di Lorenzo Tosi
Webinar "GENErazione resistente" del 10 dicembre 2020
Una generazione resistente da fare crescere con competenza
I vitigni resistenti stanno diventando dei protagonisti assoluti della sostenibilità in vigneto, ma la loro virtù di abbinare qualità e tutela ambientale va difesa attraverso la conoscenza e l’adozione di un’adeguata gestione agronomica e fitosanitaria. Dal webinar “GENErazione resistente” organizzato da VCR assieme a Edagricole le strategie da seguire e i progetti di ricerca in corso
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È il volto più giovane e smart della viticoltura non solo italiana ma mondiale. La generazione resistente sta trovando sempre più spazio tra i filari affiancandosi ai vitigni più tipici e blasonati, facendosi apprezzare per la virtù di abbinare sostenibilità e qualità come mai successo prima.
Una virtù da tutelare
Questi nuovi vitigni assicurano vantaggi come la possibilità di ridurre notevolmente il numero dei trattamenti fungicidi ma non mettono in secondo piano la competenza di tecnici e produttori. Perché se c’è una cosa che è emersa chiaramente nei primi quattro anni di coltivazione è che la resistenza è una dote preziosa che va gestita e protetta. Ne abbiamo parlato nel webinar “GENErazione resistente” organizzato dai Vivai Cooperativi Rauscedo assieme a Edagricole e alle riviste Terra e Vita e VVQ, Vigne, Vini & Qualità. Una diretta streaming sulla piattaforma Gotowebinar che, lo scorso 10 dicembre, ha tenuto incollati sugli schermi di pc, tablet e smartphone oltre 700 tra tecnici e viticoltori.
«Possiamo scegliere cosa piantare – ha ammonito Yuri Zambon di VCR – ma poi dobbiamo ricordarci che raccoglieremo quello che abbiamo seminato». Una metafora che punta a ricordare che “malanni” come i cambiamenti climatici, ma anche come l’emergenza sanitaria da Covid19 che stiamo vivendo, sono causati dall’elevata antropizzazione del pianeta e da nostri comportamenti errati. È quindi responsabilità di ogni produttore quella di diffondere sostenibilità e per la vite questa esigenza è ancora più sentita visto l’elevato numero di trattamenti fungicidi necessari per proteggerla.
Gli obiettivi del VCR Research Center
È la volontà di contribuire a risolvere questi problemi che ha spinto i Vivai Cooperativi Rauscedo a investire sulla costituzione del nuovissimo VCR Research Center. «Ci siamo accorti da tempo – ha spiegato Eugenio Sartori, direttore generale di VCR- che non basta proseguire solo sulla strada della selezione clonale, ma che bisogna essere attenti alle nuove esigenze della viticoltura, soprattutto in termini di impatto ambientale». I 22,5 ettari del nuovo centro di ricerca sorto a Rauscedo (Pn), di cui 3 coperti e dedicati a serre riscaldate, celle climatizzate, screen house, cantina di microvinificazione, centro conferenze e laboratori, serviranno per proseguire nelle attività di valutazione agronomica ed enologica delle varietà resistenti proposte dall’Università di Udine; ottenere tramite ibridazione nuove varietà sia da vino che da tavola, con e senza semi, resistenti a peronospora e oidio e tolleranti a malattie secondarie (Black rot ed escoriosi); avviare nuovi programmi di incroci assieme al Crea-VE di Conegliano (Tv) per ottenere genotipi tolleranti a mal dell’esca e fitoplasmi, oltre a potenziare l’attività tradizionale su cloni e portinnesti, ecc.
Le nuove varietà in arrivo
«Siamo riusciti finora -ha ricordato Sartori – a iscrivere 14 varietà resistenti e proseguiremo con altre varietà che ora sono nei campi attitudinali». Tra i primi appuntamenti ci saranno quelli con nuovi vitigni “figli” di Sangiovese, Glera e Chardonnay, tra fine 2021 e inizio 2022, poi numerose altre, sia autoctone che internazionali, per arrivare entro il 2025-2026 ad altre 31-39 varietà resistenti iscritte a registro. «Un percorso impegnativo, ma la viticoltura e il vivaismo non possono rinunciare a investire sull’innovazione. Come leader mondiali con oltre 80milioni di barbatelle prodotte ogni anno sentiamo forte questa responsabilità».
«Molti però pensano – ha puntualizzato Raffaele Testolin dell’Università di Udine – che il tema delle resistenze sia semplice: trovata la resistenza, risolto il problema, ma non è così».
La caccia ai geni continua
Ci sono infatti 25 centri di ricerca al mondo a caccia di geni di resistenza per la vite. «Finora ne abbiamo individuati 31 per la peronospora, di cui possono essere effettivamente utilizzati solo 7-8 e 14 per l’oidio (4 utilizzabili). Identificare e mappare un gene di resistenza su vite è un’attività impegnativa che richiede investimenti da 500mila-1 milione di euro ognuno».
Ogni resistenza ha poi meccanismi di funzionamento diverso: ci sono geni come Rpv3 (per peronospora) caratterizzato da meccanismi di riconoscimento ospite/patogeno e reazioni di ipersensibilità molto precisi («sono in genere quelli preferiti dai genetisti»), specifici nel senso che proteggono da uno o pochi ceppi, e, se mal gestiti, possono essere superati da nuovi ceppi del patogeno; è il caso della varietà Bianca coltivata in Repubblica Ceca dove dopo circa 60 anni di coltivazione intensiva, monovarietale e senza una minima difesa fitosanitaria preventiva si sono selezionati alcuni ceppi di peronospora resistenti.
Ci sono geni come Ren1 (per oidio) che innescano un controllo incompleto, non razza specifico, ma non facilmente superabile («sono quelli preferiti dai fitopatologi») e poi ci sono anche geni come Mlo (oidio), che il patogeno deve trovare nella pianta e che, se modificati, rendono la pianta immune perché il patogeno non riconosce più la pianta come ospite. Questi hanno efficacia durevole ma a volte possono avere effetti collaterali inattesi al momento che si avvia un programma di breeding. «Occorre ricordarsi – ha raccomandato Testolin – che resistenti non vuol dire immuni: se una pianta sviluppa una resistenza ci sarà poi un nuovo ceppo di patogeno che cercherà di superare questa resistenza ed è una rincorsa che va avanti da milioni di anni». Per questo è molto importante combinare geni con meccanismi differenti per ottenere una resistenza più durevole.
Le diverse strategie dei breeder
Le strategie utilizzate sono diverse. Alcuni breeder privati lavorano su una singola resistenza per la bassa disponibilità di materiale genetico, alcuni gruppi francesi e tedeschi puntano a piramidizzare numerose resistenze, ma è una strategia rischiosa perché si rischia di ereditare dal genotipo selvatico dei “blocchi aplotipici senza ricombinazione” ovvero alcuni caratteri negativi per la qualità dei vini ottenuti e poi c’è la strategia scelta dall’Università di Udine e dai Vivai cooperativi Rauscedo, di combinare non più di due resistenze a peronospora e due a oidio alla volta e in combinazioni diverse e su varietà diverse.
«È la strategia – ha commentato Testolin – che consente di ottenere i migliori risultati in termini qualitativi, ma l’impegno dei breeder deve essere costante nella ricerca di sempre nuove fonti di resistenza e serve la collaborazione dei viticoltori per proteggere il risultato di queste ricerche». Nella vite infatti il superamento della resistenza è più difficile rispetto alle piante annuali ma occorre adottare i giusti stratagemmi per abbassare la pressione di selezione, evitando estese monocolture della stessa varietà resistente e adottando i corretti protocolli di difesa.
Meno fungicidi, ma quanto e come?
Secondo Zambon la media storica dei trattamenti eseguiti nell’azienda o nell’area di coltivazione è il primo elemento di cui tenere conto per capire quanti trattamenti eseguire per ottenere un’accurata gestione fitosanitaria delle varietà resistenti, «considerando che l’impiego di queste varietà può consentire una riduzione che va dal 60 all’80% a seconda delle condizioni pedoclimatiche».
Le prove eseguite dall’ufficio tecnico di Vcr nel corso della difficile annata 2020 hanno consentito di raccogliere molte informazioni per approntare le corrette strategie di difesa integrata e biologica. «Come per le varietà tradizionali – ha evidenziato Zambon – anche per le resistenti la difesa si deve basare sul monitoraggio e occorre posizionare i trattamenti privilegiando l’azione preventiva e non curativa». La disponibilità di DSS come vite.net di Horta, calibrati sulle varietà resistenti, consente il corretto posizionamento di questi interventi. «Per la scelta dei prodotti – ha specificato Zambon – occorre invece conoscere l’entità del rischio soprattutto in riferimento a patogeni cosiddetti secondari come Black rot ed escoriosi, per utilizzare nei giusti momenti i principi attivi o i formulati biologici più efficaci nei loro confronti». All’origine dei problemi rilevati quest’anno vi era infatti soprattutto l’elevato potenziale di inoculo di Black Rot causato dalle condizioni climatiche della primavera 2019 e dalla mancata difesa preventiva nei primi anni di impianto. Nel caso della peronospora invece, i trattamenti preventivi effettuati nel periodo giusto hanno evitato qualsiasi problema ai grappoli.
Difesa integrata e bio
Numerose le prove illustrate nel corso del webinar. «Nelle situazioni più critiche, per consentire di ripristinare condizioni di facile gestione del vigneto, siamo intervenuti quest’anno con 6-7 interventi in aree dove mediamente se ne effettuano fino a 17.
In una situazione particolarmente grave è stato necessario effettuare 12 interventi in un vigneto gestito in biologico in un’area dove comunemente ne vengono eseguiti fino a 26 l’anno. Interventi che hanno consentito di rispettare il vincolo dei 4 kg/ha/anno di rame metallo».
Indicazioni tecniche che, unite all’accorgimento di evitare eccessive concimazioni azotate, consentono di raggiungere con le varietà resistenti benefici ambientali ineguagliabili in termini di minori emissioni di gas clima alteranti, minore compattazione e erosione suolo, minori rischi per consumatori e utilizzatori, possibilità di espandere il biologico anche in ambienti più difficili. E di raccogliere soddisfazioni anche sul fronte commerciale vista la costante crescita dell’interesse verso i vini sostenibili nei nostri maggiori mercati di riferimento.
Quale ruolo nella piramide della qualità?
Mentre in Francia è in corso lo specifico progetto “Absorption crossing” per favorire l’”assorbimento” delle nuove varietà resistenti nelle Aoc tramite percorsi di ibridazione delle rispettive varietà autoctone di riferimento, l’accoglienza registrata in Italia dal settore delle denominazioni d’origine è piuttosto tiepido. Attualmente infatti non è consentito il loro inserimento né nelle Doc e nemmeno nelle Igt e una scuola di pensiero vorrebbe addirittura inibire il ricorso al nome del parentale nobile nel caso di resistenti ottenuti da parentali tipici italiani.
Nonostante ciò il vigneto resistente italiano è in attiva crescita grazie agli innegabili vantaggi assicurati dalla loro coltivazione e presto questo fattore potrebbe avere una forte incidenza sulla percezione della piramide della qualità. Diego Tomasi ha spiegato nel corso del webinar del 10 dicembre che, anche per risolvere questi problemi, il Crea Viticoltura Enologia di Conegliano ha allestito presso il vigneto sperimentale di Cà Tron un campo collezione che raccoglie i vitigni resistenti ottenuti in tutti i centri di ricerca internazionali per valutarne i caratteri di interesse agronomico ed enologico, l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche della penisola, l’adesione o meno alle caratteristiche del parentale nobile, l’effettiva resistenza alle malattie, la presenza o meno di molecole “traccianti” come la malvidina diglucoside, ecc. I risultati raccolti nel corso delle prime annate 2019 – 2020 evidenziano una forte variabilità per tutti questi caratteri. Il loro studio consentirà di caratterizzare queste differenze anche alla luce del prossimo balzo evolutivo dei vitigni ottenuti da genome editing.
Il confronto con i produttori
Si sono già sviluppati in Italia ceppi ipervirulenti di peronospora in grado di superare le barriere di resistenza dei vitigni di nuova generazione?
Quali prospettive per lo sviluppo di vitigni ottenuti da genome editing?
Qual è la possibilità di impiegare molecole come gli induttori di resistenza nella coltivazione biologica di queste varietà?
Sono solo alcune delle domande poste ai relatori nello spazio finale del webinar aperto al dibattito con gli utenti. Le risposte hanno fatto svanire ogni dubbio riguardo al temuto sviluppo di ceppi ipervirulenti. Il caso registrato qualche anno fa in Repubblica Ceca era infatti legato all’estesa coltivazione di un’unica varietà (Bianca) dotata di un singolo gene di resistenza alla peronospora (Rpv3) e si è manifestato dopo numerosi decenni di coltivazione. Le varietà coltivate in Italia hanno resistenze multiple e la fitness dei ceppi eventualmente selezionati dalla loro pressione non garantisce la loro presenza anche negli anni successivi.
I maggiori problemi registrati anche nel corso di quest’anno erano invece legati a patogeni secondari come Black rot ed escoriosi con alcuni attacchi “indolori” (privi di effetto sulla produzione) di peronospora tardiva sulle femminelle, evidenziata spesso dalle necrosi causate delle reazioni di sensibilità del vitigno resistente. Situazioni che possono essere evitate attraverso la corretta gestione agronomica del vigneto.
Le varietà resistenti rimarranno poi, secondo Sartori, le protagoniste indiscusse della sostenibilità del vigneto almeno per i prossimi 18-20 anni, perché prima di questo periodo sarà difficile vedere in campo vitigni ottenuti attraverso genome editing.
Riguardo agli induttori di resistenza, i vitigni resistenti sono già adeguatamente “stimolati”, alcuni botanicals consentono di ottimizzare la difesa biologica soprattutto nei confronti dei patogeni secondari, rame e zolfo svolgono però ancora la parte del leone nel vigneto bio, anche se l’adozione dei vitigni resistenti offre decisamente maggiori chance per rispettare i vincoli relativi al loro utilizzo destinati a diventare sempre più stringenti nel futuro.