Italesse chiude il 2014 con un evento centrale nella storia aziendale, forse uno dei più importanti e ambiziosi mai realizzati: la presentazione di Optimum, il calice pensato e realizzato specificatamente per la degustazione dello Champagne. Una sfida tecnica, formale e progettuale affrontata da Italesse con uno straordinario lavoro sinergico tra Richard Juhlin, il naso per eccellenza dello Champagne, il trio di designer e architetti Claesson Koivisto Rune, titolari di uno dei più blasonati studi di design al mondo vincitori tra gli altri del Red Dot Design Award (Best of the Best 2013) e il Designer of the Year 2013-2014 (Elle Decor) e Italesse, azienda con oltre vent’anni di esperienza al fianco di alcune delle più prestigiose Maison dello Champagne.
I tratti distintivi di Optimum
Seguendo le ferree indicazioni di Richard Juhlin, abilissimo nel catalogare gusti, profumi e sfumature dello Champagne con una sensibilità olfattiva fuori dal comune, Claesson Koivisto Rune sono riusciti nel difficile compito di tradurre i suggerimenti tecnici in un calice ideale, frutto di proporzioni perfette e linee essenziali. L’equilibrio sapiente dell’altezza e larghezza della coppa, la chiusura della bocca del bicchiere – proporzionalmente pensata rispetto all’angolazione della coppa – la profondità della piqûre e del punto perlage, l’eccelsa qualità e leggerezza del vetro perfettamente distribuito indirizzano gli aromi e le fragranze dello Champagne al naso con la giusta intensità offrendo una degustazione senza pari. Richard Juhlin ha inoltre ottimizzato il livello di prodotto da servire per ottenere il massimo beneficio sensoriale. Questa linea – chiamata Richard Juhlin Line – è disponibile su una versione speciale del calice.
La parola ai protagonisti
La mente. Mr Juhlin, può spiegare meglio cosa intende quando afferma che con Optimum “lo Champagne si apre in modo ottimale”? Le differenze rispetto ad altri calici sono percepibili solo a livello olfattivo o anche a livello visivo e gustativo? “Intendo soprattutto nel bouquet. Le proporzioni perfettamente bilanciate dell’apertura del bicchiere e della superficie del vino aiutano lo champagne a respirare e ad aprire la propria coda di pavone di aromi in modo eccezionale”. I designer. Quale sforzo ha richiesto da parte vostra interpretare e tradurre nella linea di Optimum le indicazioni di un esperto come Richiard Jhulin? “Innanzitutto abbiamo dovuto trovare le giuste proporzioni per bilanciare la parte superiore del bicchiere così come richiesto da Richard Juhlin. Questo intervento ha restituito un bicchiere piuttosto alto ed elegante rispetto a quelli che si trovano oggi sul mercato. Siamo anche intervenuti nella parte bassa della coppa inserendo le nostre linee curve per ottimizzare la capacità di vino fino alla linea di servizio indicata da Richard, che ora è di 9 cl, dando la possibilità di servire 8 bicchieri di Champagne per bottiglia”. I fabbricatori. Quali particolarità tecniche in termini di materiali e processo caratterizzano la produzione di Optimum? “Realizzare Richard Juhlin Optimum è stata una sfida lunga ma decisamente entusiasmante. Tradurre le esigenze olfattive e sensoriali del massimo esperto mondiale di Champagne in una forma precisa ha richiesto un lavoro a strettissimo contatto con i designer Claesson Koivisto Rune. Ci sono voluti tre anni di progettazione, innumerevoli prove e aggiustamenti costanti per ottenere un calice dalle proporzioni perfette. Creare un oggetto con misure precisissime significa, infatti, non solo trovare la giusta combinazione sulla carta, ma saper piegare la produzione meccanica alle proprie esigenze per raggiungere livelli di eccellenza sempre superiori. La profondità della piqûre ad esempio – simile al Tibruón – è stata realizzata con l’impiego della tecnologia pull-stem che consente di realizzare la coppa ed il gambo del calice in un unico pezzo mentre il piattello – da subito attaccato allo stelo quando esso ha ancora il suo massimo diametro – viene stirato solo successivamente. Tale lavorazione rafforza enormemente il calice in un punto di rottura critico, quello di saldatura tra gambo e piattello, rendendo i calici ancora più resistenti alle sollecitazioni. Questo naturalmente senza intaccare l’eleganza del gambo, mantenuto snello ma non troppo delicato per rispondere alle esigenze rigorose del servizio professionale. Una nota a parte va riservata alla curva rientrante della base della coppa, un dettaglio che allontana il nuovo RJO dalla flûte tradizionale, rendendo il calice contemporaneo e innovativo allo stesso tempo”. Un progetto analogo e, di conseguenza, un calice ad hoc potrebbero essere pensati anche per uno specifico spumante italiano? “Certamente sì. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato a un altro progetto molto interessante, Sparkle, designato da Luca Bini. Si tratta di un nuovo bicchiere che intende proporre un nuovo modo di bere lo spumante metodo classico nel rispetto delle tradizioni, rileggendo però i plus dei bicchieri del passato. Il risultato è un calice in cui le proporzioni sono perfettamente studiate e bilanciate: la larghezza della coppa richiama le coppe di Champagne, l’altezza del corpo del calice è simile a quella di una flûte, l’ampiezza della bocca e la linearità delle pareti del bicchiere consentono agli aromi e al perlage di essere convogliati verso l’alto e direttamente nella bocca per enfatizzare al massimo le qualità del vino. Come sempre, accanto alle caratteristiche tecniche grande attenzione è stata riservata anche alla parte estetica, tanto che la base della coppa del bicchiere risulta essere piana, un dettaglio che conferisce una forma morbida ed elegante al nuovo Sparkle. Inoltre sulla parte piana del bicchiere sono stati incisi 7 punti perlage (1 centrale e 6 posizionati su una corona circolare equidistante dal centro) che favorisce il perlage dello spumante”.