Schizosaccharomyces, un lievito controverso

Schizosaccharomyces
Il genere Schizosaccharomyces è da tempo oggetto di interesse da parte dell’industria enologica. Capace di causare gravi alterazioni ai vini, possiede tuttavia diversi metabolismi potenzialmente utili, tanto da prospettarne applicazioni commerciali. In questo articolo cercheremo di capire, grazie alla bibliografia scientifica sull’argomento, quali i rischi e le opportunità che questo microrganismo offre, visto il rinnovato interesse per l’impiego nella vinificazione di lieviti differenti da Saccharomyces cerevisiae

I lieviti appartenenti alla specie Schizosaccharomyces crescono sui terreni agarizzati utilizzati per l’isolamento e la conta dei comuni lieviti enologici.

Un recente studio ha dimostrato che il recupero, in termini di colonie sviluppatesi, è più elevato se il terreno contiene estratto di lievito, triptone e glucosio. Gli antibiotici generalmente aggiunti per evitare inquinamenti batterici non creano problemi al lievito, così come l’acidificazione del terreno fino a pH 3.50.

Articolo tratto da VVQ 3/2022

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Rispetto ad altri lieviti, S. pombe è particolarmente suscettibile alle lesioni sub-letali dovute a moderati stress termici o al congelamento. Dopo tali stress, circa il 50 % della popolazione non è in grado di formare colonie su terreni agarizzati, il ben noto fenomeno delle “cellule vitali ma non coltivabili”, suggerendo un passaggio in terreno di arricchimento per rivitalizzare una coltura di questo microrganismo prima della semina su piastra.


Per “vitali ma non coltivabili” si intende un peculiare stato fisiologico dei microrganismi, danneggiati da agenti esterni, nel quale le cellule pur mantenendosi vitali non sono in grado di dar crescita a colonie su terreno agarizzato per microbiologia


Schizosaccharomyces è osmotollerante e resistente ai conservanti comunemente usati nell’industria alimentare: acido sorbico, acido benzoico, anidride solforosa e acido acetico. L’isolamento selettivo di questi lieviti può essere ottenuto con striscio su terreno agarizzato con elevate concentrazioni di glucosio (50 %) o incorporando al terreno un agente conservante, ad esempio acido acetico allo 0,5 %. È opportuno osservare che questi terreni consentono la crescita di altri lieviti con le medesime caratteristiche, come Zygosaccharomyces bailii, ma la tipica forma cilindrica delle cellule di Schizosaccharomyces consente un agevole differenziazione.

Per la rilevazione e la conta di S. pombe in presenza di un’abbondante popolazione di S. cerevisiae come, ad esempio, durante la fermentazione alcolica o su un vino appena svinato, occorre impiegare terrenti selettivi come agar di lisina. S. cerevisiae non può utilizzare la lisina come fonte di azoto e dunque svilupparsi, mentre S. pombe è in grado di crescere su questo terreno. Anche l’addizione di solfato di rame (0.03 %) sopprime la crescita di S. cerevisiae, ma non quella di S. pombe. Come per tutti i lieviti, l’incubazione a 25 °C richiede 4 - 7 giorni per dare colonie visibili e contabili.

I caratteri del genere Schizosaccharomyces

Il genere Schizosaccharomyces è composto da tre specie: S. octosporus, S. japonicus e S. pombe.

Secondo i dettami della microbiologia classica queste sono distinte in base al numero di spore per asco e all’attitudine a fermentare raffinosio e saccarosio. La specie più comune nelle industrie alimentari è S. pombe; tuttavia, non è raro avere a che fare con S. japonicus.

La morfologia del genere Schizosaccharomyces è molto particolare. La cellula ha forma rettangolare con dimensioni da 2 × 6 a 4 × 20 μm e divisione per scissione, con individui aggregati a due a due. S. pombe può sporulare. La cellula è ricca di polisaccaridi, α-galattomannosio e alcuni aminoacidi, rispetto a qualsiasi altra specie di lievito conosciuta. Caratteristiche fisiologiche peculiari della specie sono l’incapacità di assimilare nitrati, il non possedere attività α-glucosidasica e l’attività ureasica.

S. pombe possiede un elevato vigore fermentativo, simile a S. cerevisiae, e tolleranza all’etanolo fino al 15 % vol/vol. Un’altra caratteristica di questo lievito è la sua capacità di convertire l’acido malico in anidride carbonica ed etanolo (Fermentazione malo-alcolica). In estrema sintesi, uno specifico enzima malico NAD-dipendente decarbossila il malato in piruvato in condizioni anaerobiche. Successivamente il piruvato viene decarbossilato ad acetaldeide e poi ridotto in etanolo. Il genere Schizosaccharomyces è anaerobico facoltativo e può metabolizzare zuccheri esosi come fruttosio e glucosio e il disaccaride saccarosio. La fermentazione degli zuccheri esosi segue la comune via glicolitica producendo anidride carbonica, etanolo e alcuni altri metaboliti secondari. A Schizosaccharomyces è stata generalmente imputata un’elevata produzione di H2S e glicerolo, mentre alcune attività enzimatiche extracellulari, come quelle delle pectinasi e amilasi, sono strettamente ceppo specifiche (Figura 1).

Dal punto di vista della resistenza ai fattori di stress ambientali è noto che il genere Schizosaccharomyces abbia un ampio intervallo di accettabilità per la temperatura di sviluppo, risultando attivo fino a 40 °C, ma sviluppandosi anche a temperature di refrigerazione, in particolare la specie S. japonicus. Il genere si trova anche in ambienti acidi, fino a pH 3.00, dove probabilmente può assimilare l’acido malico, responsabile dell’abbassamento del pH ambientale.


La capacità di sviluppo a basse temperature può causare alterazioni in mosti conservati al freddo, durante macerazioni pre-fermentative o nella lavorazione di uve molto fredde. È bene dunque mantenere la temperatura sotto i 10 °C e provvedere a un repentino riscaldamento al momento dell’avvio della fermentazione alcolica


Il genere Schizosaccharomyces è in grado di svilupparsi in ambienti ad alta pressione osmotica, a causa di elevate concentrazioni zuccherine. La sua capacità osmotollerante gli consente di crescere in terreni contenenti fino al 50 % di glucosio e valori di attività dell’acqua (aw) inferiori a 0.80. In queste condizioni si osserva un consistente aumento della produzione di glicerolo da parte del lievito, proprio per proteggere le cellule dall’eccessiva disidratazione.

Al contrario, la resistenza al sale è modesta, con incapacità di sviluppo se l’aw scende sotto il valore di 0.95, a causa di NaCl. Come già accennato, Schizosaccharomyces è ampiamente tollerante ad alte concentrazioni, fino a 1000 mg/L, di diversi stabilizzanti/inibitori come acido acetico, anidride solforosa, benzoato o sorbato.

Questi additivi sono comuni nelle industrie alimentari, in articolare nelle soluzioni acquose (bevande, creme, salse) ricche di zuccheri dove lo sviluppo di lievito può dar luogo a rifermentazioni indesiderate. Questo è uno dei motivi perché questo genere di lievito è considerato un microrganismo deteriorante nell’industria agroalimentare e infestazioni microbiche sono particolarmente complesse da rimuovere.

Stato dell’arte e prospettive di impiego

Il genere Schizosaccharomyces è generalmente descritto come alterativo degli alimenti a causa della produzione di metaboliti con impatti sensoriali negativi, come acidi organici volatili, H2S o acetaldeide.

Questi microrganismi sono tuttavia utilizzati, anche a livello industriale, nella fermentazione dello zucchero di canna durante la produzione del rum, per la produzione del vino di palma o la fermentazione del cacao.

In generale, è nota la loro presenza del microbiota di diverse fermentazioni alimentari, soprattutto delle aree tropicali. Inizialmente, nel settore enologico, la maggior parte delle ricerche si è concentra sulla capacità di metabolizzare l’acido malico con produzione di etanolo piuttosto che sul potere fermentativo verso i carboidrati e sulla produzione di composti secondari di valore. La ragione di questa scelta, databile agli anni ‘90 del XX secolo, era la scarsa disponibilità di batteri lattici selezionati per la gestione della fermentazione malolattica. Oggi che tale problema è risolto, il ruolo di Schizosaccharomyces in enologia deve essere rivalutato.

Il principale inconveniente è la forte produzione di acido acetico, nelle fermentazioni sperimentali con ceppi puri di questo lievito, eseguite in laboratorio, è possibile osservare accumuli di acido acetico intorno a 1 g/L, intollerabili nei vini di qualità.

Per questo motivo, Schizosaccharomyces è impiegato in colture miste o sequenziali con Saccharomyces, al fine di mitigare gli effetti negativi pur mantenendo alcune delle sue più interessanti proprietà, che descriveremo tra poco. Certamente, la selezione di nuovi ceppi di Schizosaccharomyces è di grande interesse perché l’uso di questo lievito, da solo o con altre specie di lievito nelle fermentazioni combinate, potrebbe ridurre la standardizzazione dei vini, aumentando la complessità del profilo sensoriale e contribuendo a risolvere alcuni problemi tipici dei vini moderni, come l’eccesso alcolico.

Fig. 2 - Principali
caratteri di interesse
enologico del genere
Schizosaccharomyce

Negli ultimi anni sono apparse nuove potenziali applicazioni enologiche industriali di Schizosaccharomyces (Figura 2), che sfruttano proprietà di questo genere molto diverse dalle classiche capacità di degradare l’acido malico o di fermentare lo zucchero. Schizosaccharomyces può esser impiegato per ridurre il contenuto di acido gluconico, molecola marker di alterazioni delle uve nelle ultime fasi della maturazione o in post raccolta.

Anche nell’invecchiamento del vino sulle fecce fii questo lievito può dare risultati molto interessanti, grazie ad un’autolisi più marcata che in S. cerevisiae e per la presenza di un’abbondante dotazione di polisaccaridi parietali. Estratti cellulari di Schizosaccharomyces hanno dimostrato ottime proprietà bio-adsorbenti per eliminare dal vino composti volatili negativi, come il 4-etilfenolo. L’attività ureasica è interessante anche per quanto riguarda la sicurezza alimentare; andando ad eliminare l’urea, il principale precursore del carbammato di etile.


Vi sono evidenze sperimentali di una riduzione del 25% del contenuto in fenoli volatili e del 90% del contenuto di urea in vini fermentati con Schizosaccharomyces, rispetto a un testimone dove aveva agito esclusivamente S. cerevisiae


Il genere Schizosaccharomyces è anche un alto produttore di acido piruvico, raggiungendo livelli dieci volte superiori rispetto ai ceppi commerciali di S. cerevisiae. Questa caratteristica può migliorare la formazione di pigmenti stabili, come la vitisina A. Un altro effetto benefico sul colore del vino dovuto a questo lievito è la formazione di grandi quantità di pirano antocianine, aumentando l’intensità del colore del vino in post fermentazione, grazie alla formazione di composti stabili con i vinilfenoli.

Ma l’applicazione certamente di maggior interesse riguardante questo lievito è la possibilità di ridurre l’accumulo di etanolo nei vini, sia in fermentazioni miste che sequenziali con S. cerevisiae. Questa inefficienza glicolitica, una volta che fossero selezionati ceppi privi di attività alterative, potrebbe costituire una chiave per risolvere l’eccessiva gradazione alcolica del vino, una situazione che ora sta diventando sempre più comune in numerose regioni viticole.

In conclusione, dunque, numerose evidenze scientifiche ci indicano come le specie di lieviti non-Saccharomyces rappresentino un ampio bacino di biodiversità, capace di fornire all’enologo strumenti innovativi per la gestione della vinificazione rispondendo alle esigenze attuali di personalizzazione die vini. Il processo è già in atto e non è difficile prevedere che il numero di colture selezionate di lieviti non-Saccharomyces sia destinato a crescere.

Articolo tratto da VVQ 3/2022

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Schizosaccharomyces, un lievito controverso - Ultima modifica: 2022-05-26T00:59:01+02:00 da Lorenzo Tosi

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