di aprirsi all’innovazione». «Siamo favorevoli – gli fa eco Nicola Tinelli di Uiv – ad eliminare l’ambiguità nella classificazione delle varietà resistenti».

«Ogni Doc -prosegue – è la fotografia di un territorio in un determinato momento. Come apriamo all’autorizzazione di vitigni complementari che si diffondono in determinate Do così, caso per caso, dovremmo valutare l’opportunità dell’apertura ai resistenti una volta autorizzati a livello regionale».

«Parliamo tanto di sostenibilità -ammonisce Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi -, che prima di tutto deve essere etica e deve tenere conto di quello che sta capitando nel nostro settore».

«I vincoli sempre più stringenti al rame ci impongono di trovare valide alternative, e quella dei vitigni resistenti è la più promettente».

«Occorre poi ricordare che tra le componenti che fanno grande un terroir quella decisiva è la competenza dell’uomo. Dobbiamo avere fiducia nell’opera di ricercatori che con la loro opera e le loro intuizioni stanno consentendo alla viticoltura italiana di mantenere la sua posizione di prestigio nel mondo».

La tavola rotonda della filiera vitivinicola a Rauscedo

VCR Research Center, dove nasce la vite del futuro - Ultima modifica: 2021-10-18T16:32:15+02:00 da Claudia Notari
css.php